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lunedì 10 febbraio 2014

costruire speranze



Come sapete, ormai da tempo e ripensandoci, è proprio molto tempo che ho un’avversione per l’utilizzo della chimica (non ditemi che rame e zolfo sono anch’essi prodotti chimici, lo so benissimo!) in agricoltura; la mia è una avversione per lo più di pensiero, culturale, etica, se volete anche un po’ naif.
Raramente ragiono con in mano i numeri, le statistiche, i diagrammi, non mi interessano e non perché li ritenga sbagliati o inaffidabili ma perché non sono parametri su cui le persone, io, formiamo il nostro giudizio, il cervello non è un processore e se ne frega dei numeri, si nutre dei colori e delle emozioni, delle empatie.

Molti rideranno e lo riterranno un modo di pensare stupido, avulso dalle conquiste della umana razionalità scientifica se non addirittura pericoloso perché fuorviante in quanto del tutto irrazionale.
Eppure è stato un modello comportamentale empirico che ha portato uno dei mammiferi più lenti, deboli, indifesi a colonizzare il mondo sopravvivendo alla natura.
Oggi credo che si voglia sopravvivere alle spese della natura, oppure si è operato uno scarto concettuale gravissimo che è quello di aver scambiato i modelli interpretativi del mondo con il mondo reale. Per cui se la realtà non va come la abbiamo immaginata nelle previsioni, non cambiamo i modelli previsionali ma cambiamo il mondo affinchè si adegui alla visione che noi ne abbiamo.























In passato molti mi hanno attaccato adducendo il fatto che senza industrializzazione dell’agricoltura non ci sarebbe stata la Green Revolution, a questo rispondo che l’unica cosa che la Green Revolution ha portato è stata la distruzione del lavoro nelle campagne, l’esodo, l’inurbazione forzata, l’aumento dei consumi di energie non rinnovabili, i dissesti idrogeologici, la dipendenza delle campagne dalle industrie chimiche ed energetiche.
Quali sono i modelli agricoli più produttivi per ettaro?
Quelli, tipo gli orti, le policolture ad alta intensità di lavoro.
Il modello ora in vigore ha basse rese produttive per ettaro che compensa con scarsa intensità di lavoro e con il consumo spasmodico sia di energie non rinnovabili (concimi, gasolio, pesticidi) sia di terra.
In questo momento di crisi bisognerebbe attuare, innescare, favorire il ritorno a lavori ad alta intensità come quelli agricoli, forestali, manutentivi, idrici proprio per assorbire i milioni di disoccupati (non lo dico io ma Luciano Gallino e Noam Chomsky e altri).
Bisognerebbe ritornare alle campagne e a stili di vita a basso impatto energetico ed antropico.



Questi pensieri sono nati leggendo i primi capitoli de “Il veleno nel piatto” di M.M. Robin, Feltrinelli, in particolare ciò che mi ha colpito è stato un dato analitico (ogni tanto li guardo) sulla efficacia dei pesticidi:
“Si stima che 2.500.000.000 kg (due miliardi e cinquecento milioni chili) di pesticidi vengano riversati ogni anno sulle coltivazioni del pianeta (dati del 1996). La parte con cui gli organismi bersaglio entrano in contatto o che ingeriscono è minima. La maggior parte dei ricercatori la valuta in meno dello 0,3 per cento. Questo vuol dire che il 99,7 per cento delle sostanze versate se ne va altrove. Poiché la lotta chimica espone inevitabilmente ai trattamenti degli organismi non bersaglio, tra cui l’uomo, si possono manifestare effetti secondari indesiderati su alcune specie o comunità o su interi ecosistemi.” Hayo van den Werf, agronomo dell’Inra.
Malgrado ciò il 35% dei raccolti viene distrutto dai parassiti: 13% insetti, 12% piante patogene, 10% piante infestanti.

Credo che la prossima che avrò mal di denti, salterò su una mina antiuomo, il male passerà di sicuro.

Al di là della battuta macabra, è ora di fare qualcosa è un dovere che dobbiamo assumerci tutti insieme, quello di costruire delle speranze.

Luigi

Ps

Nei 2.500.000.000 kg di pesticidi ci sono: benzene, manganese, bromuro di metile, clorofenoli (costituenti dell’agente arancio), acido Mcpa…

1 commento:

  1. Perché tutta questa chimica?
    1) Per produrre grandi quantità di prodotti.
    E poi dove va questa immensa quantità prodotti?
    Li consumiamo tutti?
    O gran parte di essi viene buttata?
    2) Perché vogliamo produrre anche dove le condizioni climatiche non lo permetterebbero.
    3) Perché non compriamo mele se non pesano 1kg e sono lucide come specchi, senza il minimo difetto, senza la minima imperfezione. Botulinizzate. Un piccolo puntino ce le fa schifare. Ebbene sì buona una parte di colpe è anche nostra, di noi consumatori.

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