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lunedì 25 ottobre 2010

non è tutto oro ciò che luccica

Ho deciso di iniziare la seconda settimana di pubblicazioni con lo stesso identico incipit per ricordarmi e ricordarvi che sono in una fase di rodaggio, sia dei temi sia delle impostazioni grafiche della piattaforma blogspot.

Sono un architetto torinese, ho 44 anni da 15 anni mi interesso di enogastonomia per puro diletto e ho cominciato a scriverne per gioco dopo aver proposto a un amico scrittore la stesura di un libro sulla falsa riga di “Vino al Vino” di M.Soldati. Il suo rifiuto mi ha stimolato a scrivere e un altro mio amico “bottegaio” mi ha permesso di fare una capatina nella sua mail list per ammorbare i suoi clienti con temi enologici alcuni dei quali saranno riversati nel blog .

Perché un blog? Perché un blog di vini e di cucina?
Ne mancavano forse?
Non credo ma certe volte mi pare che l’informazione non sia in sincrono con quello che la gente vuol sentire.
Oppure, soprattutto i blog, imperniano tutto sulle polemiche e sullo scontro.
Io ormai ne ho abbastanza delle contrapposizioni, sono convinto della complessità del vivere e delle contaminazioni della vita, peraltro inevitabili e forse positive.
Quindi bando ai massimalismi e alle contrapposizioni manichee, basta alle urla, vorrei scrivere sussurrando e rispettando gli ecosistemi emozionali dei lettori.
1) vorrei parlare di vini pensati e sognati e bevuti;
2) vorrei parlare di cultura gastronomica;
3) vorrei parlare di agricoltura e enologia;
4) vorrei parlare anche un po’ tecnico e mi riservo il diritto di essere palloso;
5) vorrei parlare di tutto ciò a neofiti del vino;
6) vorrei parlare di piccoli produttori;
7) vorrei riuscire a scriverne in maniera diversa;
8) voglio poter cambiare idea sui punti dall’uno al sette.

Luigi Fracchia


Sono diventato, mio malgrado, Sommeliere nel maggio del 2010, una esperienza che vi racconterò.
Un ulteriore ringraziamento a Ste e Francesco pazienti lettori delle mie bozze deliranti e Marco amico da tanto, uno dei pochi autorizzati a chiamarmi “Gino”.






BIO BIO
bio...bio cosa?
Questi interventi (sei) sono nati da una conversazione avuta con Rosario Levatino ai primi di settembre sulle produzioni di vino biologiche e biodinamiche e alcuni sono stati inviati tramite la mail list di Rosario ai suoi clienti. Per mia scelta ho deciso di non modificarle e presentarle cosi come sono nate.

3)Carissimi,
torniamo a noi affermando l’unica verità (in attesa che venga sconfessata) che sottende alla diatriba tra colture convenzionali e bio: gli organismi vegetali sembrano svilupparsi meglio e dare prodotti di qualità organolettiche decisamente superiori se allevate con metodi naturali in assenza di concimazioni chimiche, trattamenti fitosanitari, arature profonde e con moderati interventi irrigui; qualcuno chiama effetto diluizione ciò che affligge i prodotti convenzionali.
Le piante, nelle colture bio, sviluppano una naturale resistenza alle aggressioni delle malattie o infestazioni di parassiti; gli organismi vegetali in un ambiente competitivo, producono sostanze naturalmente destinate alla protezione della pianta come i polifenoli ed altri antiossidanti naturali che la rendono più robusta ma anche più buona (ho personalmente verificato tutto ciò, le banali insalate verdi coltivate in montagna per la reazione al potente irraggiamento solare diurno e al freddo notturno e alla relativa aridità sviluppano foglie di un verde molto più intenso e brillante, la consistenza è più tenace e le superfici più bollose e vi giuro che il sapore non è paragonabile a quelle di pianura).
E’ ormai assodato che gran parte del lavoro sporco è affrontato dal consorzio microbico presente nel terreno che con le micorrize (rapporto simbiotico tra funghi e apparato radicale delle piante) espande e integra le funzioni dell’apparato radicale permettendo di moltiplicare per 600 volte la superficie dello stesso, migliorandone le capacità di assorbimento dell’acqua e delle sostanze disciolte nel suolo.
Da questa discende un’altra, forse ultima, certezza che meno si intossica e si desertifica il terreno, migliori saranno i risultati agronomici, è provato che l’uso anche non continuativo di diserbanti riduce in maniera sensibile il consorzio microbico (che poi, qualitativamente, non si rigenera più anche dopo lunghi periodi di sospensione), stesso discorso vale per la pratica insensata dell’aratura profonda (che modifica l’ecosistema dei microorganismi presenti nel terreno), per le colture scoperte (senza inerbimento o pacciamatura del terreno che con le piogge si dilava e innesca processi di erosione, di lisciviazione dei composti umici e di desertificazione), per le concimazioni inorganiche che essendo sempre sovradosate tendono a salificare il terreno, a distruggerne l’equilibrio biochimico e una volta dilavati i nitrati finiscono in falda ad inquinare le acque; noi  tutt’oggi usiamo diffusamente tutte queste pratiche suicide.
Il suolo e l’humus non sono un supporto amorfo, sono la matrice viva e vitale dell’agricoltura e sono terribilmente fragili, il loro spessore medio non supera il metro.
Il microbiologo Giusto Giovannetti sostiene che il concetto di terroir in viticultura (ma non solo) è da imputare alla estrema variabilità geografica del consorzio microbico che è sessile quindi incapace di spostarsi, per cui i nebbioli di Barbaresco sono in simbiosi con microbi diversi da quelli di Barolo e il risultato è che i diversi microrganismi in un processo di ingegneria genetica (Epigenetica), cambiano l’espressione genica delle piante leggendo pezzi di dna, detto dna spazzatura e lo interpretano in maniera differente tra un consorzio e l’altro (quindi tra un luogo e un altro) e producono quindi profili aromatici differenti.
Così, sostiene Giovannetti, si hanno Barbaresco, Barolo, Roero rosso, Carema, Gattinara, Ghemme, Lessona, Donnas etc. cioè diverse interpretazioni del dna del Nebbiolo da parte di microbi diversi che ne modificano le caratteristiche aromatiche.
A fronte di queste scoperte della microbiologia si capisce come mai in territori fortemente vocati con grandi interessi economici e di mercato si è iniziato da alcuni anni, in sottotraccia ma senza tentennamenti, a riconvertire i vigneti alla coltivazione biologica se non biodinamica. Molti produttori della Borgogna e della Cotes du Rhone infatti lamentavano da tempo un progressivo ma inarrestabile peggioramento della sanità dei vigneti e delle uve, in parallelo ad una semplificazione organolettica dei vini.
Molti di questi produttori come il Domaine de la Romanée-Conti, a Vosne-Romanèe in borgogna nella Cote d’ Or, sono quanto di più lontano ci sia dalla filosofia Steineriana ma molto concretamente hanno, per evitare il crollo qualitativo e di quotazione dei loro gioielli come il La Tache e il Grands Echézeaux, abbracciato le sue metodiche e oggi lavorano i vigneti  di La Tache, Richebourg e Montrachet con i cavalli (in Francia da qualche anno c’è anche un diploma in Agronomia Biodinamica).

Vini consigliati per ristorarsi dopo la lettura. Mettete mano al portafogli e compratevi:
produttore il Domaine de la Romainée-Conti a Vosne-Romanée, il vino il La Tache annata 1999 (io sinceramente non l’ho mai bevuto per cui mi aspetto la recensione da uno di voi).
Con molto meno da Rosario ai Sapori d’Italia:
Produttore la Porta del Vento a Camporeale (PA), il vino il Maquè 2008 blend di perricone e calabrese (nero d’avola). Rosso rubino intenso, cangiante, profumi freschi di frutta rossa, minerale quasi terroso, ricordi di macchia mediterranea. Appagante in bocca, tannini un po’ polverosi. Io lo abbinerei al Tonale, formaggio a pasta cotta (forse pressata) che ho assaggiato da Rosario oppure sulla Sola ottimo anche su carni alla brace.

Per chi ama leggere consiglio:
Claude e Lydia Bourguignon, “Il suolo un patrimonio da salvare”, 2004, Bra, Slow Food Editore.
Giusto Giovannetti e altri “Il vero vino naturale” atti del convegno di Trento dicembre 2009, pg 90  e sgg in “Porthos. Ribelle, nobile, disperato” n° 35 inverno-primavera 2010, Roma, Porthos Edizioni s.r.l.

Per oggi può bastare.
buona bevuta e buona lettura
luigi                                                                                                              

1 commento:

  1. Ottime lezioni anche se un po' lunghe. Poetici i racconti delle degustazioni. Magnifiche le cronache delle escursioni gastronomiche, che, in effetti, sono cronache di incontri ed interessanti aperture interpersonali, in tono sommesso elegante e ...... sintetico. (Quest'ultima è una lisciatina sicula)
    In conclusione...grazie.
    Garden

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