Pagine

giovedì 28 maggio 2015

ancora sui vini di Tabarrini




di Niccolò Desenzani


Dopo un fugace assaggio dei vini di Tabarrini a dicembre, sufficiente a lasciarmi una certa sete insoddisfatta per non averne comprato, con il ritardo che mi contraddistingue, sono riuscito poi a procurarmene un paio di esemplari per tipo. Parliamo della batteria dei bianchi 2013:
Fiero fermo, da grechetto bianco
Regio fermo, da trebbiano
Fiero surlì, da verdello
Prima di tutto un plauso allo stile: c’è un filo conduttore fra i tre vini che il palato-cervello riconosce subito come mano del vinificatore. Non è facile avere uno stile con pochissime vendemmie alle spalle, e permette di valorizzare le varie etichette, perché vengono interpretati i vitigni secondo quello che Tabarrini ritiene la sua idea di vino.
E un’interpretazione forte chiarisce bene l’oggetto di partenza, in questo caso l’uva.
C’è una cristallina ricerca dell’acidità, forse per lo spauracchio di un terroir che su quel fronte non è sempre generoso. Essa è ricercata con mezzi tecnici agricoli e di vinificazione, ma nel rispetto del dictat zero correzioni chimiche. E per giunta credo anche poca elettricità!
Già avevo avuto modo di apprezzare, e qui trovo solenne la conferma, l’attenzione maniacale che Carlo riserva alle feccie. La feccia tampona l’acidità e crea un equilibrio nell’espressività incisiva del vino.
Poi ,e qui vado un bel po’ a mia personale interpretazione, c’è molta attenzione all’ossigeno. I vini godono di un sana leggera riduzione iniziale, accentuata da un’altra tecnica che Carlo sembra padroneggiare: il completamento dei processi malolattici in bottiglia. Quindi una certa compressione nei vini, con un residuo di carbonica quasi medicamentoso e poi lo sviluppo tutto in golosità quando il vino finalmente si arieggia dopo la prigionia del vetro.
Infine c’è un che di vino-del-contadino-vin-de-garage, che lascia un’impronta di verità rustica che a me piace molto (un po’ come nel Paski di Cantina Giardino).


Grechetto di freschezza, teso e appagante. Universale passepartout della dissetanza. Tutto in ordine (alfabetico): acidità, carbo, digeribilità, dissetanza, sostanza.

Trebbiano. Possiamo anche dire che non ha forse l’immediatezza spensierata del fratello (tanto che nella mia memoria si erano fissati a ruoli invertiti: e qui cade anche un bel pregiudizio sul grechetto). Ma lo stile è sempre verso la piacevolezza in questo caso con qualche ruvidità inedita per questo vitigno: tannini da sposalizio col cibo, generosità. Acidità rustiche che amoreggiano con la tartare e si beffano dell’acidità citrica del limone.

Il surlì, bottiglia spessa e tanta pressione (vado a percezione). Metodo interrotto qualcuno ha coniato. Si ribadisce la tenzone feccia/acidità, qui portata al parossismo. Ma poi all’aria l’ossigeno celebra l’unione indissolubile. Che la festa abbia inizio.

Nessun commento:

Posta un commento