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venerdì 21 febbraio 2014

1703, VdT Rosso, Togni Rebaioli

di Niccolò Desenzani



Davvero bello bere Nebbiolo di montagna da terra camuna, in annata equilibrata, fermentato spontaneamente, lavorato al 100% in acciaio. Dove la mano in vigna, come pure in cantina, è quella di un giovane vigneron dotato di muscoli, determinazione e umiltà. 
Bello perchè sono condizioni da laboratorio dei sogni. 
Intendo dire che si può avere subito un'idea di ciò che può venirne fuori, partendo da ingredienti tutti di primissima scelta. 
Resta quindi al bicchiere il compito di parlare del luogo e di come si comporti col vitigno. 
Forse non sarei qui a scrivere se non fossi rimasto stupefatto dal livello di vocazione che si desume dal risultato. I tannini del nebbiolo vengono fuori quasi morbidi ancor più che setosi. L'intensità del vino è fuori dal comune e se è vero che, al primo giorno di apertura, c'è quasi un iperconcentrazione che spinge verso il lucido da scarpe, verso la china, la sera dopo sono basito dalla pienezza del sorso, con quel tocco di salato che fa percepire una quasi dolcezza che ben integra la parte floreale del vitigno. 
Viene fuori l'uva, ben matura, e il profumo, quello, è proprio nebbiolesco!
Una declinazione del vitigno diversa, ma per nulla minore. 
Un bel Nebbiolo di montagna. 
Forse uno zic di acidità in più avrebbe suggellato.
La 2012 riposa in botte e non vedo l’ora di sentire come va avanti il sogno sperimentale.

PS Sono un po' l'ultimo arrivato sui vini di Enrico Togni. Luigi è da anni che ne è perdutamente innamorato e già aveva raccontato l'annata 2007 (allora con un saldo di barbera). Nel rileggere le sue note mi sono ritrovato molto per queste particolari morbidezze che non si conoscono altrove nei vini da uve nebbiolo, più facilmente austero. La qualità del tannino mi ha stupito moltissimo. E nemmeno trovo grandi somiglianze con il Nebbiolo di Mario Pasolini in quel di Mompiano (BS).

lunedì 20 maggio 2013

Domenica pomeriggio di fine enodissidenze


All'ennesimo giro incontro degli amici con in mano un bicchiere di Merlot 2003 di Dario Princic.
la voglia di giocare, un intuizione e così al volo mi viene da dire: "qui oggi ci sono, secondo me, tre tra i migliori Merlot italiani" (forse è meglio che sotto effetto combinato di stanchezza e alcol stia zitto).

Comunque sia, trascino i tre ignari e incolpevoli da Enrico Togni e gli dico:"arrivo subito".
Mi precipito da Silvana Forte de Le Due Terre, non c'è, è già in autostrada con la prua puntata verso Prepotto, vabbè ha lasciato una bottiglia di Merlot 2010 sul banchetto, l'afferro e la porto da Enrico Togni.
I tre amici mi guardano un po' allibiti arrivare con la bottiglia, dopo di che inizia una veloce quanto aleatoria degustazione volante dei merlot.

Millesimi diversi, due Friulani e un Valcamonica, versati in bicchieri da rosolio (unica pecca delle Enodissidenze).
E cominciano le danze.
Si sente come una assonanza fra i conterranei, una vivacità (freschezza) cangiante che traspare già al naso, una anticipazione delle sferzate acidulate ma golose.

Princic 2003, per via del millesimo agè, spinge come un gregario in fuga con una acetica alla francese e una freschezza in corpo ruvido quasi animalesco e terroso, minerale e ventoso.
Le Due Terre 2010, il più saintemilionesco dei tre, ci fa piombare in una torrefazione, caffeoso, elegante con ventate di vivacità e mineralità e echi lontani di mirtilli acerbi.
Il Merlot Cav. Rebaioli 2009 di EnricoTogni al cospetto di tanta nobiltà appare il più morbido e qualcuno diceva di sentire del vegetale (connotandolo come negativo) e questo a me faceva un po' girare i cabasisi, perchè il vegetale nel merlot di Togni, pota! Non l'avevo mai sentito nè troppo presente nè negativo
Comunque, era quello meno terziarizzato, ancora giovane di profumi fruttosi e indulgenti rotondità.

Nessuna graduatoria di merito dei vini, inutile quanto aleatoria, tutti primi al traguardo a testimoniare la passione infinita e la capacità dei tre vigneron che in una classifica di umanità veleggiano alti e i loro discorsi e i loro atteggiamenti mi convincono ogni giorno, che gente “vera” oltre che vini “veri” ne esiste ancora e sono contento di averli conosciuti.
Kampai

Luigi


Ps
Compagni di avventura Sara Roccutto e Vittorio Rusinà

mercoledì 24 ottobre 2012

L’alt(r)a Lombardia e il Merlot di Enrico Togni, storie di luoghi e di persone


Vigne vecchie di merlot, in cui sopravvivono anche piante a piede franco, lottano per dimostrare di essere più territoriali delle cultivar tradizionali.

E’ una lotta impari perché ormai autoctono/tradizionale è bello e giusto.
E’ una lotta impari perché non si valuta il fatto che sono lì da almeno sessanta anni e hanno ormai sviluppato un rapporto intimo con il luogo.
E’ una lotta impari perché di Merlot ne è pieno il mondo e il prezzo diventa il discrimine unico.
E’ una lotta impari perché i vigneti di questo Merlot sono su pendenze del cento per cento e più e nemmeno il trattore può salire.
E’ una lotta impari perché i vigneti di questo Merlot sono bisognosi di molte cure e attenzioni.
E’ una lotta impari perché sono in provincia di Brescia e il costo della vita è doppio rispetto a certe zone viticole d’Italia.
E’ una lotta impari perché il luogo di produzione non è nel novero di quei pochi ed eletti territori italiani ad alta vocazione (ad alta mediaticità direi, meglio).
E’ una lotta impari perché il produttore è solo nella ricerca dell’estrema espressione territoriale dei vini.


Per cui Enrico Togni convinto, al di là di ogni ragionevole dubbio, di poggiare i piedi su una terra, la stessa in cui immergono i fittoni le sue viti, vocata abbandonerà un po’ di piante di merlot a favore dell’erbanno.

In fatti per far vivere il suo Merlot, Enrico sta lavorando duramente sull’Erbanno una cultivar “tradizionale” che ha riscoperto e propagato e vinificato.
L’Erbanno ha una triplice attitudine è molto resistente e rustico, dà un ottimo vino ed è un “quasi autoctono”* quindi è “mediaticamente territoriale” e spendibile nel mercato schizofrenico del vino dell’età contemporanea che brucia i propri miti con ritmi incommensurabili  ai tempi della biologia vegetale.

Per cui beviamo tutti l’Erbanno!  

Che quando saremo pronti il Merlot sarà lì che ci aspetta per svelare tutte le corrugazioni degli spalti calcarei, delle argille, il leggero pizzicore dei refoli di tramontana che cadono a valle dalla cresta delle montagne  infilandosi nei dirupi scoscesi e il calore algido del brillio del sole riflesso dalle nevi della Valcamonica.


Nelle mani giuste con l’impegno giusto, con le cultivar giuste, Enrico ha dimostrato, che la viticoltura camuna può ottenere prodotti di alta qualità perché il luogo ha la forza, la vitalità necessaria per lasciare un imprinting nel dna delle piante e nei vini se questi sono trattati con quella giusta distanza e laisser faire che permette loro di deviare, contaminarsi, arricchirsi, custoditi più che condotti per mano, più che costruiti.

Cura maniacale del vigneto, rispetto della propria ricchezza fenotipica aziendale perpetuata con la riproduzione massale, attenzione alle forme di allevamento.
Enrico è un esempio di come i luoghi senza l’uomo che li interpretino possano essere neutri, apparentemente “sine nobilitate” e allo stesso tempo come l’uomo sia interpretato e condizionato dai luoghi in un processo di appartenenza e dipendenza l’uno dall’altro.
Noi pensiamo la Terra.
La Terra pensa noi.


*Enrico e l’agronomo preferiscono definirlo “tradizionale” non avendo prove scientifiche sulla reale autoctonia della cultivar.

Poscritto
In occasione delle degustazioni dei vini camuni a Darfo Boario, a parte la produzione di Enrico, si è palesata immediatamente una scarsa aderenza fra i vini e il territorio forse causata dalla scelta di cultivar incapaci di produrre qualità o di adattarsi ai luoghi (incrocio Manzoni) oppure lasciate produrre un po’ troppo e mortificate da vinificazioni standard un po’ troppo tecniche (riesling e merlot).
Sicuramente bisogna puntare su cultivar “nobili” che sappiano fotografare la Valcamonica senza dimenticare quelle tradizionali (barbera, nebbiolo, schiava, marzemino ed ora l’erbanno) che hanno dato esempio di grande qualità, nelle mani giuste.


lunedì 7 febbraio 2011

vidur barbera vdt 2007 togni rebaioli darfovalcamonica brescia


Il lancio twitterico dell’evento #barbera2 mi ha fatto venir voglia di assaggiarne qualcuna.
Visto che amo le devianze ne ho scelte due un po’ anomale la prima è Vidur un VdT di Enrico Togni viticoltore di montagna (come lui si firma negli interventi sui blog), la seconda è sempre di montagna di Giaglione (TO) ma ne parlerò poi.


Enrico è Bresciano al confine con il Trentino, dannatamente giovane e dannatamente sensato (io ormai son vecchio e sensato non lo sono mai stato) e dannatamente bravo.
Vive e lavora a Darfo Boario Terme (BS) sul vecchio sedime del Lago d’Iseo in Val Camonica.
Siamo amici di penna dal mio esordio sul web.
E qui forse bisogna aggiungere due parole.
Non ricordo né il perché nè il percome ma in un fitto battibecco sul blog Le Millebolleblog tra il sottoscritto (assai poco sensato e diplomatico) e il Sig. Ziliani, a cui partecipava con molta pacatezza anche Enrico, io mi sono fatto censurare da Ziliani.



Un po’ infantilmente ho cominciato a piangere sulla spalla di Enrico e lui non sò come mi ha sopportato e consolato.
Mi ha anche prontamente, su mia richiesta, inviato una campionatura dei suoi vini (maliziosi… li ho pagati).
Mi ha scritto più volte di aspettare prima di berli (nessuno ha fiducia in me) e di berli un po’ e poi riassaggiarli il giorno dopo.
Fatto.
Ho aspettato (il minimo indispensabile).
Ho ribevuto il day after (troppo forse).
Dimenticavo di dire che ha insistito molto dicendo che la sua barbera è di montagna quindi giocata sull’acidità e bevibilità.
Lui non ha bevuto le barbere di un tempo quelle sì che erano acide!
Lui stà a pochi chilometri dal Lago d’Iseo che fa un volano termico incredibile mitigando il freddo e inducendo brezze estive rinfrescanti e fenomenali per la maturazione fenolica.
Lui ha una luce pazzesca a quelle quote.
E la vite vuole luce, non caldo.
Perdonatelo è giovane.
Vidur, Barbera, 2007, 13% Vol., Vino da Tavola di Enrico Togni, Az. Agr. Togni-Rebaioli.
E’ un vino che Enrico fa solo negli anni che glielo permettono.
Primo giorno stappo e guardo.
Dopo un po’ annuso, subito leggero vegetale al naso (alla francese), echi di legno, scorza di arancia molto matura.
Nel day after effettivamente esplode in profumi di frutta, floreale, ciliegie, leggero goudron, un po’ di legno dolce, terra; intensa e complessa.
Ribevo: morbidezze, frutta, si allarga,  tannino di seta,  puntuta il giusto, lunghissima.
Dopo un po’ nel bicchiere ritorna un non so chè di arancio/cedro e terrosità.
Buonissima.
Enrico mandamene due casse.

Terzo giorno riassaggio: sono ritornate le sensazioni iniziali con floreale e mineralità e resine.
Finita.
E’ in corsa con Nino Barraco per il mio personalissimo concorso sulla grafica più accattivante.
Aridità dalla cantina:
3 ha di vigneti su pendii terrazzati ripidissimi.
Mi ha confermato anche lui che le viti vecchie lo gratificano con poche uve ma bilanciate.
La presenza di sabbia lo ha convinto a piantare viti franche di piede.
Buona fortuna, io , lo sai, faccio il tifo per la vitis europea e il recupero di profumi e sapori perduti.
Vendemmia a fine ottobre.
Vinificazione con breve macerazioni sulle bucce e malolatica in inox senza controllo delle temperature.
Affinamento in tonneau da 300 litri nuovi per 12 mesi.
Leggera filtrazione preimbottigliamento.
Vetro per tre mesi.
Bonne degustation

Costo sui 16,00 euro in cantina
Enrico dice che costa meno, per il prezzo telefonategli val la pena.


Luigi


az. agr. Togni-Rebaioli