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mercoledì 5 febbraio 2014

I Pico 2011, La Biancara

di Niccolò Desenzani



Per un caso mi son capitate fra le mani e poi nel bicchiere due bottiglie del Pico di Maule del 2011 provenienti da due distinti vigneti (o zone, non lo so): Taibane e Faldeo.
Le ho poi ricercate senza successo. Sembra che siano misteriosamente scomparse o comunque terminate, mentre nell’enoteca sotto casa ho avvistato un Pico 2011, senza specifiche di cru. Manca all’appello il terzo cru, Monte di Mezzo, di cui non ho proprio trovato traccia.
Con rassegnazione tiro parziali somme su questo vino in quest’annata, e chissà che questo post non smuova a pietà il Maestro Maule o qualcuno dell’entourage e saltino fuori delle altre bottiglie!
Se il 2010 era già un vino di bontà entusiasmante, in un ricco equilibrio di fresco vulcanico e morbidezza, l’assaggio del Faldeo 2011 mi ha letteralmente esaltato, anzi potrei usare più correttamente elettrizzato. 12.5 gradi di tensione beverina a livelli quasi mai provati, in un vino così fresco e leggero e nello stesso tempo vulcanico e "garganico" che per me è la quadratura di un vitigno-terroir.
Poi qualche settimana dopo recupero la seconda bottiglia, che credevo fosse uguale e invece era il Taibane 2011. 13 gradi questa volta di Garganega solare, un po’ meno tesa, appena più ridotta all’apertura con conseguente sviluppo di golosità caramellose e fruttosità. Anche in questo caso la beva è oltre l’umanamente resistibile e la bottiglia si svuota in un amen.
Vini così, senza solfiti aggiunti, rappresentano un traguardo che mi lascia attonito.
Per me sono fra le cose più buone mai bevute.
E sono un inno alla territorialità e al rispetto del vitigno, sempre riconoscibilissimo e caratterizzante negli assaggi.
Applausi.





PS (Nota dolente) Per spirito di completezza, dopo aver messo in bozza questo post, ho acquistato una bottiglia di Pico tout-court 2011 (il lotto risulta febbraio 2013, 6 mesi precedente dopo i cru!). Ho resistito poco perché se lo pensavo come unione virtuosa dei precedenti assaggi, non potevo che aspettarmi qualcosa di straordinario. E invece. Invece quello che è uscito da quella bottiglia era un maceratone ammorbidito dalla botte, dove i sentori più varietali della garganega erano assenti, per dar spazio a una linea aromatica da orange wine generico, e poi nel giro di mezz'ora il gusto è caduto a picco nel sapore di cotica (ho scoperto che i miei omologhi emiliani usano questo termine per indicare quello che io chiamo sapore di topo). Risultato: oltre mezza bottiglia rimasta, imbevibile. Questa volta non mi sono arreso di fronte alla deriva batterica e ho deciso di riportare la bottiglia all'enoteca, se non altro per avere un confronto sulla questione e considerando che l'enotecario vanta una grande serietà professionale. Infatti ha voluto assaggiarla e inoltre ne aveva una dello stesso lotto aperta dallo stesso tempo della mia in frigo. Bene, né lui né il suo dipendente trovano difetti al gusto né nell'una né nell'altra, anche se devono riconoscere che i colori dei due vini sono diversi (la loro quasi paglierina e appena velata, la mia gialla e più torbida). Io assaggio la loro ed era sana e riassaggio la mia ed era cotica. Non c'è stato verso, l'enotecario mi ha guardato come fossi pazzo e ha detto che non poteva farci niente. Ho esibito il miglior sorriso che riuscissi e ho salutato. Mi hanno detto "e la bottiglia?" e io "tenetela, tanto la lavandinerei".
Morale della storia una bottiglia difettata; ci sta. Tuttavia il sapore di topo/cotica è ormai un'evenienza frequente nei miei assaggi noso2 e se le due bottiglie dei cru erano state una straordinaria sorpresa questa mi ha fatto tornare coi piedi per terra. Peccato non aver bevuto una bottiglia di Pico 2011 sana. 
Ma col cavolo che mi gioco altri 18 euro per riprovarci!

PPS Avvistato e acquistato in modo bizzarro anche il Monte di Mezzo da Andrea Primobicchiere.

credits to @primobicchiere per le foto col bianco più caldo

4 commenti:

  1. Esaltante nel giudizio positivo e coerente in quello negativo.
    Lo sai che affronto sempre volentieri le bottiglie noso2 ed incrocio spesso queste problematiche.
    Fossi un produttore, sarei molto cauto a sventolare la bandiera del "no solforosa".

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    1. Grazie Roberto, in effetti il post è diventato molto più pesante aggiungendo la nota dolente. L'intento è anche quello di esplicitare come alcuni tipi di problemi del vino (non percepiti da tutti alla stessa maniera) possano creare un piccolo cortocircuito nella catena distributiva.

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  2. Mi chiedo come possa evolvere una bottiglia come quella che hai descritto (la terza).

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  3. Mi chiedo come possa evolvere una bottiglia come quella che hai descritto (la terza).

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