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giovedì 21 ottobre 2010

c'è post per te

Rubrica per neofiti o neoappassionati.
Come nasce il vino?
Dall’uva che è il frutto della: genere vitis, sottogenere vitis, specie europea, sottospecie sativa e silvestris.
La vitis è stata addomesticata (questo ve l’ho già detto in “invenzione della tradizione”) circa 6.000 anni fa.
Le piante sono coltivate in vigneti ormai mono varietali con fittezze di piante per ettaro variabili (da 1.000 a 20.000), hanno un ciclo vitale: crescono (inizio produzione 4, 5 anni di età, maturità e continuità produttiva fino a 25 anni, senescenza e morte (anche più di 100 anni), un ciclo vegetativo (riferito alla chioma e ai rami) e un sotto ciclo produttivo (riferito alla fioritura, fecondazione, formazione dei grappoli e maturazione degli acini).
Ho lungamente ragionato sull’impostazione classica della didattica sul vino che parte da questi aspetti agronomici per trattare poi l’enologia e le sue tecniche di elaborazione dei vini.
Al termine del ragionamento mi sono detto che lo schema è troppo rigido.
L’obbiettivo principale per l’appassionato, altra cosa per il tecnico, è quello di riallineare le percezioni di una società inurbata la quale, ormai, crede o le fanno credere che ciò che mangia sia industriale e non agricolo e quindi intimamente legato ai cicli stagionali e solari.
Quanti di voi sanno in quanto cresce un’insalata, un broccolo, una patata, un pomodoro? Per gioco sarebbe interessante me lo scriveste sui commenti.
Non crediate che voglia fare il maestrino, anch’io dopo anni di orticoltura hobbistica, ci devo pensare prima di rispondere e ogni volta che entro nell’orto devo spogliarmi dell’abito di “omo industrialis, sottospecie metropolitana” per sintonizzarmi su frequenze sconosciute. Forse , un sistema per comprendere cosa “percepisce” una pianta,  potrebbe essere quello di sdraiarcisi accanto e guardare il cielo, infilare le dita nel terreno come radici e sentire l’umido della terra tra le scapole, il tocco delle erbe sulle guance, il frenetico e incessante brulicare degli insetti, il vento e la pioggia e il sole sulla faccia, il silenzio rumoroso dello scorrere del tempo,  allora  potremmo intuire il mondo dei vegetali.
Le piante non sono delle entità a sè stanti avulse dal contesto ma vivono nel e dell’ambiente in cui sono calate, lo influenzano e ne sono influenzate in un continuo feed back di azioni e reazioni.
I vegetali sono foto, crono, chemio, termo sensibili, hanno percezioni tattili  ogni azione esterna viene percepita e analizzata e mette in moto delle risposte fisiologiche mirate alla conservazione dell’individuo e della specie.
Leggono e sono letti dal mondo circostante con paziente efficienza, questa mi pare una buona approssimazione di quello che i francesi definiscono “Terroir”.
Questa sensibilità ambientale spiega perché certe varietà si adattino (si siano nel tempo adattate) meglio di altre a particolari condizioni pedologiche e geografiche anche con interventi colturali umani, un esempio lampante sono gli agrumi che derivano da piante del sottobosco della foresta pluviale del sud-est asiatico i cui frutti sono pressoché immangiabili tanto sono acidi, duri e amari.
I giardinieri Siciliani e poi Campani, Pugliesi nei secoli ne hanno forzato la resistenza all’insolazione diretta, al vento, hanno selezionato per talea (selezione clonale) gli individui più resistenti, produttivi e organoletticamente più rilevanti in un processo instancabile di interazioni pianta-uomo-ambiente.
Un processo simile ma ancora più lungo ha subìto la vite che allo stato naturale è una pianta rampicante e/o strisciante anch’essa del sottobosco, presente in gran parte delle regioni temperate del mondo, irriconoscibile rispetto alla varietà Sativa che si esibisce nei bellissimi panorami vitati del mondo dalle Langhe ai pendii del Rheingau.
Quindi per avere dell’uva bisogna piantare la vite, nei terreni suoi congeniali, allevarla (guyot, cordone speronato, alberello, pergola etc.), potarla perché abbia sempre delle branche che fruttifichino e ogni anno raccoglierne i frutti maturi pronti per essere vinificati. Le piante nel corso della stagione e della loro vita, con i loro frutti, interpreteranno il mondo che le circonda e il vino sarà il loro giudizio sul clima e sul nostro operato.

Per ristorarsi dalle fatiche della lettura consiglio di sorseggiare:
Produttore Tenuta le Calcinaie di Simone Santini a S.Gimignano nel pieno dell’unica docg “bianca” della Toscana l’omonima Vernaccia di S.Gimignano Docg. Il  vino da uve certificate bio la Vernaccia di S.Gimignano Vigna ai Sassi docg riserva 2005. Un vino che va aspettato due o tre anni dalla messa in commercio, ora il 2005 è buonissimo e complesso e appagante E’ di un colore giallo paglierino intenso con riflessi oro, vivace e brillante il naso intenso di pietra focaia e di agrumi anche lievemente canditi con leggere memorie di idrocarburi, zafferano e zagare, in bocca miele e agrumi maturi supportato da una spina acida rinfrescante e da una sapida e piacevole mineralità, buonissimo su una trota fario alle erbe e preburgiu.

Produttore Osvaldo Barberis a Dogliani (CN) nel pieno della docg “Dolcetto di Dogliani Superiore”. Il vino da uve certificate biologiche il Puncin 2008 Dolcetto di Dogliani Superiore docg affinamento in botte grande.
Setoso e brillante con spezie e corteccia e frutta una certa vena vegetale di geranio e un po’ di humus, dolce  di liquerizia e viola (il profumo del butun del preive) ravvivato da tannini robusti ma morbidi e da una acidità levigata e pulsante. Ottimo anche su un panino con toma di montagna, splendido con cavateddi al ragù bianco di agnello, da provare come un tempo su salame fresco e pane a pasta dura.

Per chi ama leggere consiglio:
AAVV, “Il piacere del vino”, Bra (CN), Slow Food Editore, 1993.
AAVV, “Il mondo del Sommelier”, Milano, Associazione Italiana Sommeliers Editore, 2005.
Mario Fregoni, “Viticoltura di qualità”, Verona, L’informatore Agrario, 1998 non proprio rilassante.

Per oggi può bastare.
buona bevuta e buona lettura
luigi      

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