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mercoledì 29 maggio 2013

Naked wine alias Vino (al ) naturale di Alice Feiring

Alice Feiring, Alessandro Mecca e Gil Grigliatti
Qualche giorno fa mi sono preso del tempo per andare a sentire la presentazione del libro “Vino (al) naturale” di Alice Feiring edito da Slow Food.
Evidentemente il mio concetto di tempo non era in linea con quello ufficiale e sono arrivato giusto in tempo per unirmi all’applauso finale e per salutare gli amici presenti.
Poco importava, tanto dopo saremmo andati a cena con l’autrice e già mi pregustavo la mia copia dedicata e autografata dall’autrice.
Tornato a casa ho letto d’un fiato il libro e devo dire che non è proprio un libro indimenticabile.
Però, e qui sta il potenziale evocativo della parola e della stampa, malgrado i contenuti siano tutt’altro che densi alcune cose e persone citate qua e la nel libro hanno intessuto connessioni molto stimolanti con i miei pensieri.

1) E’ tanto tempo che Enrico Togni si oppone alla viticultura degli industriali vista come una seconda attività, come investimento di denari altrove guadagnati, ecco, io mi univo al coro, forse per conformismo ma non capivo fino in fondo le problematiche legate alla riduzione della viticultura a processi normalizzati e affidati a dipendenti (bravi anche bravissimi ma che non sono coinvolti emotivamente) sino a che nei primi capitoli del libro la Feiring non parla per sommi capi della viticoltura Californiana e a quel punto ho capito, almeno penso.
La separazione fra viticoltura e produzione del vino in California è la norma e entrambe le fasi sono strettamente organizzate come imprese industriali a sé stanti, senza cedimenti emozionali o culturali.
C’è chi coltiva l’uva e lo fa con i minori sprechi possibili, c’è chi la vinifica minimizzando gli sprechi e le variabili cercando di ottenere un prodotto commerciabile.
Nessuna paranoia sul terroir, nessuna paranoia sul rapporto fra allevamento dell’uva e sua vinificazione, le eventuali mancanze o eccessi dei mosti sono risolte per via chimico enologica e non agronomica.
La distanza fra produttore e terra è abissale, tutto si risolve con protocolli comportamentali ottimizzati e standardizzati, ecco ora ho capito ciò che Enrico intende!
Lui aborre la specializzazione e la industrializzazione  dell’atto agricolo che porta esclusivamente alla banalizzazione commerciale della terra e dei suoi prodotti.

2) Giaceva da alcuni giorni una intervista della Revue du Vin su Pacalet omaggiatami da Giorgio Grigliatti.
Ho cominciato a leggerla mentre, quasi contemporaneamente, leggevo il succitato libro di Alice Feiring.
Scopro nell’articolo della Revue che Pacalet è nipote di Marcel Lapierre (Beaujolais) e ha conosciuto tutti i personaggi che negli anni ottanta hanno innescato il movimento del vino naturale da Chauvet a Néuport passando da Overnoy.
In parallelo Alice Feiring raccontava nel suo libro le sue esperienze con le persone e i vini di questi stessi  vigneron amici/parenti di Pacalet affiancati da intellettuali come Guy Debord e Alain Braik che hanno dedicato la loro vita al vino “libero” e “naturale” e ne sono pure morti, ahimè!
Molto interessante l’argomentazione della Feiring tratta dai pensieri di Debord in cui sostiene che il vino industriale è un vino figlio dell’immagine del mondo (in un epoca in cui l’immagine si è fatta mondo) mentre il vino vero è il tentativo di ritornare alla materialità delle cose. C’è molta filosofia in questo ma è ciò che sostengo da tempo e non solo in campo enologico e spesso l’ho fatto su queste pagine dannatamente immateriali.

3) Alice Feiring parla dei vini di Laureano Serres che ho imparato ad amare grazie a Niccolò.
Vini così poco moderni e conformisti che meriterebbero un posto al Moma di New York.
Vini bianchi vinificati in ossidazione controllata, senza solforosa aggiunta, senza controllo delle temperature, ricchi ed opulenti e decadenti, molto poco political correct.

Luigi

Ps
Io avrei preferito il titolo originale “Naked wine” (vino nudo) perché la traduzione in “vino (al) naturale” sembra un cedimento alla pudicizie piccolo borghese e conformista e poi anche perché essere nudi con i propri difetti di fronte a un bicchiere è simbolo di grande onestà intellettuale e coraggio.



7 commenti:

  1. Vino [a] nudo non gli piaceva, eh?
    Farei volentieri quattro chiacchiere col traduttore...

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    1. Vino (al) naturale è stato usato in Francia, proprio dai personaggi che cito al mio punto 2 per cui il traduttore ha derivato questo titolo dalla storia del vino naturale, comunque non mi piace lo stesso, avrei preferito vino nudo.

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    2. molto d'accordo sulla questione titolo, perfetto in americano, avrei osato Vino Nudo

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  2. In merito al punto 1 sono ancora più integralista: non condivido nemmeno chi acquista vigneti per moda e poi fa lavorare altri (vedi vari attori, politici etc...). Se non stai in prima linea otterrai sempre un prodotto vuoto.

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  3. Il libro tutto è penalizzato da una traduzione davvero infelice, come si poteva presagire appunto dal titolo

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    1. Non volevo infierire sulla traduzione e sul traduttore...
      Comunque in fatto di traduzioni ho appena finito un libro in cui il sapore di legno (derivato dalle barrique nuove) è stato tradotto con "sapore boscoso"!
      Kempè

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  4. La traduzione è davvero vergognosa! Ed a mio avviso è figlia della fretta di uscire sui banchetti delle trascorse fiere d'Aprile. Mi domando se Miss Feiring ne sia al corrente. Forse è una domanda scema...

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