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domenica 10 marzo 2013

Il post “ho consigliato un bistrot a mia moglie…”


Il post “ho consigliato un bistrot a mia moglie…” ha scatenato un piccolo putiferio fra il pubblico femminile, sono stato tacciato di maschilismo ed altre amenità assortite.
Non mi sono offeso ma ci ho pensato, ragionato, mi sono interrogato, nessun appunto fattomi è passato inosservato nella mia testa, mai! anche quando ho palesemente ragione (quasi mai c’è l’ho, però ogni tanto capita).
In verità non ci pensavo più tanto perché sono sempre più convinto che il vino e l’asfittico mondo che gli gira intorno non sappia, non dico comunicare, ma anche solo far giungere ai più, un flebile cenno di esistenza in vita.
A conferma della mia tesi c’è stato un incontro di lavoro con una Farmacista, appassionata fondatrice di un bel negozio di alimentari biologici in un quartiere fighetto di Torino.
Lei guardava, appassionata bevitrice, con interesse e curiosità i vini del mio listino, alcuni li conosceva altri no però con estrema sincerità mi ha detto “Sa sono bellissimi vini questi, importanti, costosi ma qui vengono le donne a fare la spesa, venissero gli uomini, i mariti sarebbe un’altra cosa.”
Ha comunque fatto un ordine ma guardando il prezzo e non altre logiche, perché le signore con 350,00 euro di Laboutin o 400,00 di Jimmy Choo  ai piedi, con 700,00 euro della borsa di Stella McCartney al braccio, cosparse di creme da 120,00 euro del Dott Perricone e asperse con 100,00 euro di Love in Black di Creed ebbene, queste donne pralinate di denari e con carte di credito di metallo prezioso, hanno paura anzi sgomento ad acquistare un vino che superi la barriera dei 10,00 euro, anche meno per i bianchi.
Allora io dico con forza e profonda tristezza che la comunicazione del vino non raggiunge affatto le donne perché se le raggiungesse il mercato del vino sarebbe altra cosa da quel mondo depresso e vagamente tristanzuolo che è oggi.
Un esempio, a coronamento del mio ragionamento: ieri guardavo l’immancabile inserto di cucina di Elle e i piatti erano stupendamente fotografati a tutta pagina, i vini consigliati si limitavano a poche e scarne righe praticamente invisibili (tutti voi che leggete sapete benissimo che il vino si sceglie spesso per le etichette che sono la cosa che rimane più impressa nel nostro cervello).
Piangiamo e disperiamoci per l’incapacità dei comunicatori che tanti dissesti sta procurando al mondo del vino.

12 commenti:

  1. Hai assolutamente ragione. Predico questa cosa da anni ai miei clienti. Inoltre le nuove generazioni hanno un approccio più attento e non solo amano l'estetica, ma anche i contenuti. Purtroppo chi comunica, salvo rare eccezioni, non ha carta bianca e spesso si confronta con chi pensa di saper fare il vino e anche la comunicazione. Tutti sono esperti di comunicazione ormai. Fanno il vino, l'etichetta, il posizionamento, la comunicazione, la vendita...ed è anche colpa dei tanti falsi professionisti che per due miseri euro eseguono, ripeto eseguono, di tutto. In alcuni test mirati che sto conducendo e che magari un giorno deciderò di divulgare, emergono dei dati interessantissimi sui consumi e sull'approccio al vino delle native digitali. Te ne parlerò.
    Mauro Rainieri

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  2. Luigi! Ancora con ‘sta storia! :D

    Capisco che adesso ti inizi a scontrare con le perverse condizioni commerciali del marciapiede, quindi mi permetto di allungarti (senza impegno) un consiglio spassionato… Ti suggerirei di evitare i quartieri fighetti, perché lì, spesso, ci abitano donne che fanno delle loro taccomillequattrocento l’unica ragione di vita, e girare appese al braccio di uno che ha una macchina da unmilionedieuro il compimento della loro carriera di veline-stelline-letterine. E ti assicuro che i loro uomini comprano Romanée Conti solo per poter sfoggiare la carta di credito a massimale illimitato appagando così il proprio desiderio di potenza ante-coitum.
    Fortunatamente il mondo non gira tutto così.

    Si, d’accordo, ci vuole eccome che la comunicazione del vino si svecchiasse e arrivasse ai destinatari (uomini e donne) in maniera diversa, chiara, pulita, essenziale, vera, e che sottolineasse i valori del piacere e della cultura che sta dentro una bottiglia di vino. Ma non credo che questo debba per forza passare per il colore dell’etichetta, al contrario delle borse, che solo di etichetta e di pagine patinate sono fatte.

    My two cents.
    M.

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    1. Marilena io penso alle etichette di certi vini francesi, tipo quelli di Chaussard, dove l'etichetta svolge un compito di comunicazione fortissimo e riescono ad avvicinare un pubblico più ampio (penso alle etichette in lingua inglese dei vini di Loira tipo You are so beutiful, You are so bubble...dei geni questi Chaussard), qui in Italia trovo siamo spesso noiosi, troppo seri e ci perdiamo delle possibilità.
      A livello comunicativo fa più una etichetta non formale che tante parole, certo deve corrispondere un contenuto di qualità.

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  3. Sono d'accordo Vittorio, infatti ho scritto "non per forza deve passare per l'etichetta"... Penso ad etichette oggettivamente brutte come quella del Sassicaia, tanto per fare un nome... e non mi dire che non è un vino di successo :)

    La mia è ovviamente una provocazione: è logico (ma anche super-scontato) che la veste grafica gioca il suo ruolo. Spesso però ci fissiamo su aspetti formali ed esteriori, perdendoci delle opportunità.
    Ad esempio: il pubblico, soprattutto le donne, ama le storie e cerca le emozioni che un vino può trasmettere: raccontiamole! Se il vino si vende male è anche perché chi è addetto alla vendita spesso tratta il vino come un oggetto qualunque, da mollare lì su uno scaffale, e aspetta che si venda da solo, grazie all'etichetta o al marchio... Non funziona così :)

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  4. Vittorio l'etichetta non è un grande problema. Ho parecchie statistiche a supporto. Il vero problema è l'incapacità delle aziende di effettuare una comunicazione differenziata sui vari target. Non vorrei annoiare, ma in sintesi tu non puoi parlare a un neofita e ad un esperto nello stesso modo. Quante aziende lo fanno? Quando posso agire liberamente e impostare una comunicazione ad hoc, le redemption sono incredibilmente superiori. Il vino e l'etichetta sono gli stessi, cambia il modo di argomentarli. Il nostro dramma è che se parliamo di queste cose a un produttore, ammesso che ci ascolti, ci risponde che lui va bene così. Tu non sei un produttore quindi non puoi criticare il suo vino. Lui non è un professionista del marketing, ma sa perfettamente cosa bisogna fare. Capisci perchè non lavoro per le aziende italiane? A presto. Mauro Rainieri

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  5. Tendo anche io a vedere le cose come Milena. Anche perché, lo ammetto, sono un romantico del vino e vederlo accostato a parole come marketing mi repelle un po'.Parlo del vino artigianale, ovviamente. E quindi, parlando di marketing, ma facendo finta di no, pensoanche io che la narrazione del vino sia la chiave, ma deve anche trovare terreno fertile. E l'educazione alimentare in Italia non è un gran ché nonostante abbiamo prodotti eccezionali e quasi ogni italiano esprima giudizi su cosa è buono e cosa no spesso con spocchia. La verità è che non siamo abituati a conoscere la storia di quello che mangiamo e in più l'ho già detto più o meno esplicitamente secondo me donne e vino sono nel mirino di un sacco di retaggi moralistici e culturali, che mantengono il primato del "maschio" nel rapporto col vino. Quindi sì raccontare tanto il vino, educare alla conoscenza degli alimenti e coinvolgere ufficialmente le donne nell'ebbrezza enoica sono passaggi obbligati per cambiare. E in tutto ciò scaglio una lancia in favore delle donne agricole del vino come Milena che si mettono sempre in gioco in prima persona e sanno raccontare il loro vino.

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  6. @Niccolò,
    io non ho mai usato la parola Marketing perchè mi irrita, ancor di più se applicata ad un prodotto artigianale come il vino, però bisogna essere sinceri con se stessi e, il mondo dell'enogastronomia e agricolo cui noi aspiriamo è un mondo di qualità diffuse ma la cui sommatoria dà un numero considerevole di beni che vanno venduti pena il fallimento dei produttori e in questa verità purtroppo non c'è molto spazio a sogni. Per cui riuscire a comunicare ad un pubblico colto, attento e solvibile come quello femminile mi sembra un fine a cui tutti i produttori dovrebbero mirare, perchè anche piccoli incrementi da quel mercato porterebbero a significativi aumenti delle vendite se poi l'esluività dei produttori di nicchia fosse gestita come quella degli artigiani pellettieri o profumai o calzaturieri molte cantine ingombre di vini invenduti si svuoterebbero.
    La Cultura Alimentare dovrebbe essere la prima materia insegnata, invece con mio rammarico e scenate per cui mia moglie si vergogna e mi trascina via, negli asili italiani i bambini vengono accolti con biscotti e merendine e succhi di frutta e caramelle e patate fritte (industriali ma anche non lo fossero, la presenza ossessiva degli zuccheri e dei grassi è incredibile)l'esatto opposto dei modelli alimentari caldeggiati dal Ministero della Salute!

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  7. Marketing non è una bestemmia. È una parte del processo, come anche le vendite ed esattamente come il vino c'è modo e modo di farlo. Se non ci fosse, del vino che bevi sapresti poco. Ciao Mauro

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  8. calmi, state boni! Chiarisco un po' meglio il mio pensiero. Marketing, come molte parole anglosassoni recepite in italiano, si è preso connotazioni che non le appartengono. La mia resistenza all'uso della parola in questo contesto è soprattutto perché negli esempi di Luigi si fa riferimento al mondo del Lusso, che spesso è vuoto di contenuti per quanto riguarda i prodotti reclamizzati, che si affidano a un tipo di comunicazione che cerca di legare il brand a un ideale (idiota) di vita fatta di cose super costose,super trendy, super super. Inzomma il modello billionaire. Ecco, a me che il vino entri a far parte di questo mondo frega nulla e anzi meglio che ne stia alla larga. In questo senso faccio un discorso anti marketing.
    Invece, e la mia battuta sul fatto di parlare di marketing, senza nominarlo, lo indicava, la modalità di presentare e rendere appetibile un prodotto, se avviene veicolando dei valori è cosa nobile.
    E secondo me il vero valore aggiunto del vino lo fanno i produttori e i valori che implementano.
    Ma ahi noi i valori si trasmettono più facilmente in contesti dove le narrazioni hanno un ruolo e non sono ignorate. E in questo contesto secondo me il marketing è trovare il modo di comunicare i valori, le storie, le persone che stanno deitro al prodotto. I vini che mimano Jimmy choo and company esistono, ma credo che gli acquirenti siano ignoranti miliardari russi et similia.
    un po' buttato giù, ma forse c'è qualche cosa di sensato;)

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  9. Niccolò, un professionista comunica quello che un produttore desidera. E conosce perfettamente fin dove si può spingere. Se tu vuoi fare un vino per i ricchi russi, io trovo la soluzione per farglielo piacere. Non vedo cosa ci sia di male. Nessuno ruba. Anzi l'alto mark up ci può consentire di arricchire tutta la filiera. Poi che magari io o te da consumatori possiamo fare altre scelte è un altro discorso. Io promuovo dei valori se il produttore li ha e li vuole evidenziare. E' lui che decide cosa vuole o meglio vorrebbe. Pensare che si possa fare questo senza utilizzare dei professionisti è tipico dell'Italia, dove tutti sono esperti del lavoro degli altri, salvo incazzarsi se uno commenta il loro da non addetto. Possibile che tutti debbano essere rispettati per il lavoro che fanno tranne noi sfigati markettari? Eppure siamo tra quelli che devono studiare sempre ed avere tanto talento. Io rispetto il lavoro di tutti, ma sentirmi sempre dire che quello che faccio non è importante o addirittura spesso non è un lavoro utile o ancor peggio non è un lavoro, beh mi fa un po' incazzare. Io vendo i miei servizi alle più importanti multinazionali. Ci guadagneranno qualcosa da quel che faccio? O mi pagano per pietà? Scusate lo sfogo, ma mettetevi ogni tanto nei miei panni. Poi capirete perchè ci devo bere su. Mauro

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  10. Io sul mio blog scrivo a gratis come tutti e quindi posso permettermi di scriverci quel che voglio. Se lo dovessi fare per mestiere invece avrei un committente che mi pagherebbe (come dice Mauro) per comunicare non Il Vino, ma il vino di quel produttore specifico. Sono due ambiti differenti, sebbene chi ama il mondo del vino vorrebbe, ed io tra questi, che questo mondo rimanesse sempre puro; ma in pochi vanno a guardare un film di Tornatore rispetto a quelli che guardano i cinepanettoni. Vorrà dire che rimarremo nicchia, proprio perché lo facciamo per piacere e non per dovere. Ed in ogni caso può esserci piacere anche nel fare il proprio dovere.

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