Pagine

venerdì 18 aprile 2014

I 5 motivi per cui parlare del terreno è di solito un meccanicismo banalizzante*


Di ritorno da Verona (Vinitaly e altre fiere offsalone) mi risuonavano nella testa le indicazioni dei produttori sui suoli nei quali le vigne affondano le radici, argille, argille calcaree, marne bianche, marne blu, scisti, ciottoli alluvionali, basalti, terreni vulcanici, sabbie, arenarie calcaree, tufo.
Un esempio lampante sono i Riesling di Clemens Busch vinificati per singola parcella caratterizzata da terreni differenti.

Sicuramente ne dimentico qualcuno, la varietà dei terreni è elevatissima ma non è mai un banale rapporto di causa ed effetto che caratterizza un vino in base al suolo su cui poggia il vigneto.
I produttori non accennano mai al fatto che le piante non hanno possibilità di acquisire oligoelementi con il solo apparato radicale.

1) Quindi le piante non reagiscono al suolo ma solo ai livelli di umidità presenti in esso, infatti è possibile allevare piante in sola acqua senza supporto del terreno.

2) Quindi è abbastanza inutile parlare di suolo che è una sostanza inerte.

3) A meno che non si parli di humus presente il quel suolo, di quanto è ricco il consorzio microbico presente nel terreno, di quanti funghi simbionti ci siano e di quanto essi espandano la capacità assorbente delle radici e di quanti microbi ci sono in ogni metro cubo di terra, i quali chelano i metalli rendendoli disponibili alla pianta. Il consorzio microbico è anche un grande esaltatore di unicità territoriali in quanto la composizione dello stesso varia molto anche a poca distanza fra un vigneto e l’altro e la loro azione sul Dna non ricombinante dei vegetali ha un effetto di potenziamento della variabilità dei vini in base al territorio.

4) L’alchimia del terroir, quindi, non è data dal solo dato oggettivo della composizione chimico fisica del terreno ma dalla vitalità, dalla qualità del suo consorzio microbico.
Vini prodotti su marne blu (uno dei suoli migliori per la vite) con l’ausilio di diserbanti, antiparassitari, concimazioni chimiche, compattamento del suolo, lavorazioni del suolo  saranno sicuramente peggiori di altri prodotti su “banali” argille rosse inerbite, in cui si limiti la quantità di rame usato, in cui la massa per ettaro di consorzio microbico sia alta e di qualità.

5) Per cui se si fa della viticoltura convenzionale non smenatecela con il suolo, ormai è un substrato inerte e senza qualità.



La biodinamica parla della centralità dell’humus anche se parlando di humus antropico compie, a mio avviso un errore, in quanto ogni azione agricola umana (che non sia la semina del sovescio) tende ad impoverire l’humus del terreno che ha la sua massima ricchezza e variabilità genetica nei prati perpetui montani e nelle foreste.
Dovremmo trovare per la nostra agricoltura dei modelli che siano i più vicini possibile all’effetto foresta, ossia modelli in cui l’uomo e la sua azione siano molto marginali rispetto alla capacità autorigenerante della natura.
Quindi se non ci dite tutto ciò e altro ancora, oppure se siete dei gran consumatori di diserbanti per favore non parlateci di terreno e della sua composizione, per favore.

Luigi

*va molto di moda nel web fare post in forma di elenchi numerati, ho voluto farlo anch’io, però vi avverto che ho numerato a caso.


10 commenti:

  1. Le piante si nutrono attraverso le sostanze minerali (ioni) che trovano nel suolo, che sono ovviamente in soluzione nell'acqua del suolo, la quale ovviamente dipende anche dalla composizione del suolo, dalla sua tessitura (la proporzione relativa dei suoi componenti principali: argilla, limo e sabbia), dalla quantita' e qualita' di sostanza organica presente, e dagli organismi che vi abitano. Le argille presentano qualita' fisico-chimiche che permettono l'attrazione di ioni, e quindi influenzano la possibilita' per le piante di nutrirsi. Inoltre le capacita' fisiche, il drenaggio in particolare, hanno importanza determinante per la qualita' del vino. Mi sembra che il quadro sia piu' complesso di come lo descrivi, e in generale i suoli hanno importanza critica sulla qualita' dei vini. Vedi se riesci a fare un vino di qualita' in cultura idroponica e poi ne riparliamo.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Da incompetente agronomico rilevo che il post di Luigi è in negativo; e il titolo stesso lo pone come eccezione, contresempio, ad alcune banalità assortite che si dicono sull'influenza del terreno nel vino. Quindi non è una descrizione completa dei meccanismi nutrizionali delle piante, per dare un quadro dei quali sarebbe stato necessario allungare la lista dei contresempi almeno a 500. E poi chi se lo leggeva il post...
      Infine il post (sempre letto da incompetente) mi pare che suggerisca esattamente che il quadro è complesso, che i suoli sono fondamentali per la qualità del vino e che non si otterrebbe molto di buono facendo vini da viti in coltura idroponica.

      Elimina
  2. Il punto 5 la dice tutta.
    Curioso di leggere cosa pensano i tecnici, ma non guardiamo al pelo nell'uovo quando l'uovo stesso è marcio.

    RispondiElimina
  3. Ciao Luigi,
    è vero quello che dici: fino a qualche anno fa i professori universitari, i tecnici ci hanno insegnato a interpretare l'efficacia del nostro lavoro solo con i numeri, ma non è così. Ci hanno insegnato a guardare la vite dalla cintola in su, come se essa fosse sospesa per aria. Ciò che non era numericamente dimostrabile non esisteva. I nostri maesri sono stati questi, ma oggi molte cose stanno cambiando. Chi ha sensibilità e passione ha cambiato il baricentro della propria attenzione e non necessariamente divenendo biodinamico. Credo che la distinzione tra i "sensibili" e non sia decisamente trasversale.

    RispondiElimina
  4. Paolo (e Luigi), come diceva l'amico Salandin, pedologo ed ex direttore dell'IPLA, sono i suoli stessi ormai che sono ridotti dalla cintola in giù, almeno quelli di collina, a causa dell'erosione. Quindi semplicemente non sono più gli stessi di cinquanta o cento anni fa, perché l'erosione che abbiamo causato ai suoli è enormemente più rapida della pedogenesi da cui derivano, e il calpestamento e i trattamenti di vario tipo (rame incluso) hanno peggiorato le cose. Il post di Luigi è interessante e condivisibile, anche se (non essendo Luigi un tecnico) contiene alcune imprecisioni tecniche, perchè pone l'accento sull'aspetto fino a poco tempo fa meno studiato, almeno ai fini pratici, del suolo, cioè la sua vita microbiologica, senza la quale non c'è vita neanche "sopra". Dire che se hai un buon terreno e usi i diserbanti non puoi parlare di terroir è esagerato, ma concettualmente ha un certo senso. ANche se smetti diusare il diserbo, almeno per alcuni anni, la composizione floristica cambia rispetto a quella originale, e questo non pare un bel segnale.

    RispondiElimina
  5. Grazie a tutti di essere passati dal bar, proprio oggi in cui ho voluto provocare ma sopratutto ho voluto dire le cose chiare senza derive ecumeniche.
    Io sono convinto che chi ha abbracciato la chimica di sintesi, i fitofarmaci, i diserbanti per le produzioni agricole abbia commesso e commetta un crimine contro se stessi e l'umanità intera sono convinto che l'unica soluzione di abolire le molecole di sintesi che non hanno sufficiente storia per essere considerate "senza pericolo".
    Sono anche stufo di chi difende l'indifendibile perchè conosce solamente quello e si sente morire a fare un salto nel buio.
    Kempè

    RispondiElimina
  6. Il suolo è un ecosistema sfera che è in interconnessione con altri ecosistemi sfera: è come se esistessero milioni di sfere che si intersecano a formare grappoli. Questa è l'ecologia (Nota: liberamente tratto da "Il Tao dell'ecologia" di Edward Goldsmith"). Per cui parlare di una sola sfera è riduttivo, ma può aiutare per comprendere i sistemi ambientali. I sistemi più sono complessi, più sono salubri poiché riescono a modificarsi ai cambiamenti con più facilità.

    RispondiElimina
  7. La sostenibilità di un sistema è la sua capacità di conservarsi nel tempo in equilibrio. Sotto questo aspetto la chimica di sintesi non è necessariamente peggiore dell'uso di altre sostanze vegetali o minerali, come il rame. La ricerca di un equilibrio e di una vera sostenibilità dovrebbe andare oltre barriere ideologiche come questa. Senza chimica di sintesi non esistono i trattori, non esiste il vetro, non esiste l'acciaio dei fili e dei pali, né il computer sul quale stiamo scrivendo, il dentifricio con cui ci laviamo i denti e il furgone con cui portiamo i vini alla fiera dei vini naturali. O si fa una scelta radicale, come Fukuoka, che viveva in una capanna senza luce e acqua corrente, oppure parlare del rifiuto della chimica di sintesi è piuttosto discutibile.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Maurizio,
      mi spiace che tu cada in un discorso vecchio in cui si vede solo la contrapposizione fra industriale e naturale.
      Non è questo che dico, ciò che affermo con forza e ormai con una certa intransigenza è che l'industria e la tecnica odierna si sono allontanati troppo dalla natura (tecnica e "industria" esistono da millenni) al punto di essere il peggior nemico della Terra e in maniera auto distruttiva dell'umanità stessa.
      Bisogna che cambi e radicalmente il nostro "stare sulla Terra" perchè non ci sono più risorse naturali che possono sostenerci nel nostro attuale modo di vivere rapinoso.

      Elimina
    2. Luigi, condivido l'articolo, bello e stimolante come sempre. Ma non le conclusioni. Champagne è il territorio adatto per portare delle controprove. E' sempre stato abbastanza facile vedere la differenza fra uno Chardonnay di Avize e uno di Mesnil. Eppure sarebbero suoli asfittici "distrutti" dall'erosione e dai prodotti sistemici. Stesso discorso per tutti i territori con grande vocazione viticola. In Borgogna, dove la lotta contro le fitopatologie dagli anni 50 in poi è stata fatta "a cannonate" - e dove l'enologia era / è altrettanto invasiva - i differenti territori non hanno smesso di dire la loro nel bicchiere. Questo non significa che bisogna continuare ad avvelenare i suoli, ma significa che NON è vero che non si può parlare di suolo se si usa una viticoltura convenzionale. Si può eccome ! Aggiungo che alcune pratiche di difesa fitoiatrica consentite nel regime biologico sono certamente più invasive di un buon prodotto sistemico mirato (vedi ad esempio l'uso del piretro - approvato nel regie bio - per combattere la cicalina portatrice della flavescenza). Non credo affatto che la tecnica odierna si sia allontanata troppo dalla natura; credo invece nell'esatto contrario. Oggi i prodotti sistemici per i trattamenti sono certamente meno invasivi di quelli che si usavano negli anni '50, '60, '70, perché la scienza (quella seria) và avanti e migliora a piccole tappe. E non dimentichiamo che rame e zolfo continuano ad essere usati da tutti, siano essi convenzionali, bio e biodinamici. E gli isotopi del rame....

      Elimina