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martedì 28 agosto 2012

Grappoli del grillo 2009, Sicilia Igt, Marco De Bartoli



Abbiamo discettato a lungo con Niccolò Desenzani dei vini bianchi a bassa acidità.
Alla fine questa assenza è sostituita come dice lo stesso Niccolò “Non (da) una mineralità a cui siamo abituati, acida, di pietra, ma piuttosto (da) una freschezza sontuosa, quella che si realizza all’incrocio con l’ossidazione e dove c’è tanta ciccia.”
E aggiungerei una salinità talvolta unita ad una astringenza lievemente rasposa.
Non sempre presenti tutte queste sensazioni, oppure con modulazioni di intensità differenti, comunque  partecipano alla definizione organolettica di vini bianchi provenienti da zone calde, spesso marine (il volano termico del mare tende, per colpa delle alte temperature notturne, a ossidare gli acidi).
Per il mantenimento di queste freschezze non-acide ritengo sia importante la componente umana del terroir.
Vini ottenuti da uve con zuccheri alti e basse acidità per mezzo di fermentazioni innescate con lieviti secchi e basse temperature esaltano la componente dolce o pseudo dolce con alta presenza di glicerina e di alcool e di profumi fermentativi frutto-zuccherosi.
Il risultato è quello di vini praticamente imbevibili tale è la massa, la viscosità, la potenza alcolica e la monotematicità olfattivo-organolettica.
Dolcezze e frutta, dolcezze e frutta, dolcezze e frutta.
Vinificazioni con lieviti indigeni, eventuali macerazioni sulle bucce e minor rigidità nel controllo delle temperature portano a vini più scorbutici, con profumi meno didascalici, una lieve ruvidità al palato, con una glicerina minore, spesso anche l’alcol è più moderato e forse più pungente.
Il Grillo di De Bartoli 2009 è un esempio di vino caldo, quasi zuccheroso, mieloso ma con sferzate di salmastro, di vegetale e di astringente.
Una complessità ottenuta con bassi tassi di acidità (quantomeno questa è la percezione ed è ciò che importa) e grande ma non soverchiante struttura, corpo, nessuna decadenza.
Il Grillo poi si esalta nell’invecchiamento ossidativo e come gli Jerez, aumenta di piacevolezza e complessità con l’andare degli anni senza mai trascinare il corpo del vino in una deriva amara e perdite di volume.
Saporitissimo e salato (freschezza di salgemma che eleva le dolcezze ed esalta le ossidazioni).
E comunque dannatamente fresco.
Dopo una macerazione a freddo sulle bucce di circa ventiquattro ore è vinificato con lieviti indigeni in acciaio e poi barrique e doppia barrique (così non potete dire che le odio a priori).
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Abbiamo aperto due bottiglie e il vino all’interno era parecchio diverso; entrambe buone una fresca, più indietro nell’evoluzione l’altra invece veleggiava già verso spume salmastre e ossidazioni.

5 commenti:

  1. E' ora di aprire una terza bottiglia...:)

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  2. È da un po' che ci pensavo: dov'è andata l'acidità che ricordo, alta e dominante, in certe bevute, in certi bianchi? Poi ho capito: sono io che mi sono spostato su altre bevute, altre tipologie, proprio come questa.
    Bel pensiero, bel post :-)

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    1. In realtà c'è chi ad esempio nel grillo, con espedienti agronomici e enotecnici innesta acidità forti su di un vino che non l'avrebbe, con risultati caricaturali.
      C'è poi chi sfrutta il facile binomio acido/zucchero per rendere più semplice e accattivante la beva.

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  3. Arrivo da una bevuta di Pithos 2008, da uve grecanico, dove il paradigma acidità moderata, sapidità marcata (e, come dici, bassa alcolicità (12°)) e infine io aggiungo, sostanziosità, danno un vino fresco, beverino e abbinabile molto bene. Esclusi pesci delicati e crostacei.

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