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giovedì 4 luglio 2013

BUD & TERENCE. di Eugenio Bucci

Adesso vanno i vini leggeri.
Leggeri in alcool, in consistenza, magari poco colorati. Alleggeriti e smagriti, disimpegnati e informali. Affusolati e guizzanti, magri e tonici come un'étoile della Scala. I vini glu glu. Con l'acidità che detta i ritmi. I vini da sete, i frizzanti, i vitigni ( o certi cloni di certi vitigni) più efebici.
Sono tanti i motivi. 
Prima di tutto, quando sono buoni, sono vini gorgo. Ti acchiappano e ti tirano giù. Sono gustativamente inarrestabili e concettualmente rilassanti. Attenzione: rilassanti, non inebetenti. 
E poi una certa stanchezza verso quei vini tutta-ciccia-e-brufoli, con l'effetto mappazzone (quella sensazione impastante alla fine del sorso), con una dinamica gustativa ad encefalogramma piatto. 
E poi le leggi anti-alcool e il conseguente crollo di consumi nella ristorazione e un cliente medio che cerca: a) di bere il meno possibile; b) di indirizzarsi verso vini il cui tasso alcoolico non sfiori i 12,5° (cliente medio che non riflette, alla fine, su come la differenza percentuale di alcool assunto in quantitativi ragionevoli, parliamo di 1 o 2 o 3 bicchieri, non di bacinelle, sia sostanzialmente irrisoria che i gradi siano 12 o 15). 
E poi la fase economica da soldi-sotto-il-materasso-e-chiappe-strette serial-drinkers ridotti così a: o diradare le bevute in generale, soluzione risibile e inimmaginabile; o diradare le bottiglie di un certo costo e rifornirsi di una batteria di bottiglie quotidiane eco(nomicamente)sostenibili le quali generalmente (non sempre, è ovvio) saranno prodotti base ottenuti da uve di minor peso (inteso sia geneticamente che a livello di maturazione, nota 1) se non addirittura prodotti sfusi, le famose damigiane e/o bottiglioni da battaglia accaparrate dal vignaiolo di fiducia (nota 2).
E ancora tanti altri motivi che dettano le regole della Stagione Del Bere 2012/13.
Come dice il Saggio, le buone regole dettano i rapporti tra noi e le cose, ma una grande eccezione è spesso una regola migliorata.
Quindi oggi si parla di due eccezioni. Due vinoni. Oni oni. Niente modelli efebici ed emaciati. Niente bobos. Due massicci blockbuster, due bull-dog da degustazione/competizione capaci di mettere sul piatto della bilancia potenza e controllo, masticabilità e beva. Due non-ti-scordar-di-me che colpiscono duro e vanno diretti al sodo. Due italiani che vanno in giro per il mondo a prendere a sberle tutti perché sono grossi e incazzati coi cattivi e gentili coi buoni. Ecco i vostri Bud Spencer & Terence Hill.
"Bud" Mida
A volte il Cabernet serve solo per allungare un po' l'altra uva. Ed è così quando l'uva in questione è il Montepulciano. Che nell'Offida Rosso Mida 2009 di Maria Letizia Allevi è circa il 90%. L'azienda fa parte di quella allegra combriccola chiamata Piceni Invisibili, un gruppo di marchigiani bio-tutto riunitisi attorno a Marco Casolanetti. Il Rosso Mida viaggia dalle parti di Oasi Degli Angeli come impostazione. Un fratellino, se vogliamo. Un Kurnino. Consistenze imponenti. Legno avvertibile, non un 200% di barrique nuove, ma comunque legno. Perché il Montepulciano può reggerlo e trarne giovamento, così ti dicono. E frutto maturo scalpitante sotto. 
4° anno di commercializzazione, quindi un vino in via di connotazione si potrebbe pensare. Ma il 4° anno fa il botto. A Cerea 2013 è stata una sberla in pieno viso. Forse il miglior rosso. E riassaggiato ancora e ancora, e ancora sberle su sberle. Mica è masochismo. E' uno spasso. Mica un Fight Club. Più una scazzottata al bar tra amici. Dopo sei gonfio ma felice, vivo. 
Per il colore da succo di prugna e 'sta roba densa che scivola lenta nel bicchiere. Per il naso di frutta matura e spezie, massiccio e disteso. Per la bocca che schiocca, un tappeto di tannini e dolcezza tenuti su dal filo acido. Perché conti i secondi e poi i minuti e il sapore non se ne va epperò senti la bocca pulita e pronta a ribere. 
Perché Altrimenti ci arrabbiamo e non meno di 93/100.
"Terence" Tinto
Fatemi pensare. Ero a Gusto Nudo e il posto sembrava un enorme secchiello per il ghiaccio, questo me lo ricordo, e una termo-coperta valeva oro e un produttore aveva messo delle candeline accanto alle bottiglie di rosso, così, per guadagnare qualche grado, e allora mi fermo davanti ad un banchetto e vedo tra la nebbia del mio alito l'immagine del Sole e mi si scalda il cuore, solo che non era il Sole ma un Sole e, più precisamente, un Sole di Veronelli. Era la Toscana, era la Maremma, era Capalbio. Era Il Cerchio
Io ero lì per assaggiare, lei era lì per far assaggiare. Intesa perfetta. Parto con una discreta-ma-nulla-di-più Ansonica 2012, poi un Sangiovese 2010 che si, beh, insomma. E poi andiamo verso il Sole (dell'avvenire). Tinto Alicante 2010. Che tutto Alicante non è, ci mettono anche un 15% di Sangiovese, ma non importa. Che il Sole l'ha preso con l'annata 2009, ma non importa. Importa quel bicchiere lì, il 23 marzo 2013 alle 5 del pomeriggio che sarebbero potute essere le 5 del mattino e l'alba (per me) di un nuovo grande vino. Un grande vino anche a 10°C nel bicchiere e fuori quasi la neve. E, nei mesi dopo, un grande vino in qualsiasi condizione. Un vino opaco, scuro, violaceo. Un vino/uva che se ne sbatte dei 16 mesi in tonneaux di rovere e tira fuori il suo caratterino, e certo, ceste di frutta e speziature extra-legno, ma anche note animali non grevi, note che completano e allungano il quadro aromatico, che indirizzano uno spettro aromatico verso la complessità naturale, dalle parti del Rodano, un Cornas di Allemand in versione ultra-sudista. Un vino tannico, maschio, potente. Dinamico, cangiante, nerboruto. In equilibrio dolce/amaro come pochi a queste vette di consistenza. Un Sole, di Veronelli e di tutti, da guardare senza bruciarsi gli occhi. 
Perché, qualche volta, Io sto con gli Ippopotavini: 94/100.

P.S.: Bud & Terence li trovate nei migliori cinema enoteche a meno di 15 €. Viva, come si dice, il nazional-popolare.

Nota 1i vini cosiddetti base che spesso costituiscono la vera fonte di reddito di un'azienda ed anche una sorta di biglietto da visita, quelli in cui concettualmente "Ci si fanno meno seghe mentali" come ebbe a riassumere un produttore tempo fa, vini che altrettanto spesso danno la paghetta alle varie Riserve e Selezioni puntando forte sulle loro armi, l'equilibrio e l'immediatezza, la semplicità non semplicistica.
Nota 2: una tradizione mai morta e che, se avete il naso da tartufo per la qualità, può riservare eccellenti sorprese e produrre un rapporto qualità/prezzo da paura. Una tradizione che agli albori del mio contatto col vino, quel buffo periodo degli assalti alle enoteche e ai ristoranti, sfiorai in una delle cattedrali d'allora, l'Osteria Del Povero Diavolo a Torriana che, allora, era davvero un'osteria e non lo chiccoso ristorante di adesso, dove Fausto, il patron/oste-che-più-oste-non-si-può, mi stappa un Montepulciano D'Abruzzo 1990 di Valentini e me la lascia sul tavolo e dice che prima dovevo assaggiare una cosa sfusa, così, come aperitivo, e mi porta la carraffetta de' coccio e mi versa 'sto bianco e io Cos'è? e lui Bevi, ed è buono buono buono e allora mi dice che è un Trebbiano e io sto per cantare Romagna mia e lui dice che è, ovviamente, il Trebbiano sfuso di Valentini ottenuto attraverso una specie di pellegrinaggio a Loreto Aprutino. Ecco che il concetto di sfuso si illuminò di una luce diversa. 
Ah. Se passate da Faenza e più precisamente da Sarna, fermatevi da Paolo Francesconi, girate le vigne, visitate il garage/cantina, comprate le bottiglie, ma non dimenticatevi di farvi riempire qualche tanica di Albana e Cabernet Sauvignon sfusi. Così, per restare nell'attualità.

10 commenti:

  1. Eugenio,
    ricordo un post di Mauro Erro che più o meno parlava di questa nuova moda dei vini Borgogna style che ha soppiantato e travolto anche ciò che c'era di buono tra i produttori di marmellate alcoliche.

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    1. Madonnina, proprio ora che torno da un tour in Francia dove ero circondato da litri e litri di Borgogna (style e non) e mi si è slogata la mascella a forza di berne. A breve un post...

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  2. Bello.
    Così bello che il leggerti mi ricorda quando traghettavo astemi alla corte di Bacco servendo Canà (Maule) accanto alle loro pietanze... e loro, come suggerivo, mangiavano e delicatamente annusavano... e spesso accadeva che al terzo o quarto pasto portavan quel bicchiere alle labbra, ed io godevo. Era un decennio fa, ed io quei Canà non li ho più bevuti. Semplice e sincero come il buon pane, intimo come una mamma che allatta, da bersi a pinte come birre in un pub irlandese.
    Grazie Luigi :)

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    1. Grazie a te, traghettatore paziente, io gli astemi cerco di rinsavirli infilandogli un tubo in bocca tipo oca :-)
      E gli ultimi Masieri e Sassaia sono da quelle parti.

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  3. Grazie Eugenio, hai approfondito perfettamente quel tuo commento sul vino gastronomico del post di Vittorio. Ma citi due vini che non conosco e che mi segno immediatamente :-)

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    1. Grazie Nic, il fatto è poi che quella dei vini "leggeri" (una definizione abbastanza ambigua, in effetti, e che può contenere vini molto diversi tra loro) è una categoria di cui sono bevitore compulsivo e amante quasi totale. E il post nasce dalla difficoltà di trovare vini di grande impatto palatale, "marmellatosi", che siano d'impatto e, allo stesso tempo, di grande beva. Ma, quando succede, l'emozione è forte e rivaluta un parametro che era per me importante, poi un po' meno: la consistenza. Che si si accoppia all'equilibrio è un matrimonio d'amore.

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  4. Devo smetterla di passare da queste parti... :-)
    adesso mi toccherà farmi questi 15km per assaggiare/acquistare qualche bott. di "kurnino"

    Grazie
    Andrea

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    1. Fai quei 15 km di pellegrinaggio, assaggia e se qualcosa va storto, torna pure ad insultarmi :-)

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    2. Dubito possa andar storto ;-) dopo il "kurnino" di Maria Pia Castelli non posso esimermi anche da questo assaggio! Buona serata.
      Andrea

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  5. Stappato ieri, un tipo tosto, decisamente massiccio e incazzato, ma poi si rivela un amicone!

    Andrea

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