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lunedì 18 ottobre 2010

il mattino ha l'oro in bocca

Sono un architetto torinese, ho 44 anni da 15 anni mi interesso di enogastonomia per puro diletto e ho cominciato a scriverne per gioco dopo aver proposto a un amico scrittore la stesura di un libro sulla falsa riga di “Vino al Vino” di M.Soldati. Il suo rifiuto mi ha stimolato a scrivere e un altro mio amico “bottegaio” mi ha permesso di fare una capatina nella sua mail list per ammorbare i suoi clienti con temi enologici alcuni dei quali saranno riversati nel blog .

Perché un blog? Perché un blog di vini e di cucina?
Ne mancavano forse?
Non credo ma certe volte mi pare che l’informazione non sia in sincrono con quello che la gente vuol sentire.
Oppure, soprattutto i blog, imperniano tutto sulle polemiche e sullo scontro.
Io ormai ne ho abbastanza delle contrapposizioni, sono convinto della complessità del vivere e delle contaminazioni della vita, peraltro inevitabili e forse positive.
Quindi bando ai massimalismi e alle contrapposizioni manichee, basta alle urla, vorrei scrivere sussurrando e rispettando gli ecosistemi emozionali dei lettori.
1) vorrei parlare di vini pensati e sognati e bevuti;
2) vorrei parlare di cultura gastronomica;
3) vorrei parlare di agricoltura e enologia;
4) vorrei parlare anche un po’ tecnico e mi riservo il diritto di essere palloso;
5) vorrei parlare di tutto ciò a neofiti del vino;
6) vorrei parlare di piccoli produttori;
7) vorrei riuscire a scriverne in maniera diversa;
8) voglio poter cambiare idea sui punti dall’uno al sette.

Luigi Fracchia


Sono diventato, mio malgrado, Sommeliere nel maggio del 2010, una esperienza che vi racconterò.
Un ulteriore ringraziamento a Ste e Francesco pazienti lettori delle mie bozze deliranti e Marco amico da tanto, uno dei pochi autorizzati a chiamarmi “Gino”.






BIO BIO
bio...bio cosa?
Questi interventi (sei) sono nati da una conversazione avuta con Rosario Levatino ai primi di settembre sulle produzioni di vino biologiche e biodinamiche e alcuni sono stati inviati tramite la mail list di Rosario ai suoi clienti. Per mia scelta ho deciso di non modificarle e presentarle cosi come sono nate.




1) Carissimi,
è tempo di rientri e forse, avendo un po' preso le distanze dalla città, di ripensamenti sulla natura e sulla terra (intesa come DEMETRA madre terra).
Così è stato per Rosario ed il sottoscritto che pur non sentendoci per 5 o più settimane, rivedendoci dopo le vacanze in Sicilia abbiamo all'unisono parlato di vini e vignaioli "bio".
Forse è tempo di parlare di approcci differenti all’agricoltura rispetto a quella chimica o industriale. Il tema è un po' complesso ma cercherò di riassumere e semplificare per non annoiarvi.
Prima però ecco alcuni suggerimenti per sane bevute:

Rosario consiglia i vini di la "Porta del Vento", produttore Biologico di Camporeale (PA) che ricade nelle DOC Alcamo e nella DOC Monreale (di più recente istituzione ha allargato le maglie delle varietà consentite includendo vitigni internazionali come cabernet, chardonnay etc,.), sia i bianchi a base Cataratto bianco sia i rossi a base Perricone e/o Calabrese (Nero d'Avola) in vendita presso il suo negozio.
Il Cataratto bianco 2008 che ho assaggiato era molto intrigante, giallo paglierino intenso, al naso frutta molto matura, agrumi, sbuffi mielati in bocca rotondo e ben bilanciato, giusta acidità grande serbevolezza ottimo su uno stoccafisso mantecato con olio extravergine di cultivar Nocellara del Belice con polentine tostate.

Io vi consiglio i vini di Antonino Barraco produttore “naturale” di Marsala (TP) nell'omonima DOC, sia i bianchi a base Grillo, Cataratto bianco o Zibibbo sia il rosso a base Perricone o Calabrese (Nero d'Avola). Lo Zibibbo 2006 è ottimo, fresco, quasi salmastro con intense sensazioni di erbe aromatiche come salvia, finocchietto, macchia mediterranea e frutta come il melone maturo, la scorza d’arancia una goduria sul pesce spada in umido con capperi e olive o su dei caprini. Purtroppo non è disponibile da Rosario, se lo trovate non fatevelo sfuggire.

Queste tre DOC della Sicilia occidentale si intrecciano e si sovrappongono e pescano da un patrimonio ampelografico comune come si intuisce dalle varietà coltivate dai i vignaioli in questione che hanno puntato proprio sui vitigni autoctoni tipici della zona (gli stessi che danno vita al Marsala sia in versione Oro sia Rubino) ma le assonanze territoriali finiscono qua perchè il terroir è molto differente, Barraco in contrada Fontanelle è al livello del mare su terreni misti sciolti anche sabbiosi con forte vento salmastro e scarsa escursione termica, la"Porta del Vento" invece è nell'entroterra a 600 m slm su terreni sabbiosi poco profondi con sottostante roccia calcarea, molto drenanti con forti escursioni termiche e un vento incessante.
Entrambe hanno ignorato le DOC e i loro disciplinari forse per derive anarcoidi forse perché le regole dovrebbero avere delle eccezioni  e stimolare le sperimentazioni piuttosto che irretire in lacci e lacciuoli.
Entrambe hanno lavorato duramente per ottenere vini moderni da varietà difficili, selezionate nei secoli con intenti molto lontani da quelli attuali ma che sicuramente vantano un adattamento alle condizioni pedoclimatiche imbattibili.
Entrambe poggiano su un terreno ostile, arido, infuocato dal sole e dai venti ma proprio nella lotta per la sopravvivenza e nell’intimo legame fra la pianta e l’ambiente che la vite esalta le sue qualità riducendo autonomamente la produzione, autolimitando la vigoria, concentrando in pochi grappoli gli zuccheri, i polifenoli e gli estratti.
Entrambe usano metodi di coltivazione "naturale" che privilegiano la salute della pianta e dell'ecosistema agricolo in cui cresce a dispetto di una concezione convenzionale dell'allevamento in cui la terra, il suolo è un supporto amorfo da arricchire (concimazioni inorganiche) e le patologie malattie da debellare con i trattamenti fitosanitari.
Entrambe vinificano in "rosso" (ossia con macerazioni sulle bucce) anche i bianchi intervenendo pochissimo sui mosti (non innescano le fermentazioni con lieviti selezionati), usano poca solforosa, stabilizzano i vini con la malolattica, non li filtrano affinchè le fecce nobili arricchiscano e proteggano naturalmente il prodotto.
Una concezione Olistica versus una concezione Riduzionista.

Per chi ama leggere consiglio:
Nicolas Joly (guru del biodinamico e produttore di vino a Savenniere) “La vigna, il vino e la biodinamica.”,       2008, Bra, Slow Food Editore.

Per oggi può bastare.
buona bevuta e buona lettura
luigi                                                                                                                  



2)Carissimi,
abbiamo iniziato il viaggio nel bio-logico, bio-dinamico un percorso che come un labirinto confonderà, esalterà, annoierà, di sicuro non risponderà ad alcuna delle vostre domande.
Si intende per agricoltura convenzionale o intensiva o industriale quella nata fine ottocento primi del novecento sia dalle scoperte delle scienze moderne (chimica, botanica, medicina) sia dalla industria  e dalla necessità di sfamare sempre nuova popolazione inurbata
Iniziale teorico fu J. von Liebig chimico tedesco il quale scoprì che i vegetali consumano per crescere azoto, fosforo e potassio. La sua teoria si basò sull’inutilità del suolo se non come contenitore di N, P, K necessari per le colture, quindi teorizzò l’uso sistematico dei concimi chimici per compensare le perdite e per poter così coltivare sempre le stesse colture sugli stessi terreni, liberandosi dalle pastoie delle rotazioni agricole. L’azoto però è stato sempre impossibile da sintetizzare artificialmente e solamente nel secondo dopoguerra grazie agli studi del chimico tedesco F. Haber e alla tecnologia sviluppata da Bosch, sulla produzione industriale (a scopo bellico) dell’azoto, l’agricoltura si è definitamente liberata dai cicli  naturali ed ha potuto accedere a quantità illimitate di azoto per concimare le coltivazioni, assorbendo le rimanenze di nitrato d’ammonio bellico, agganciandosi ai processi industriali ed ai suoi costi energetici. “Anziché attingere esclusivamente alla fonte solare, l’umanità ha iniziato a bere i primi sorsi di petrolio” M. Pollan.
La meccanizzazione delle lavorazioni che ha portato ad intervenire con forza e brutalità sui suoli rivoltandoli in profondità, l’industria chimica che ha sviluppato negli anni sempre nuovi diserbanti, pesticidi anche sistemici e pratiche come la bromurazione dei terreni hanno fatto il resto.

Biologico e Biodinamico sono nati per contrastare l’agricoltura convenzionale e per cercare di tornare verso concezioni meno utilitaristiche e più sostenibili delle produzioni agricole;  hanno, però, modi di affrontare le pratiche agricole molto lontane tra loro, la prima ”metodica” è più scientifica, esiste anche un corso di laurea specifico alla Facoltà di Agraria e affronta le problematiche in maniera più simile alla coltivazione convenzionale cioè con un approccio scientifico-riduzionistico volto a risolvere i singoli problemi nella sequenza in cui si presentano e con cure che sono simili a quelle tradizionali ma utilizzano prodotti non tossici di derivazione naturale: vegetale come il piretro o i macerati di aghi di pino, animale come il latte, gli estratti di bacillus  thuringiensis e i concimi organici al più minerale come il solfato rame e lo zolfo.
La Biodinamica è invece un approccio olistico, antroposofico teorizzato da Rudolf Steiner ai primi del novecento. Secondo Steiner e i suoi discepoli “l’antroposofia è una via della conoscenza che vorrebbe condurre lo spirituale che è nell’uomo allo spirituale che è nell’universo”. Postulano l’esistenza di un mondo spirituale obiettivo e comprensibile, investigabile con il metodo scientifico. Nella realtà hanno sviluppato una concezione dell’ecosistema agricolo come unicum in perenne tensione tra la terra, il sole e gli astri e le malattie sono degli squilibri di questo ordine dinamico del mondo e come tali vanno affrontati, per cui i trattamenti sono a base esclusivamente di componenti naturali (il corno silice, il corno letame, gli infusi di piante con doppie valenze sia interiori, spirituali sia materiali) meglio se auto prodotti (per questo sono invisi dalle industrie chimiche), da applicare, con metodi che ricordano l’omeopatia, seguendo il calendario lunare. Il compito del contadino biodinamico è bilanciare queste attrazioni fra la terra (radici) e il sole, gli astri (le foglie che paiono fondersi con la luce).
Le aziende che vogliono fregiarsi in etichetta dell’appellativo Biologico o Biodinamico devono seguire i protocolli produttivi consigliati e poi farsi certificare dagli enti preposti, i controlli sono annuali.
I viticoltori possono certificare Bio solo l’uva e non il vino per cui in etichetta si leggerà “vino prodotto con uve provenienti da coltivazioni biologiche/biodinamiche”.
Questo aspetto per quanto bizzarro in realtà segnala la complessità della produzione del vino che non si ferma agli aspetti agronomici ma continua e con grandi polemiche nel chiuso delle cantine.
Le dizioni biologico e biodinamico sono di fatto delle certificazioni di applicazione di protocolli produttivi unificati e riconosciuti a livello europeo, ciò secondo alcuni porterebbe ad un aumento di valore aggiunto del prodotto senza un significativo miglioramento della qualità, ai detrattori faccio notare che gli unici agricoltori che accettano i controlli sono quelli biologici, biodinamici e quelli sottoposti a protocolli sperimentali con uso di sostanze chimiche a basso impatto ambientale. Le azienda agricole convenzionali si guardano bene dal farsi sorvegliare o anche solo dal rendere note le sostanze di sintesi e quelle sistemiche utilizzate per le produzioni e i loro dosaggi, per cui ragionevolmente la pasta che avete appena mangiato sarà contaminata da pesticidi e diserbanti (largamente utilizzati nelle coltivazioni cerealicole) ma non sono tenuti a dirlo a nessuno, buona digestione!

Vini consigliati per ristorarsi dopo la lettura.

Rosario consiglia i vini dell’ Az.Agr. Biologica “Il Monticello” di Sarzana che ricade nella Doc Colli di Luni una doc interegionale tra la Liguria in provincia di La Spezia al sud e la Toscana in provincia di Massa Carrara, luogo di elezione del Vermentino e per i rossi inizia l’epopea del Sangiovese toscano che dicono avrà nuova linfa e si ricostruirà una credibilità a partire dalle doc della costiera da Luni (MS) a Capalbio (GR).
Il Vermentino 2009 ha un colore giallo paglierino con riflessi verdi, profumi di fiori e frutta quasi immatura, è  abbastanza intenso e persistente con una piacevole sensazione amaricante, fresco con una spina acida che sgrassa la bocca, io l’ho bevuto e apprezzato su una aringa dolce affumicata con patate “La Ratte” di montagna e olio di mono cultivar di olive Ascolana dell' az.agr.bio.Livia e Amurri Foglini a Petritoli (AP).

Io vi consiglio un vino di Frank Cornelissen prodotto in Sicilia a Solicchiata (CT) sulle pendici dell’Etna il Munjebel, le vigne ad alberello di carricante, grecanico dorato, coda di volpe, sono curate a mano in regime naturale senza prodotti di sintesi e le uve poi sono vinificate senza controllo delle temperature con macerazioni sulle bucce senza lieviti selezionati. Il risultato è un vino difficile a cui io non so dare giudizi, lievemente ossidato sia nel colore sia in bocca con sbuffi di profumi inebrianti di arancia amara o erbe aromatiche alternati a spunto acetico un po’ fuori misura e una bocca un po’ bruciante e un po’ appagante. Bevetelo e poi ditemi voi, forse non sono ancora pronto per prodotti così.

Per chi ama leggere consiglio:
Sir Albert Howard (agronomo inglese inviato in India per migliorare le tecniche colturali e antesignano del
biologico)  “I Diritti della Terra”, 2005, Bra, Slow Food Editore.

Michael Pollan, “il dilemma del’onnivoro”, 2008, Milano, Adelphi


Per oggi può bastare.
buona bevuta e buona lettura
luigi                                                                     

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