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venerdì 2 settembre 2011

etnanord_randazzolinguaglossapassopisciaro

Etna
Altezza sopra il livello del mare 3.350 metri.
Un velo da sposa perennemente drappeggiato dal vento.

Nero inferno un po’ ovunque.
Sabbie basaltiche color bronzo.
Slavine di pietre gonfie come pop corn e altrettanto leggere.
Peso leggerezza fuoco terra acqua cielo mito.
Un territorio unico e affascinante.
Vegetazione rigogliosa e lussureggiante e conifere e profumi di resina.
Molti palmenti bellissimi abbandonati.


Testimoni di un passato enologico importante.
Ogni vigneto, un palmento la cui cantina aveva vasche in pietra e torchi e attrezzature integrate con la struttura dell’edificio.

Molte viti a piede franco.
Molti vigneti ad alberello (molto espanso, dei giganti nel loro genere).
Densità impressionanti, fino a 10.000 piante ettaro.
Nerello mascalese a farla da padrone.


Carricante dietro ad inseguire.
Perché i quarti di nobiltà, senza dubbio provengono dal genoma del Nerello mascalese.
Che con il Nero d’Avola e il Frappato appena sotto, sono nel mio Olimpo (personale e confutabile) dei vitigni Italiani nobili. Sempre che siano allevati nei territori loro congeniali.


Le zone di produzione (sto scrivendo a memoria perdonate alcune inesattezze) si dividono principalmente in nord, est e sud est il lato verso la città e il mare e il sud.
Anche se il sole illumina tutto il cono del vulcano, la zona nord rimane la più fredda.
Per cui la fascia altimetrica delle coltivazioni varia con il variare dell’esposizione.
A nord dai 400 ai 600 m s.l.m.
Nelle esposizioni sud dai 600 sino ai 1000 m s.l.m.
Il nord a detta di molti è il luogo di elezione del Nerello mascalese.
I migliori rossi provengono da Randazzo, Solicchiata, Passopisciaro, Linguaglossa.


Le condizioni estreme, come sempre, portano la pianta ad esprimere il meglio, a distillare personalità e finezza.
Fanno dei rossi di grande fascino con profili aromatici anche sorprendenti e io ho voluto sentire come trait d’union un ‘chè di affumicato e sulfureo in onore al vulcano.



I bianchi fanno un po’ fatica ovunque, malgrado grossi investimenti di grossi produttori.
Con le dovute eccezzioni di cui vi ho già parlato.
Aggiungo su stimolo Tirebouchon una nota a margine sulla politica dei prezzi dei vini etnei.
I prezzi dei vini mi sono parsi elevati, poi dei bianchi addirittura ingiustificati a fronte di latitanti qualità organolettiche.
Mi si potrà dire che è viticoltura di montagna, eroica.
Questo lo dice chi non è mai stato sull’etna, la fascia produttiva dai 400 ai 700 m s.l.m. è poco inclinata se non pseudo pianeggiante.
L’alberello sicuramente più costoso come lavorazioni è presente in tutta la Sicilia.
Temo che il prezzo sia più che altro figlio del marketing mediatico e dell’indiscutibile fascino del vulcano.



Però piuttosto che pagare 25 euro un bianco 2010 (a base chardonnay e riesling e un po’ di carricante) preferisco  bere a meno della metà un Catarratto del 2007.
Bonne degustation


Luigi

 
















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