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lunedì 9 marzo 2015

Barcellona enopark

Di Niccolò Desenzani




Un fine settimana a Barcellona. Il biglietto è un dono di un amico, per i suoi 40 anni, a noi suoi irriducibili compari di vita. Vite sparse qua e là, ricongiunte per una manciata di ore in quella città disomogenea e polimorfica; distesa di quartieri e stili e urbanistiche le più varie, accomodate in una mezza bacinella dai bordi i più irregolari, aperta verso il mare.
E io so, colla certezza dell’appassionato di vino googlomane, che siamo in una culla del vino naturale. Che fra chi ha seriamente raccolto il testimone di questo movimento ci sono i catalani; gente come Laureano Serres, che persino ha inventato una fiera dedicata, nello stile di quelle francesi: H2O Vegetal: un nome un programma.
Una città, Barca, dove è nata l’enoteca l’Anima del Vì, già da anni nelle nostre conversazioni qui al bar. Dove un blog dallo splendido nome “Adictos a la lujuria” racconta questo fermento enoico in terra iberica. Dove da almeno un paio d’anni hanno aperto locali completamente dedicati al vino naturale, approfittando di una vicinanza, evidentemente anche fiscale, con i cugini francesi.
E così nel turbine del sabato di camminamenti infiniti in lungo e in largo, di ritorno dalla spiaggia cittadina, andiamo con due amici a prender qualche bottiglia. Poco dopo siamo a l’Anima del vì (dove avevamo bevuto un Verre des Poètes in chiusura la notte prima) seduti ad assaggiare qualunque vino o OVNI che sia a tiro. Assaggiamo sei vini di cui non pochi hanno pazze derive batteriche, ma ognuno è un frammento di racconto che mi succhio con avida sete di conoscenza. In particolare il bianco macerato da uve albillo Lovamor di Alfredo Maestro è un coup de coeur.
Usciamo adrenalinici con qualche bottiglia, diretti verso casa.
Ma a poche decine di metri c’è il bar Brutal - Can Cisa, apparentemente l’unione di due locali con aperture sui due fronti dello stesso edificio. Mi ricorda il Bancogiro di Venezia.
Scatta un secondo aperitivo. E qui l’incontro scintilla con Nuria: argentina, con un passaggio in Italia e acquisizione della lingua, e poi lì a mescere vini con una passione così furiosa, che mi sono visto trasposto in lei. Dagli assaggi che ci propone, si desume il fil rouge che corre fra Italia Francia e Spagna, che diventano pezzi del puzzle del vino naturale europeo. L’ebbrezza di viaggiare con il gusto a velocità sinaptiche fra luoghi geograficamente distanti!
In gran forma i vini di Partida Creus, che per ironia furono fra gli assaggi a vignaioli di San Giovanni l’estate scorsa a Monticelli d’Ongina. Declino un assaggio di Filagnotti 2006, che Nuria dice in grandissimo spolvero. Ma io voglio cose che non conosco.
Alla fine apre una bottiglia di tempranillo da vigne giovani, solo acciaio, di Laureano Serres Montagut, mia grande passione già fra le pagine di questo blog. Un vino spaziale. Nitido, goloso, divertente. La bottiglia finisce inesorabilmente. Lascio pezzi di me stesso fra gli scaffali del bar Brutal. E Nuria, cavolo, che persona!
Non finisce qui. Né la serata, né la vacanza enoica.




Ci ricongiungiamo col resto della compagnia diretti, dopo una sosta tecnica a casa, verso the big dinner, la cena del compleanno. Ci hanno consigliato proprio al Bar Brutal di andare da Els Pescadors.
Il ristorante è l'unica attività commerciale in una piccola piazzetta di periferia con tre grandi ombù, che sembra di essere su qualche isoletta del mediterraneo. Lo stile del ristorante è piacevolmente famigliare, con qualcosa della vecchia osteria e tocchi tra New York e Parigi; il servizio molto curato. Menù di pesce, con ricette arricchite di condimenti particolari, che fanno un po' lo stile della cucina. Un’ampia selezione di piatti a base di baccalà e qualche pescato ben cucinato.
Dopo un non brevissimo confronto col cameriere, decido di farmi ispirare dalle sue proposte, ricercate e intriganti. Così assaggiamo un metodo ancestrale non dosato (forse addirittura senza sboccatura) a base Xarel-lo del 2008 di Vega de Ribes, che oscilla fra qualche accenno di grassezza su un corpo di buona acidità e derive ossidative. Chiaramente una chicca. Colpiscono la complessità e la ricchezza delle sfumature.
Durante la cena, in questo stile un po’ magro, mi ha colpito una bottiglia di carinyena blanca da viti novanenni, parte di esperimenti di microvinificazione con uve autoctone de La Vinyeta; davvero ai confini del mondo enoico (una di circa 500 bt).
Ancora da segnalare vini bevuti qua e la che mi hanno colpito molto:
un bicchiere di Flow 2013, SEA (Sota els Angels) natural, Blanc de noir (uve carignan), che ha accompagnato mezzo buonissimo hamburger al bistrot del ristorante Monvìnic, posto piacevolissimo.
Un buon base garnatxa, con samsò e syrah, L’Heravi 2013 di Vinyes d’en Gabriel, semplice e corretto da Mam i Teca, microscopico ristò tra i primissimi della città a proporre solo km 0 e presidi slowfood. Sempre da loro mi è piaciuto parecchio un Bri de Monroig 2012 di Serrat de Monsoriu, a base pinot nero 80% con saldo di mencia: q/p superissima.
Devo dire che il piglio di questa vacanza non era per nulla da degustazioni tecniche e ho bevuto sempre in grande compagnia, valutando i vini in modo super sintetico. Rimane però incredibile l’offerta da esplorare, spesso a km quasi zero. Si può proprio dire che fra gli infiniti percorsi trasversali nella città, quello col naso nel bicchiere (fra un boccone e un altro) sia un vero luna park.
Bonus drink: bottiglia di granaccia bianca di Laureano Serres, bevuta a canna fuori dall’aeroporto prima di ripartire (solo bagagli a mano)!

Un ringraziamento gigante a Joan Gomez Pallarès di cui ho seguito tantissimi consigli.




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