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domenica 16 giugno 2013

KF [kitchen fight]

 
Guernica, Pablo Picasso.

Tramontato l'intrattenimento pirotecnico del flambé al tavolo, 
chiusi in cantina i carrelli dei dolci e dei formaggi (inaspettato avvistamento l'ultima volta qui assortito tanto da soddisfare i tutti i miei capricci), 
sparite anche le esalanti pietre laviche e le architetture in bellavista.
Tanto altro è mutato nel panorama della ristorazione italiana negli ultimi vent'anni: 
la panna è rimasta ai dessert, le marinature non si fanno più negli acidi ma a secco in sale e zucchero, si rispetta la stagionalità, il prezzemolo ha lasciato la scena decorativa a germogli, zeste di agrumi e fiori eduli.
Cannelli, sifoni, termometri, macchine sottovuoto, abbattitori e forni a vapore sono i nuovi strumenti cult.
Il rispetto per le fibre delle carni è diventato etica.
Bandite le braci,
tutto viene imbustato in polietilene, aspirato e cullato per ore da tiepide acque, abbattuto e tenuto in stand by,
fino alla rigenerazione pre servizio, magari due giri in microonde, rispettosamente a vapore, o velocemente in padella per un'accattivante rosolatura.

Innovative tecnologie che mantengono salubri gli alimenti, al riparo da contaminazioni e moltiplicazione microbica aerobia, fissano i colori, preservano dall'ossidazione e le caratteristiche organolettiche, ne condensano i sapori e i profumi.
Il sottovuoto nulla può contro le spore di Clostridium botulinum, prima del consumo gli alimenti dovrebbero subire pastorizzazione.

Ma qualcosa forse si è perso:
"l'elemento croccante" oggi si aggiunge, la glicazione proteica (reazione scoperta nel 1912 dal chimico francese Louis Camille Maillard) ha come corollario l'imbrunimento tipico della crosta del pane o della rosolatura e lo sviluppo di sapori e aromi caratteristici, dovuti anche ad intermedi di reazione, che identificano il sapore di prodotti da forno, carne e pesce.
Si guadagna una consistenza e una succosità delle carni impossibile da ricreare altrimenti.


L'avanguardia molecolare non esiste senza texturas, esercizi che sfidano le leggi della fisica, allusivi, strabilianti, a volte infantili e ludici, forse per far leva sulla memoria sensoriale.

Solo pochi grandi Chef riescono a conciliare ciò con il rispetto degli ingredienti, preservandone l'identità, riducendo al minimo manipolazioni che ne stravolgano i connotati.

A questo si contrappone un ritrovato desiderio di prendere contatto con la materia alimentare.
Sarà che in periodi di crisi si riscoprono i valori, sarà che siamo un popolo geneticamente di gusto esigente, ma alle insane insalate in busta rispondiamo con l'orto in vaso, andiamo a caccia di uova di pollastrelle felici, aborriamo il pane che arriva stantio a cena adottando il lievito madre, bandiamo le merendine industriali e cerchiamo frutta maturata sull'albero e ortaggi poco fotogenici ma dal sapore autentico.

Ci sono esigenze organizzative, gestionali, operative che rendono la tecnologia alimentare imprescindibile nell'alta ristorazione, necessaria per la replicazione esatta e per il mantenimento degli standard.
Da una cena gourmet pretendiamo emozioni sensoriali e viaggi pseodolisergici.

Della cucina espressa resta l'olografica memoria degli effluvi che ti accolgono sulle scale di casa, che attivano le papille gustative e l'appagante rilascio di dopamina.

Negoziati aperti tra estro inventivo e tradizioni gastronomiche che il mondo ci invidia.

Rossana

15 commenti:

  1. Una tendenza che sto rilevando nella ristorazione nostrana è la produzione in proprio o sotto stretto controllo di ortaggi, molti chef si sono dotati di orti e questo, vista il peggioramentio degli ultimi anni dell'orticultura italiana, mi rincuora, viva gli osti con gli orti!
    Luigi

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    1. Pensa che anch'io nel mio piccolo, mi sono attrezzata con l'orto in balcone!!!
      ;D
      Aspetto con ansia che maturino i miei pomodorini neri, i peperoncini Habanero e speriamo anche le melanzane!!!
      Gli ortaggi appena colti sono il vero lusso!
      Grazie Luigi :)

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  2. Bellissimo post, condivido in toto...pensa Rossana che ho speso "tutti i miei soldi" in giro per ristoranti ma alla fine torno sempre alla cucina di casa, dei famigli, degli amici, alla cucina espressa. Ricordo un'esperienza anni fa in un paesino di montagna in Calabria, arrivai tardi a pranzo in una trattoria-bar, non c'era nessuno e i proprietari anziani mi fecero accomodare lo stesso dicendomi "Se vuole c'è ancora qualcosa di quello che abbiamo fatto per noi..." beh fu uno dei migliori pranzi della mia vita, non c'erano stelle, guide,famosi chef, non c'era niente o forse c'era tutto.
    Cercare alimenti autentici è a volte una fatica ma la strada è quella, mi piacerebbe che si facesse maggior luce sulla qualità degli alimenti usati nelle cucine dei ristoranti, avremmo delle belle sorprese (penso all'olio evo, alle farine, alla pasta, alle salse)anche ad alto livello.
    Ho passato molto tempo ad educare i miei figli al vero gusto delle cose, perché avessero delle "pietre di paragone" ben precise con cui confrontarsi, ora sono indipendenti e sono fra i cuochi che io amo di più.
    Conoscere il cibo, essere in grado di trasformarlo dà un grande senso di libertà, è quello che dobbiamo imparare in prima persona e poi trasmettere alle future generazioni.

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    1. E poesia, musica per le mie orecchie...
      Al sud si è soliti pranzare tardi e raramente ti lasciano alla porta, anche alle 14:30.
      A me è capitatato a Portofino di sentirmi rispondere: "la cucina è chiusa" e non ne conservo un bel ricordo.
      Posso immaginare la bontà e il calore di quel pranzo improvvisato in Calabria, perchè la cucina si può riassumere in poche parole: generosità, amore e qualità.
      Conosco grandi Chef che hanno valorizzato le eccellenze del territorio, attentissimi alla ricerca delle produzioni migliori che poi trasformano in bocconcini paradisiaci, e il gusto non mente.
      Io spero che questo orientamento diventi universale, perchè la cultura enogastronomica italiana è il più grande patrimonio che abbiamo da spendere nel mondo.
      Oltre alla famiglia anche la scuola dovrebbe educare ai valori del gusto e al rispetto degli alimenti, importantissimo formare le nuove generazioni gourmet!
      La libertà di cui parli dovrebbe essere anche quella di poter acquistare prodotti bio a prezzi equi, perchè oggi è un mercato di elite.

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    2. Sì il bio è per lo più un mercato di elite, tranne rari casi...che si può fare secondo te?

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    3. Sì il bio è per lo più un mercato di elite, tranne rari casi...che si può fare secondo te?

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    4. Bisogna fornire sostegno e conoscenze ai piccoli produttori, che lavorano faticosamente e con passione per non avere adeguati riscontri economici.
      A chi vive in città risulta impossibile rivolgersi a loro, ma si stanno diffondendo i mercati della terra, dove direttamente i produttori possono vendere al dettaglio.
      il km zero è la risposta

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  3. comunque non direi che il sottovuoto o souvide come si dice in gergo faccia parte della cucina molecolare… anzi credo che dia eccellenza a determinati prodotti e si può benissimo replicare a casa non è talmente dispendioso.. Per me la cucina molecolare e quella che distrugge la materia e ne ricrea un altra come i processi di nixtamaalization o tutte quelle sostanze da industria alimentare che vengono usate come la xanthan gum, fossil powder, processi di liofilizzazione, lectina e via dicendo quelle cose forse non condivido… ma tecniche che migliorano le cotture quindi termometri e acque tiepide, mcroplane, pacojet, thermomix ben vengano e aiutano molto specialmente se la materia prima è eccezionale e di stagione… grazie bel post

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    1. Non ho associato la cucina molecolare alla tecnica sottovuoto, ho citato la seconda tra i nuovi metodi di preparazione dei cibi.

      Ho messo in luce i vantaggi della tecnica del sottovuoto, la condivido e la apprezzo, ma personalmente preferirei fosse eseguita sempre utilizzando vetro a contatto degli alimenti, non polietilene.
      Ciò che mi lascia molto perplessa è la "rigenerazione" dei prodotti conservati sottovuoto.
      Ti sembra etico pagare profumatamente per assaporare raffinate creazioni assemblate con infinita grazia al momento, ma preparate chissà quanto tempo prima?

      Adoro le tecnologie alimentari, a patto che rispettino ed esaltino i cibi, senza snaturarne la qualità.

      Grazie a te Raffaele,
      per l'attenzione e per l'opportunità di confronto.



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  4. Sono d'accordo con te, nella cucina contemporanea mondiale si sta snaturando le tecniche di conservazione come dried aged, picking, le fermentazioni eccessive per accentuare le acidità e come te dici nell'articolo le marinature o forse direi meglio macerazioni in acqua e sale o aceti sono molto prolungate… Non so, leggendo alcuni libri e provando le cucine di taluni chef contemporanei come Magnus Nilsson del Faviken, Ben Shewry ad Attica, Mugaritz in Spagna, Daniel Patterson a COI tanto per citare alcuni sembrano che vogliono venderci quello che in tempi di recessione economiche era la tendenza alla conservazione per avere alimenti in periodi freddi come l'inverno e in periodo di magra… Tecniche che forse i nostri nonni volutamente adottavano più per fabbisogno personale ma non come si sta adottando a metodo di ricerca e elevazione di alta cucina… Sicuramente queste tecniche dagli chef pluridecorati sono fatte con le dovute ricerche evitando le ossidazioni e quindi conservando i colori della materia. Devo condividere a pieno con te, non vale il prezzo del piatto per qualcosa conservato per due mesi e poi proposto a tavola…. Su questo ai pienamente ragione.
    Molto interessante questa piccola chiacchierata grazie mille al prossimo post..

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  5. Sono sulla tua stessa lunghezza d'onda.

    Sarebbe necessario aggiornare la regolamentazione:
    come l'asterisco indica nel menù che il prodotto è congelato, così bisognerebbe essere informati se il prodotto è conservato.

    Grazie ancora per aver impreziosito il post,
    a presto Raffaele!

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  6. Non vi sembra oltraggioso, aver utilizzato il quadro di Guernica, per un post che tratta di cucina? Si può calpestare tutto ciò?

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  7. Caro Anonimo Pentito,
    per me la cucina è un potentissimo veicolo di cultura e spesso vedrai le mie contaminazioni artistiche.
    Utilizzare Guernica è stata una mia scelta personale, sta proprio simboleggiare la "guerra" tra cucina molecolare ed espressa.
    Non potrei mai "calpestare" il genio di Pablo Picasso che che amo alla follia, tanto da spingermi a viaggiare solo per contemplare le sue opere.
    Mi dispiace non ti sia arrivato il messaggio.

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  8. Hai peggiorato la situazione... L'oltraggio non è al "genio Pablo Picasso" ma a ciò che rappresenta il dipinto:
    Guernica è il titolo di un noto dipinto di Pablo Picasso, realizzato dopo il bombardamento aereo della città omonima durante la guerra civile spagnola da parte della Legione Condor, corpo volontario composto da elementi della tedesca Luftwaffe, il 26 aprile 1937.
    Peccato, non abbiamo la stessa idea di cultura e di rispetto.

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    1. Ne conosco perfettamente la storia.
      Mi chiedo cosa sia per te la cucina?
      Per me e arte pura,
      come la pittura, l'architettura, l'ikebana...
      Non credo sia questione di "cultura e di rispetto"
      ma di sensibilità.
      Qualità innata a volte, ma coltivabile come la capacità di confronto.
      Proprio un "bombardamento" sta danneggiando il nostro patrimonio culturale enogastronomico, e il mio post voleva suscitare una presa di coscienza.

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