Etna
Altezza sopra il livello del mare 3.350 metri .
Un velo da sposa perennemente drappeggiato dal vento.
Nero inferno un po’ ovunque.
Sabbie basaltiche color bronzo.
Slavine di pietre gonfie come pop corn e altrettanto leggere.
Peso leggerezza fuoco terra acqua cielo mito.
Un territorio unico e affascinante.
Vegetazione rigogliosa e lussureggiante e conifere e profumi di resina.
Molti palmenti bellissimi abbandonati.
Testimoni di un passato enologico importante.
Ogni vigneto, un palmento la cui cantina aveva vasche in pietra e torchi e attrezzature integrate con la struttura dell’edificio.
Molte viti a piede franco.
Molti vigneti ad alberello (molto espanso, dei giganti nel loro genere).
Densità impressionanti, fino a 10.000 piante ettaro.
Nerello mascalese a farla da padrone.
Carricante dietro ad inseguire.
Perché i quarti di nobiltà, senza dubbio provengono dal genoma del Nerello mascalese.
Che con il Nero d’Avola e il Frappato appena sotto, sono nel mio Olimpo (personale e confutabile) dei vitigni Italiani nobili. Sempre che siano allevati nei territori loro congeniali.
Le zone di produzione (sto scrivendo a memoria perdonate alcune inesattezze) si dividono principalmente in nord, est e sud est il lato verso la città e il mare e il sud.
Anche se il sole illumina tutto il cono del vulcano, la zona nord rimane la più fredda.
Per cui la fascia altimetrica delle coltivazioni varia con il variare dell’esposizione.
A nord dai 400 ai 600 m s.l.m.
Nelle esposizioni sud dai 600 sino ai 1000 m s.l.m.
Il nord a detta di molti è il luogo di elezione del Nerello mascalese.
I migliori rossi provengono da Randazzo, Solicchiata, Passopisciaro, Linguaglossa.
Le condizioni estreme, come sempre, portano la pianta ad esprimere il meglio, a distillare personalità e finezza.
Foti, Alice Bonaccorsi, Graci, Girolamo Russo, Terre Nere, Passopisciaro, Pietra Dolce, Passo Cannone, Il Cantante, Cornelissen, Calabretta.
Fanno dei rossi di grande fascino con profili aromatici anche sorprendenti e io ho voluto sentire come trait d’union un ‘chè di affumicato e sulfureo in onore al vulcano.
I bianchi fanno un po’ fatica ovunque, malgrado grossi investimenti di grossi produttori.
Con le dovute eccezzioni di cui vi ho già parlato.
Aggiungo su stimolo Tirebouchon una nota a margine sulla politica dei prezzi dei vini etnei.
I prezzi dei vini mi sono parsi elevati, poi dei bianchi addirittura ingiustificati a fronte di latitanti qualità organolettiche.
Mi si potrà dire che è viticoltura di montagna, eroica.
Questo lo dice chi non è mai stato sull’etna, la fascia produttiva dai 400 ai 700 m s.l.m. è poco inclinata se non pseudo pianeggiante.
L’alberello sicuramente più costoso come lavorazioni è presente in tutta la Sicilia.
Temo che il prezzo sia più che altro figlio del marketing mediatico e dell’indiscutibile fascino del vulcano.
Però piuttosto che pagare 25 euro un bianco 2010 (a base chardonnay e riesling e un po’ di carricante) preferisco bere a meno della metà un Catarratto del 2007.
Bonne degustation
Luigi
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