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venerdì 6 febbraio 2015

DOGMA 15: I ❤ FRANK.


“Dogma 95 è un’azione di salvataggio!”
Lars Von Trier e Thomas Vinterberg






Il 13 marzo 1995 viene reso noto al mondo il Manifesto del Collettivo Dogma 95.
Per la cronaca è un lunedì.
Dogma 95 è una botta, uno schiaffo, una goliardata in salsa luterana (cioè, con quel senso dell’umorismo teso alla freddura se non al gelo del dopo-barzelletta-detta-con-la-faccia-seria, sapete, no?), un movimento serio e cazzone venuto ad abbattere le sovrastrutture del cinema capitalistico-borghese schiavo del Capitale e degli Effetti Speciali e tutta quella roba lì. Il Manifesto inizia con un Grazie ma potevate fare di più verso la Nouvelle Vague, continua con un Individualità=Cattivo Disciplina=Buono e arriva dritto e incazzato verso una roba che chiamano Voto Di Castità. Che è una serie di regole (“Indiscutibili”).


  1. Le riprese vanno girate sulle location. Non devono essere portate scenografie ed oggetti di scena (Se esistono delle necessità specifiche per la storia, va scelta una location adeguata alle esigenze).
  2. Il suono non deve mai essere prodotto a parte dalle immagini e viceversa. (La musica non deve essere usata a meno che non sia presente quando il film venga girato).
  3. La macchina da presa deve essere portata a mano. Ogni movimento o immobilità ottenibile con le riprese a mano è permesso. (Il film non deve svolgersi davanti alla macchina da presa; le riprese devono essere girate dove il film si svolge).
  4. Il film deve essere a colori. Luci speciali non sono permesse. (Se c'è troppa poca luce per l'esposizione della scena, la scena va tagliata o si può fissare una sola luce alla macchina da presa stessa).
  5. Lavori ottici e filtri non sono permessi.
  6. Il film non deve contenere azione superficiale. (Omicidi, armi, etc. non devono accadere).
  7. L'alienazione temporale e geografica non è permessa. (Questo per dire che il film ha luogo qui ed ora).
  8. Non sono accettabili film di genere.
  9. L'opera finale va trasferita su pellicola Academy 35mm, con il formato 4:3, non widescreen. (Originariamente si richiedeva di girare direttamente in Academy 35mm, ma la regola è stata cambiata per facilitare le produzioni a basso costo).
  10. Il regista non deve essere accreditato.


Insomma, il Manifesto del cinema naturale (e onore al merito nella nota 1).

Poi è andata com'è andata (nota 2).
Ma quello che conta è la crepa che produci nel pensiero, per quanto piccola possa essere.
E a me 'sta crepa nel pensiero è rimasta, quando i danesi fanno così i cazzoni mi diverte tanto, e così oggi, 6 febbraio 2015, il sottoscritto Eugenio Bucci (e chiunque abbia voglia di seguirlo, nel senso che chiunque può essere Dogma 15, una roba tipo V Per Vendetta o Club Di Topolino o un Fight Club meno cruento e più estremista) rende noto al mondo il Manifesto del Collettivo Dogma 15.

Le regole sono molto semplici.


1- Amerai incondizionatamente qualsiasi cosa prodotta da Frank Cornelissen.


2- …..?


Oddio, non me ne viene in mente nessun altra.
Non Importa.
Tante regolette vanno bene per i soldatini. E il Generale Cornelissen nei suoi cannoni mette fiori. I suoi vini c’hanno la vita dentro. Mica che gli altri tengano ‘a morte, cioè qualcuno si, ma non è questo il punto. Il punto è che i suoi vini sono tra le cose più emozionanti, divertenti, intellegibili e dure/pure che si possano incontrare. Mutano e rimutano rimanendo fedeli ad uno spartito. Sono un quartetto free-jazz dove ogni assolo squarcia il cielo e scompone e ricompone lo standard; sono metronimici come una kraut band coi suoi pezzi siderali e lisergici che possono durare 5 10 500 minuti; sono il pezzo punk perfetto, un Anarchy In The E.T.N.A. che ti fa pogare tutta la notte.
Ma sto divagando.
Questa regola non è un granché, lo so. Cioè, non è che si possa amare incondizionatamente qualcuno o qualcosa. Parliamoci chiaro. Non abbiamo più 15 anni. Quella nebbia in mezzo alla testa, quella nuvola amorosa davanti alla zona “Capacità Di Giudizio” non va bene. Ti rincoglionisce. Però, se c’è qualcuno che se lo merita, se qualcuno ci va anche solo vicino a guadagnarsi dosi massicce di amore adolescenziale, questo è Frank. Se vuoi scatenare il fan-boy che è in te, fallo per lui. Se proprio senti quel friccicorio nella mano e devi buttarti sulla street art, fallo con un Contadino in mano e sprayzza






Perché da qualche anno a questa parte lui produce tra le cose più emozionanti che possiate sentire. Perché Frank si che è Dogma e ha una sventagliata di regole tanto semplici quanto (proprio per questo) rigorose e serie: niente chimica, mai, in nessuna fase; cantina pulita, ma proprio pulita, tipo che pare una sala operatoria e prima di entrarci ti fa passare la suola delle scarpe in un liquido igienizzante; niente contatto col legno o l’acciaio, e, insomma, tutto deve essere un’autostrada vuota che porta a 1000 all’ora il frutto puro verso quella cosa chiamata vino. Semplice. Il Generale Frank se ne sta sul suo vulcano e lì certe malattie non ci arrivano e cura accudisce le sue vigne vecchie bacucche e pure lui un po’ di esperienza se l’è fatta e ha messo su un discreto manico. Così racconta la vulgata (nota 3).
Tutto molto semplice, no?
No.


Susucaru 2013

Il rosato di casa Cornelissen è forse il suo vino che più lavora in sottrazione. In una forma che rimanda mentalmente alla Loira dei cabernet franc no SO2 rarefatti e golosi a cui perdonare i difettucci. Solo che qui è tutto in salsa mediterranea. E difettucci non ce ne stanno proprio. Qui si lavora sugli spigoli, sulle pungenze aspre che innervano la bevuta. Il frutto fresco e guizzante, una mineralità rovente e l’alcool che unisce le fila. In sottrazione, si diceva. E con l’ago della bilancia sempre puntato sull’equilibrio, in quel piccolo spicchio di sole dove equilibrio si unisce a sottrazione e il risultato è beva. Less is more? Non sempre, quasi mai. Ma da Frank si.  



Contadino 2013

Nella 11a edizione mostra il suo lato meno muscolare. Non solo per i suoi 13,5° rispetto ai 15° della 2011 e 2012 (nota 4). Si perde qualcosa in consistenza e si guadagna in equilibrio. In un frutto ancora più preciso, già espresso e tuttotondo dove le annate precedenti han necessitato di qualche mese per assestarsi. Ed è un frutto più aspro, certo, ma come sempre avvolto da una speziatura bucciosa, un andamento da suq orientale con odori/sapori da giramento di testa. Mai una flessione, un cedimento alle ossidazioni, alle derive battericoqualcosa. Un come-si-dice. Un rapporto dialettico e virtuoso con l’aria. E lo scatto, il vero scatto, che avviene in bocca. In bocca avviene la prestidigitazione senza trucco e senza inganno: tannini e acidità che appaiono e scompaiono, increspano e danno scheletro; dolcezza e rotondità che avvolgono ma non le vedi, sono una nuvola di zucchero filato che si solidifica, prende forma, si equilibria. E intanto meravigli e passi al sorso successivo. Tutto nel Contadino 2013 è dosato col bilancino da quella Natura di cui Cornelissen è ormai il braccio destro. Il braccio armato.


Nota 1: E difatti il 14 novembre 2014 Vinodogma è diventato un manifesto programmatico di Nic Marsel all'interno del Collettivo Gustodivino.


Nota 2: Certo poi, come spesso accade, i Manifesti sono belli e nobili ma poi la realtà ti falcia e mena e ti costringe a confrontarti con lei e molti film Dogma erano tra il bruttarello e il ruffiano e il furbetto (e vabbé, non era questo il punto) e il voto di castità si è rivelato un po’ meno puro del previsto e Lars Von Trier ha fatto un po’ come cazzo gli pare (cit.) e ha detto qualche minchiata nei festival tra un antidepressivo e l’altro e ha cominciato ad usare a raffica rallenty, dolly, musiche, nani e ballerine, e ha fatto qualche capolavoro e qualche furbata venuta male ma comunque grazie, Lars, pazzo anarcoide, per averci fatto vedere degli Idioti purificare il mondo, per Björk che canta e balla in mezzo ad una saga biblica di sfighe. E per la Gainsbourg nuda.

Nota 3: E così racconta Frank nei 3 video sul canale YouTube di Storie Enogastronomiche. E nei 14 minuti e 7 secondi globali qualcosa del metodo Cornelissen si capisce. Per tutto il resto, puntate il navigatore su Solicchiata, armatevi e partite.


Nota 4: lo sappiamo, quello dei gradi è un falso problema, cioè, non è un problema o è un problema mal posto, nel senso che è un problema se l’alcool si avverte e si slega dal resto. Ma siamo tutti bevitori allenati, mica dei femminielli che se leggono più di 13° in un’etichetta si mettono a frignare “Oddio, adesso mi ubriacherò davvero!”.




mercoledì 3 dicembre 2014

Vino Rosso L.2012, I Vigneri

di Niccolò Desenzani



L’etna rosso base de I Vigneri non è facile da reperire per l’esiguo numero di bottiglie prodotte, ma anche per la meno preclara fama rispetto ai suoi fratelli e un segmento commerciale appena più arduo: base sì, ma oltre i 20 euro.
In giro si legge che sia fatto in un palmento e che questo lo renda un fuorilegge.
Fra tutti i vini di Foti è forse quello più vicino a metodi arcaici.
Ero fermo all’edizione 2006, e quando ho visto la 2012 è stato magnetismo fra la mia mano e la bottiglia.
Etna delle promesse.
Aperto alla cieca con l’amico Mauro ha colpito dritto al cuore. “Roba seria” diceva senza riuscire a indovinarlo!
Il giorno dopo ribevuto e ancora tanto stupore di fronte a un vino che ha un equilibrio incredibile. Ogni parte integrata e un corpo di rispetto articolato in semplicità di beva. Il vulcano esplicito soprattutto in bocca e alcune impressioni che mi hanno riportato colla mente in Langa: ma non quella cheap, proprio quella dei mostri sacri.

giovedì 2 gennaio 2014

Vinudilice 2010, I Vigneri

di Niccolò Desenzani


Strutturalmente e spontaneamente metodo ancestrale. 
Messo in bottiglia ancora in gestazione, con residuo dolce, lo ritrovo dopo due anni asciugato e smagrito, con ancora un filo di carbonica, quasi autodosatosi.
Se è vero che l'analogia pinot-nerello etneo è un po' una bufala, in questa versione proto spumante da alicante, grecanico e minnella ritrovo di più quello che potrebbe essere uno champagne francese, seppur la carbonica sia ormai fievolissima. Integro nella totale cangianza, un esempio di quanto si possa comunicare messaggi gustativi forti per sottrazione, riduzione del contenuto. L'acidità gessosa fa il verso ai grandi champagne, con però un coté morbido e denso di profumi  che spinge eventualmente a pensare a un dosato, ma infine si trangugia su quasi ogni cibo con la velocità della bibita estiva, dandoti insieme pensiero e goduria. Peccato sia poco e costoso. Se no sarei già addicted.
Pare che la 2011 nasca ufficialmente Metodo Classico. Ogni tanto è il vino stesso che suggerisce all'enologo come trattarlo. La sensazione nel berlo è proprio che abbia deciso quasi autonomamente dove andare.
Rosato da una vigna a 1300 metri con alberelli antichi, fino a 200 anni, coltivati col mulo.

lunedì 25 novembre 2013

Bricco della Serra 2009, Monferrato doc Dolcetto, Bera Vittorio e figli.

di Niccolò Desenzani



Ehh il Dolcetto di Bera...
Vecchio amore colla 2006, è vino indelebile. 
Eppure era un po' d'anni che non mi ricapitava.
Si parlava in questi giorni dell'imminente uscita dei vini di Cornelissen, e proprio il giorno prima di aprire questa bottiglia Eugenio ha bevuto il Contadino 10.
Per ironia, apri il Dolcetto Bricco della Serra 2009 e nel bicchiere c'è un nerello! 

Assolutamente enologicamente scorretto, ma di espressività pazzesca.
Un vino stupefacente dai sapori forti, carbonica da quasi rifermentazione, instabilità, odori fermentativi e batterici, vita selvaggia nel bicchiere. Ma una forza nel sorso, estremo eppur così bevibile, un vino-creatura-mitologica, con mille teste.
Tannino bello, del dolcetto, torrefazione che par d'esserci dentro, una freschezza che ti invade ogni poro, come l'odor della boscaglia d'autunno dopo la pioggia.
Vulcanico: che l'Etna sembra dietro l'angolo e non capisci come ciò possa accadere a Canelli!
Se c'è un vino dove la forza della natura si sente davvero questo è il Dolcetto di Bera 2009.

Una bestia!

*Scopro solo dopo aver avuto questa strana rivelazione della chimera dolcetto/nerello, che successe la stessa cosa a Luigi un paio di anni fa. Come diceva il buon Sherlock, due coincidenze fanno un indizio…
A voi la prova.

lunedì 4 febbraio 2013

Munjebel rosso 8




Munjebel rosso 8
Un vino alla Cornelissen?
O un vino dell’Etna?
Da sempre mi divido su Cornelissen, anche se gli si deve l’onore di avere portato l’Etna all’attenzione di molti.
E adesso molti ci marciano su questa visibilità acquisita e su questa immagine di vino di montagna (i vigneti veramente scoscesi sono pochi e sono sopra i 700 m slm, la maggior parte sono su pendenze molto basse se non quasi pianeggianti).
Il vino del produttore alchimista istrionico e affabulatore, più che della terra e della vite mi ha sempre lasciato perplesso.
L’Etna poi è un mondo che non contempla l’uomo (sempre troppo piccolo e fragile per poter competere con il vulcano) al centro del territorio, la presenza umana è sempre precaria, transitoria in questo paesaggio antracite, col pennacchio di fumi là in cima a ricordare la fragilità umana.
Pensieri i miei che sono svaniti all’apertura del Munjebel 8.
Posso parlare, glassare di concetti, di interpretazioni il mondo ma sarà sempre il mondo, la vita a sorprendermi e mettere in crisi le mie metanarrazioni.
Questo nerello mascalese ha una forza ed espressività che mi ha colpito e mi unisco con Gil Grigliatti che lo ha definito come uno dei migliori vini Italiani.
Mentre Gil parlava,Vittorio ed io versavamo e bevevamo il sangue di Vulcano.
Kampai

Luigi 


venerdì 2 settembre 2011

etnanord_randazzolinguaglossapassopisciaro

Etna
Altezza sopra il livello del mare 3.350 metri.
Un velo da sposa perennemente drappeggiato dal vento.

Nero inferno un po’ ovunque.
Sabbie basaltiche color bronzo.
Slavine di pietre gonfie come pop corn e altrettanto leggere.
Peso leggerezza fuoco terra acqua cielo mito.
Un territorio unico e affascinante.
Vegetazione rigogliosa e lussureggiante e conifere e profumi di resina.
Molti palmenti bellissimi abbandonati.


Testimoni di un passato enologico importante.
Ogni vigneto, un palmento la cui cantina aveva vasche in pietra e torchi e attrezzature integrate con la struttura dell’edificio.

Molte viti a piede franco.
Molti vigneti ad alberello (molto espanso, dei giganti nel loro genere).
Densità impressionanti, fino a 10.000 piante ettaro.
Nerello mascalese a farla da padrone.


Carricante dietro ad inseguire.
Perché i quarti di nobiltà, senza dubbio provengono dal genoma del Nerello mascalese.
Che con il Nero d’Avola e il Frappato appena sotto, sono nel mio Olimpo (personale e confutabile) dei vitigni Italiani nobili. Sempre che siano allevati nei territori loro congeniali.


Le zone di produzione (sto scrivendo a memoria perdonate alcune inesattezze) si dividono principalmente in nord, est e sud est il lato verso la città e il mare e il sud.
Anche se il sole illumina tutto il cono del vulcano, la zona nord rimane la più fredda.
Per cui la fascia altimetrica delle coltivazioni varia con il variare dell’esposizione.
A nord dai 400 ai 600 m s.l.m.
Nelle esposizioni sud dai 600 sino ai 1000 m s.l.m.
Il nord a detta di molti è il luogo di elezione del Nerello mascalese.
I migliori rossi provengono da Randazzo, Solicchiata, Passopisciaro, Linguaglossa.


Le condizioni estreme, come sempre, portano la pianta ad esprimere il meglio, a distillare personalità e finezza.
Fanno dei rossi di grande fascino con profili aromatici anche sorprendenti e io ho voluto sentire come trait d’union un ‘chè di affumicato e sulfureo in onore al vulcano.



I bianchi fanno un po’ fatica ovunque, malgrado grossi investimenti di grossi produttori.
Con le dovute eccezzioni di cui vi ho già parlato.
Aggiungo su stimolo Tirebouchon una nota a margine sulla politica dei prezzi dei vini etnei.
I prezzi dei vini mi sono parsi elevati, poi dei bianchi addirittura ingiustificati a fronte di latitanti qualità organolettiche.
Mi si potrà dire che è viticoltura di montagna, eroica.
Questo lo dice chi non è mai stato sull’etna, la fascia produttiva dai 400 ai 700 m s.l.m. è poco inclinata se non pseudo pianeggiante.
L’alberello sicuramente più costoso come lavorazioni è presente in tutta la Sicilia.
Temo che il prezzo sia più che altro figlio del marketing mediatico e dell’indiscutibile fascino del vulcano.



Però piuttosto che pagare 25 euro un bianco 2010 (a base chardonnay e riesling e un po’ di carricante) preferisco  bere a meno della metà un Catarratto del 2007.
Bonne degustation


Luigi