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mercoledì 15 maggio 2013

Garganega e vulcanismi



Il Funambolo
splendeva tutto camminando sulla sua fune, sotto la luna,
con una superba destrezza che dissimulava il rischio e la
fatica, e perfino il travaglio dell’arte.
E i suoi movimenti, quasi oscillasse su due lievissime
ali,
e quel timore in noi: ”cade, non cade”, ”cade, non cade”,
diventava un canto immenso, invulnerabile, profondo
che colmava di fiducia la notte intera, e il tempo tutto fino
al futuro più remoto.
Che colmava di gioia perfino il sonno di quanti già dormivano
sotto le verande di legno, sui balconi, sulle terrazze o distesi sull’erba.

Ghianni Ritsos


Appunti sparsi fra Villa Favorita, ViVit e Sorgente del Vino.
In queste tre occasioni ho assaggiato Garganega di Gambellara e di Soave e le sensazioni organolettiche che ho percepito mi hanno posto delle domande alle quali ho risposto empaticamente così.
Gambellara figlia di una doc minore, come spesso accade (in Francia nel Beaujolais, nella Loira, nello Jura), a causa della sua posizione ancillare ha stimolato i produttori verso la sperimentazione e la ricerca e i vini mi sono parsi molto coerenti tra loro e molto distanti dai vicini di Soave (sensazioni, percezioni e non assaggi sistematici, sia chiaro).
Più materia; territorio trascinato dalle bucce nel liquido, intensità e mineralità di sale, mista a maturazioni calde quasi ossidanti, timbri eterei e affumicati nei vini dei ragazzacci di Gambellara.
Un gioco affascinante fra eleganza e trasandatezza.
Un’enologia Wabi Sabi.
Un gioco iconoclasta.
Un gioco in levare (solforosa e interventi enologici) per avere di più.
Come il funambolo di Ghianni Ritsos in perenne alternanza fra l’equilibrio e la caduta rovinosa.
Mi sono piaciuti molto i vini di Gambellara di Stefano Menti e Davide Spillare, il primo più timido nelle sue azioni dettate dalla responsabilità di una azienda storica di famiglia, il secondo mosso dall’incoscienza della gioventù.
Il territorio spremuto dalle mani dei vigneron.
Mi sono piaciuti anche i Soave di Filippi, molto francesi nel loro nitore delle vinificazione in parcelle, pulizia ed eleganza sono il loro obiettivo.
La sensazione è stata, però, che l’eccesso di precisione alla fine svuoti di senso perché ci si ostina a ricercare la forma e non il contenuto, l’involucro è visto come fine ultimo.
Ma sicuramente sbaglio e forse a me in questo momento della mia vita piacciono un po’ di più i vini leggermente imperfetti e ruvidi che meglio si confanno alla mia umana imperfezione.

Ho assaggiato a più riprese:







Giovanni Menti
Monte del Cuca 2010 (macerazione di 40gg)
Riva Arsiglia  2011 (vigne di 60 anni)
Paiele 2011


















Davide Spillare
Rugoli vecchie vigne 2011 e 2012





















Filippi
Castelcerino 2011
“Vigne della Bra” 2010
Monteseroni 2008






Kampai

Luigi


2 commenti:

  1. "Il funambolismo non è un'arte della morte, ma un'arte della vita. La vita non si nasconde alla morte, la guarda dritta in faccia.
    Il funambolismo è un’arte solitaria, è un modo di affrontare la propria vita, nell’angolo più oscuro e segreto di se stessi".

    Paul Auster Prefazione
    "Trattato di Funambolismo" di Philippe Petit

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    1. Bellissima citazione, e poi scritta da Paul Auster la cui trilogia di New York per me Architetto visionario è stata una lettura di formazione, mi riempie ancora più di gioia e melanconia che oscillano come il funambolo.

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