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mercoledì 18 dicembre 2013

LOS VINOS HERMANOS

di Eugenio Bucci


Breaking Bad è una serie televisiva statunitense andata in onda la prima volta il 20 gennaio 2008 e conclusasi il 29 settembre 2013 dopo 5 serie, 62 puntate e, all'incirca, 2800 minuti di puro intrattenimento da sballo.
Sballo sotto diversi punti di vista.
E' probabile che non serva spiegare molto, a meno che non siate vissuti sotto un sasso negli ultimi 5 anni o che ve ne freghiate di quella Scatola-Del-Diavolo che è la TV e proiettate solo film d'essai in salotto con un super8. 
Comunque, si tratta di una di quelle meraviglie prodotte oltreoceano girata bene, recitata benissimo, scritta da Dio. Dove si vede che hanno i soldi e dove si capisce che spesso i soldi non bastano, bisogna saperli spendere. Insomma, una specie di Don Matteo al contrario.
C'è gente strafatta che straparla ad altra gente strafatta. Si ammazzano tante persone, si spara in faccia a gente alla quale, tutto sommato, ti stavi affezionando e ci scappa anche qualche bambino ammazzato. C'è la famiglia in ogni sua (de)forma(zione). C'è la famiglia del chimico, la famiglia dei narcos, la famiglia allargata e la famiglia sfasciata. E ti spiegano come costruire una bomba e come ottenere della ricina per avvelenare chiunque vi stia sulle balle. Ti avvertono che per sciogliere un corpo nell'acido non va bene una vasca da bagno se non volete sbriciolare la vasca stessa e il pavimento sottostante ma serve un contenitore di una plastica particolare. C'è il fast-food tex-mex (Los Pollos Hermanos) col miglior pollo di Albuquerque e, probabilmente, di tutto il New Mexico, e c'è il capo del fast-food che è uno molto calmo e pacato e, nel tempo libero, anche il più grande spacciatore di meth del Sud. Ci sono puttane, parolacce (?), deserti, boss messicani in carrozzella che parlano con un campanello, alcool a fiumi, bong e pipette che fumano come ciminiere 24/24, sbirri e chicos, nani e ballerine.
C'è Jesse Pinkman, socio del protagonista, un b-boy cazzone e scazzato, tossico perso e poi ritrovato, arruffone e casinista, sull'orlo di una crisi e che, spesso, quell'orlo lo salta. E c'è Walter White (nota 1), il professore di chimica malato di cancro che decide di cucinare (nota 2) metanfetamina purissima per far soldi da lasciare alla famiglia. Poi le cose, nelle successive 61 puntate, si complicano leggermente.
Non so se c'è una morale in Breaking Bad. Cioè, è una morale che si spezza, si ricompone, galleggia e va a fondo e mica ti interessa di recuperarla in quel mare magnum narrativo che ti prende alla gola. So, però, che su una cosa ti impone una profonda riflessione: la chimica. Te la fa vedere in modo diverso. Ti ci fa appassionare (messa anche solo sotto una luce particolare, quella di fare un mucchio di soldi). Almeno a me che al liceo la tavola periodica sembrava un Gioco Dell'Oca escheriano. La chimica che ti scompone la realtà, che riduce tutto all'essenziale, anche l'uomo col suo 65% di acqua e il 16% di proteine etc etc. La chimica che, quindi, è parte di noi, siamo noi, è una visione del mondo fatta per sommatorie. Un tentativo di catalogazione e controllo del Mondo.
L'uso/azione della chimica è uno dei topic base nel vino (una digressiva nota 3). Un topic di un dibattito a volte sfibrato e sfibrante. Un dibattito che, se si sposta nell'ambito naturalistico, accalora e chiude delle vene facendo dire di tutto e di più, spesso un po' a casaccio, altrettanto spesso buttando quintali di ironia e/o insulti sulla cosa ai limiti del trolleggiamento.
Anche se ogni tanto appare qualcosa che assomiglia incredibilmente ad un discorso definitivo (nota 4).
Per fortuna, di tutti gli affascinanti processi chimici legati al vino possiamo ogni tanto sgombrarci la mente e, relativamente, fregarcene. Possiamo noi che il vino lo beviamo, lo sputiamo (nota 5), lo degustiamo, lo inghiottiamo per capirlo e, soprattutto, per goderne.
Possiamo perché vogliamo bene al vino, ad ogni singola bottiglia, anche a quelle del cuoco (vedi nota 2) Cotarella (magari bene no, facciamo una virile amicizia). Perché vorremmo che ogni singola boccia aperta sia buona e bella e giusta, vorremmo lo stupore, no, magari quello è più difficile, ma una soddisfazione si. Vogliamo bere e fare Ahhhhhh e poi Ohhhhhh e poi iniziare a studiare e capire tutti gli uomini dietro quel vino. 
E poi tutta la chimica dietro quel vino.
Perché la chimica è importante.
E spiegherebbe tutto a saperla decifrare. Con semplicità.
Spiegherebbe, ne sono certo, come due 2 produttori possano partire da situazioni di cantina diverse e terre diverse e uve diverse etc etc. Ed arrivare a fare vini simili. Similarmente ampi, mediterranei, terrigni, vivi e scalcianti. Vinos hermanos.
Come quello che dei processi chimici nel vino ne fa una malattia. Insospettabilmente.
Il nostro amichevole immigrato Frengo Cornelissen.
Che è davvero un Walter White del Belgio, ipermanicale e rupofobo, con dotazioni tipo NASA per entrare in cantina (vabbè, vuole solo che vi puliate le scarpe con un prodotto sterilizzante e magari una mascherina sulla faccia) ed evitare il più possibile contaminazioni, con la fissa del non-intervento che in lui diventa non-lascio-nulla-al-caso per (tentare di)arrivare alla purezza distillata delle sue uve.
E dopo essere arrivato ad un passo da questo nirvana, dopo l'incontaminata purezza del Contadino 9 2011, cosa potrà raccontarci di nuovo o di vecchio, di meglio o di peggio, il Contadino 10 2012?
Credo che mi lancerò anch'io
nella moda delle foto sbilenche:
danno un tocco "arty" e rendono l'idea
del grado alcolico del degustatore
al momento dello scatto.
L'asticella si è alzata. Inutile negarlo. Quell'asticella immaginaria e tanto ondivaga delle aspettative. Il vino-cardine di un viticoltore-cardine, questo succo tanto esplosivo quanto controllato. Un frutto detonato che viene poi plasmato, controllato, incanalato. E, quindi, aggraziato, dinamicizzato, purificato. In progresso costante fino al capolavoro 2011.
Contadino 10 è diverso. Meglio dirlo subito. Non tanto nel macro quanto nel micro. Epperò i micro a volte fanno la differenza. A Villa Favorita Cornelissen parlava di annata non semplice, di aumento del peso specifico delle uve che vanno a finire nel Contadino (e intanto la percentuale di uve bianche si è abbassata). Micro segnali di rottura col passato che nell'anteprima della fiera consegnavano comunque un vino perfettamente in linea con le precedenti edizioni, addirittura già delineato e prontoE ora, assaggiato e riassaggiato nell'ultimo mese, possiamo ribadire come il Contadino 10 rimanga fedele a se stesso. Nel senso che gli elementi distintivi, le grosse qualità di cui si parlava sopra, sono ancora lì. E se non avete mai bevuto un Contadino in vita vostra, con l'edizione n°10 potete farvi un'idea di cos'è. 
Un'idea. 
Perché qualcosa di sfaldato compare. Già al naso. Dove la turbo-frutta-rossa assume qualche aspetto ossidativo. E la potenza alcolica (15° come sempre) si avverte, spinge, brucia (brucicchia) mettendo i frutti sotto spirito. E anche in bocca ci si ritrova questa massa ingente che turbina e colpisce, ti fa un Capodanno gustativo e non riesce a controllarsi fino in fondo, botti e miccette e qualche scalmanato, alcool e acidità che spingono e quel frutto ad inizio di decomposizione. E un cerchio che non si chiude. 
Quindi, chimicamente, H2O+C2H5OH+CH3CHO+Contadino10+Cornelissen®+Me²82/100


Col secondo personaggio passiamo dalla NASA alla NASO. Cioè, Gianfranco Manca possiede quella dose di naiveté mista a follia mista ad amore mista ad anarchia, che lo porta a quasi letteralmente annusare l'aria nella sua cantina aperta a tutti e tutto che sembra di stare ad un rave di microorganismi et similaria. Cioè, questo è uno che vinifica i bianchi in tini all'aperto nella mite Sardegna settembrina e che, se l'annata va ad cazium, lui fa 6 diverse cuvée stessa-etichetta-ma-nomi-diversi (guardate qui). Cioè, il nostro Jesse Pinkman che non sa (o finge molto bene di non saperlo) come ci arriva a cucinare così bene eppure ci arriva.
La sua Panevino ha prodotto capolavori, vini che rimangono così impressi nella mente da diventare archetipi, sapori che innescano il killer instinct del bevitore seriale. Per dire, se ci fosse una sua bottiglia giusta in fondo a una rupe, io mi butterei.
Giusta, ho detto.
Perché a volte qualcosa va storto. E' la natura, baby. E' la chimica nei suoi inneschi e reazioni e controreazioni.

Il tono violaceo della foto
rivela la malinconia di fondo
Prima si diceva di asticelle/aspettative. Con U.V.A. 2011 si volava altissimi. Punteggione dell'Espresso (18,5/20). Slow Food che lo incensa. Il mondo che sembra finalmente andare per il verso giusto e scopre uno dei migliori produttori italiani. C'è un Sole Dell'Avvenire in fondo al caos critico. Così mi butto da una rupe (metaforica) e in primavera faccio chilometri solo per assaggiarlo. E mi faccio del male. Cioè, contento di essermi buttato ma prendo una brutta botta. Il vino è problematico. Oltremodo. Volatile impazzita. Odori chiusi con aperture al topo (cit.). Puzze rifermentative. Qualcosa in sottofondo che ricorda il Panevino Style ma rarefatto, ammorbato e disturbato dai difetti. Sarà una fase, mi dico ammaccato. Non era così, mi dice chi l'aveva bevuto.
Poi, a fine estate, lo riassaggio. E va un po' meglio. Un po'. Soprassiedo sulla volatile borderline. Odori ricomposti, in bilico tra le morbide speziature e la frutta sotto spirito e la macchia mediterranea (e il mirto, olè, per stare nell'ovvio). Ma sempre un disturbo, un tarlo che va ad eroderne la compostezza e punge e ne mina la stabilità. La serie di problemi della prima bottiglia in sottofondo, leggermente depurati ma presenti. Anche la materia sembra alleggerita, svuotata rispetto alle solite opulenze (opulenze, non sciroppi glicerici). Un vino che viaggia a basso regime d'equilibrio laddove l'equilibrio è una delle prerogative Panevino. La riproduzione di un discreto allievo del quadro del Maestro. Un vino che è solo una tappa di un percorso qualitativo enorme e che riporta Gianfranco Manca sulla Terra. Anzi, Manca è la sua terra e ringraziamo Dio che abbia voglia di condividerla con noi. Anche se ogni tanto nella formula qualcosa va storto: 80/100.


Nota 1WW o Heisenberg, nome d'arte e/o alter ego del protagonista (quindi LOL e S.G.Q.A.=Sono Geni Questi Americani); il quale WW, mentre cucina (vedi sotto) e cazzia il suo socio e lo guarda come una scimmia da ammaestrare, pare inquietantemente il Michel Rolland di Mondovino mentre dice: "Microssigenare, microssigenare!"
Nota 2è questo il gergo, al che si aprono scenari di immensa ironia che spaziano da Masterchef in giù.
Nota 3e, a posteriori, mi sembra che una lezione di chimica applicata al vino mi sia passata davanti senza che me ne accorgessi (come spesso accade) diversi anni fa. Ad un Vinitaly mi fermo da un produttore piemontese, ci salutiamo, ci diciamo come va e poi iniziamo ad assaggiare, lui era uno che faceva (fa) vini molto moderni, impostazione vino/frutto, e all'epoca mi piacevano molto, trovavo in loro un equilibrio che spesso mancava nella maggior parte, forse ero solo più coglioncello e più giovane, forse ne capivo di più o forse di meno, non importa; fatto sta che un vino, ad un certo punto, appare come sfibrato, è ossidato e svasato (sua definizione), poco male, succede, ma lui (il produttore) lo assaggia, rimane perplesso, dice Aspetta un attimo, e va a prendere una boccetta e apre la boccetta e ci infila una cannula di vetro e aspira e versa qualche goccia nel bicchiere dov'era il vino, poi lo shakera e lo passa a me che lo assaggio e il vino è ora fresco e nitido, e io faccio Ooohhhh... e chiedo Ma come?, e lui mi parla di una molecola di cui non ricordo assolutamente il nome e poi ci siamo salutati e sono andato a massacrarmi la testa e il fegato altrove.
Nota 4: Perdonatemi ma non resisto a non riportare un passaggio che a me fa tanto ridere. Cioè, il passaggio è serissimo e sposta la questione verso basi più serie, ma parole come merda o cacca o pupù hanno un effetto tipo "bambino all'asilo":
"Scontata la risposta dei tecnocrati: la naturale trasformazione del mosto è l’aceto. Questa è la prima parte del mostruoso equivoco ed è anche un orrore scientifico. Come dire che la trasformazione naturale delle materie prime alimentari non sono i cibi ma la merda."
Nota 5: sarebbe stato interessante fare analizzare chimicamente il contenuto dei secchioni di plastica appoggiati per terra che, elegantemente, a Fornovo vengono usati come sputacchiere e nei quali sono certo si stessero formando nuovi forme di vita mono(e bi e tri)-cellulari.
Nota alla nota 5: spero non stiate leggendo questa nota di mattina presto perché il contenuto di schifo è oltre la soglia di tollerabilità. Ma, d'altronde, io questa Cambogia degli umori umani l'ho vissuta in prima persona e pur essendo uno schifiltoso di tutto rispetto, sono sopravvissuto.


8 commenti:

  1. Bel pezzo..., letto in apnea, mi gira la testa!!

    P.S: non conosco Breaking Bad

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    1. Grazie. Se letto sotto metanfetamina, l'effetto giramento-di-testa scompare.
      PS: un amico si è preso per caso il dvd della prima serie. Ora è rinchiuso in casa da 7 giorni circondato di cartoni di pizza e con pochissima igiene personale. Vedi tu se cadere nel vortice :-)

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  2. Come al solito un gran pezzo. E ci vuole arte a fare delle stroncature che, come diceva qualcuno (forse Alessio Guzzano, ma non so se citasse qualcuno), non sono che atti d'amore tradito.
    Sulle manie igieniste di Frengo posso dire che sono convinto che, come colla salute umana, rischino di indebolire le autodifese del vino. E magari un'osservazione nemmeno tanto approfondita dei luoghi da cui escono alcuni vini straordinari forse suggerisce che il vino non sia nemico della contaminazione coi luoghi. Al contrario pendo per le pazzie di Manca che vinifica a "sole" aperto contro ogni buona prescrizione enologica (poi da verificare se non sia anche un po' leggenda) che però certo lasciano un portone aperto ai capricci della chimica spontanea. In mezzo secondo me più che il buon senso e la giusta misura, più che il controllo molecolare della chimica, il vero strumento che può far la differenza è la tradizione. Non quella generica, ma quella propria dei luoghi di coltura e di vinificazione. Frengo è un outsider, ma me lo vedo un po' più vecchio a cercare di rimparare a fare il vino come i vecchi di quei luoghi, se ancora ci sono. Manca, da quel pochissimo che so ha il padre che custodisce le tradizioni e non è un caso che produca robbe sensazionali.
    Poi comunque c'è l'annata, che non sempre è di facile interpretazione. E magari tutto ciò che ho detto son parole al vento...

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    1. L'innamoramento per Manca ha qualche anno in più che per Cornelissen, non che sia più profondo ma il ventaglio di emozioni che mi ha dato è sicuramente più ampio. La mia curiosità nasce su certe similitudini in vini che derivano da sistemi produttivi non agli antipodi, ma con un certo numero di differenze. Differenze che mi limito a registrare ponendomi delle domande, tentando di chiarirmi un po' le idee su come si può lavorare l'uva e la terra laddove la chimica di sintesi viene bandita e la "chimica" tout court inizia a reagire e controreagire. E questo è per me un sottondo, importante e spesso fondamentale, ma solo un un sottofondo mentre mi godo questi grandi vini di grandi uomini.

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    2. In effetti la questione sterilità o no era in tema colla chimica, ma non centra nulla col peggioramento del vino dalle annate precedenti all'ultima. In questo, per quanto riguarda Cornelissen, a me il Contadino 8 che assaggiai integro e che mi piacque un casino sembrava trovare la sua bellezza proprio nel fatto che non ricercava l'estrema purezza e le grandi estrazioni, ma proprio un connubio delle uve di rusulta, e probabilmente con saldi di uve poco incisive che probabilmente contribuivano come voci più basse nel coro in modo molto positivo. Di Manca apprezzai tantissimo l'annata 2009, con l'uva martoriata dalla grandine. Forse invece il produttore tende a leggere come migliori i vini più puri, concentrati e dove ogni condizione è cercata per esprimere al massimo le caratteristiche dell'uva e dell'annata e del terreno, ma magari se si esagera, poi si perde quel tocco di disimpegno elegante che faceva sognare nelle vinificazioni apparentemente più spensierate.

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  3. Ma, se non sbaglio, la mania disinfettistica del nostro amico Frengo è roba digli ultimi tempi. Ho sentito dire che, prima, vinificava quasi all'aperto, sotto una tettoia. È vero? Qualcuno ha certezze in merito?

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    1. Chiedi a Riccardo Il Maledetto che è stato da tutti e due...

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    2. Daniele, hai perfettamente ragione, Il Frank nazionale, ha vinificato anche all'aperto. Il suo è un percorso, una ricerca continua che, ancora oggi, non è terminata. Ora vinifica in un ambiente praticamente sterile, domani chissà. Il suo obiettivo è influire, intervenire il meno possibile per lasciare esprimere quello che gli da la vigna, con tanto di variabilità dovuta all'annata. Infatti, come scrive Eugenio, la vendemmia 2012 ne ha risentito.
      Prima o poi (da come sono messo ultimamente, è più probabile poi), ne scriverò.

      Comunque non c'è da spaventarsi a vinificare all'esterno, ho visto giusto l'altro giorno un'anfora sotterrata in un cortile, con dentro dell'albana con tanto di cappello di bucce. Ma non vi dirò mai e poi mai di chi si tratta :-)

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