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venerdì 7 settembre 2012

Λαϊκός (laikòs), Laico.




Ci provo ad esserlo e non sapete quanti sforzi faccia.
Qualcuno di voi sorriderà, ma è la verità.
L’altro giorno ho persino comprato due (purtroppo ben più di due) vini bianchi vinificati in estrema tecnica e pulizia enologica.
Mi sono detto che non posso accanirmi con soli lieviti indigeni e moderati interventi in cantina (se non addirittura assenti, in qual caso raggiungo livelli di godimento cerebrale quasi scabrosi) meglio se supportati da cornoletame e preparato 501, 504.
Quindi laicamente ho acquistato (bottiglie di costo moderato, invero, ma caldamente consigliate dall’enotecario) due vini.
C’era nelle due bottiglie del catarratto, carricante, insolia, grecanico e una tanticchia di sciardonnè.
Provenienti da Pachino e dall’Etna.
Fino ad oggi, dei dubbi sulla mia ostilità verso i lieviti secchi industriali (non essendo un tecnico) li avevo.
Bene!
Questi due vini li hanno fugati prontamente.
Ho ingurgitato bevande idroalcoliche al profumo di fiori e frutta (si sentiva persino del vegetale stile sauvignon nell’insolia,  grecanico, sciardonnè), il vino è un’altra cosa, credo.
E poi aveste visto che limpidezza, che colore evanescente, con riflessi verdi, un inno alla filtrazione sterile, alla chiarifica.
E poi nel catarratto carricante sembrava palese (a dire di un produttore presente al mio desco che lo ha assaggiato, io non mi azzardavo) un aiutino acido citro/tartarico per ravvivarne le durezze.
E poi l’assoluta e irritante a-territorialità di questi vini fatti con lo stampino.

Questo post è il mio urlo di disappunto e di risentimento verso chi me la mena ogni santo giorno sulla inevitabilità e bontà e giustezza e eticità delle enotecniche.
Mi dicono:
“Possiamo mica stigmatizzare i produttori che per esigenze tecnico/commerciali/economiche usano vinificazioni tecnologicamente assistite?”
Si possiamo.
Perché il prodotto che vendono con il nome commerciale di vino.
Vino non è.


Poscritto
Il contenuto del post è sconsigliato ai conformisti e agli adoratori del metodo scientifico perché il contenuto è altamente provocatorio, irrazionale, soggettivo, al più intersoggettivo e condiviso solamente da una frangia di enoanarchici con derive enodissidenti.
Dei vini in questione ho bevuto solo due bicchieri e poi ci ho innaffiato il plumbaco.
Costano tra gli 8,00 e 10,00 euro, comunque troppo per usarli come irrigatori da giardino.
Non pubblico le etichette perché di questi vini ne è pieno il “mondo del vino”, anzi ne costituiscono l’ossatura, quindi la mia è una lotta impari e persa in partenza.

Non credo che mi definirò mai più in vita mia “Laico”.
Almeno da sobrio.

Post poscritto
Prima di pubblicare questo post mi è capitato fra le mani l’ennesimo Catarratto (di montagna, scritto in etichetta) che profumava di Muller Thurgau.
Solo la mia residuale educazione (invero già molto scarsa) e la presenza di ospiti ignari mi ha fermato dall’innaffiare il plumbaco con il contenuto idroalcolico della bottiglia (pure una renana!) da qualcuno definito vino.
Neanche a farlo apposta dopo il Catarratto e sempre prima di pubblicare il post, ho fatto l’errore di ordinare una bottiglia di Grillo, ottimo! Fosse stato un riesling prodotto a Bolzano, anche lui è finito nell’aiola del ristorante (non c’era il plumbaco, peccato! Costo della bottiglia 20,00 euro!).
E poi ieri un Soave che pareva una confezione di caramelle, quelle con il chewing gum all’interno.
Parrebbe non esserci fine al peggio.
Ho incominciato, malgrado sia estate, come faceva Pepe Carvalho*, ad accendere il camino con i testi di enologia.

*investigatore privato nato dalla penna trascinante e caustica di Manuel Vazquez Montalban, grandissimo scrittore e gastronomo e bon vivant Spagnolo il quale, con la sua morte, ci ha lasciato orfani in un mondo che ha perso l’ironia, l’intelligenza, la tolleranza e la capacità di “sbagliare da professionisti”.


43 commenti:

  1. Io ho preso da qualche tempo questa decisione: #mai+laico nel comprare (sottolineo comprare) vino, i miei euro non li destino + ai "vins d’effort" (cit.)

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  2. A parte il povero plumbaco che non oso immaginare come sia ridotto ora, non essendo in periodo di Quaresima devi aver perso qualche grossa scommessa per giustificare questi acquisti... ;-)

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    1. Caro Andrea,
      questa estate mi sono trovato di fronte ad una serie di vini sconosciuti e altamente raccomandati dall'enotecario/ristoratore (entrambe spaventati dal fatto che i consumatori abituali riportano in dietro i vini che io bevo con piacere ad es. Pithos di Cos, i vini di Barraco) a fronte di queste opinioni, io "laicamente" ho deciso di assaggiare.
      Quindi nessuna scommessa, solo l'esercizio del dubbio...

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    2. Capisco, anche a me è capitato in enoteca che l'enotecaro non prendesse più certi vini, per me ottimi, (Bragagni etc..) perchè facevano "puzze" a suo dire. Si ha sempre paura del diverso. Credo che il consumatori sia troppo gusto-omologato e con poca voglia di mettersi in gioco e cercare di capire certe tipologie di vini. Peccato, non sa cosa si perde...

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    3. Cos non l'ho ancora bevuto (mi rifarò, lo giuro!).
      Ma i vini del grande Nino Barraco sono una meraviglia della natura e chi li riporta indietro non è degno di bere vino!

      ;-)

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  3. "Mi sono detto che non posso accanirmi con soli lieviti indigeni e moderati interventi in cantina (se non addirittura assenti"
    e quali sarebbero?
    Vediamo quelli i quali l'uva decide lei quando vendemmiarsi, poi prende si mette a derasparsi, si tuffa in un tino, si autoschiaccia, decide lei quando ha finito di fermentare, fa degli autobatonnage, si travasa allegramente in aktri contenitori e ovviamente decide lei di prediligere legno, acciaio, cemento o anfora. Nel corso del tempo si assaggia da se e decide quando e tempo di transumare in più comode bottiglie.
    Intendi questi? ;-)

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  4. @Robij_M Tu scherzi, ma esistono vini che somigliano parecchio alla tua parodia!
    Per il resto, sarò controcorrente, ma non vedo molto di più laico che assaggiare e decidere liberamente di svuotare nel plumbaco!

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    1. Non ne esistono. IMHO ci sono modi diversi di appropriarsi al fare il vino. Che cerca il vino nell'uva e chi usa l'uva per fare il vino. Entrambi sono modi di farlo.
      Inoltre faccio a capire tutto il discorso sui lieviti (escludendo chi li usa male).
      Avete ed elogiate birre che sono fatte con prodotti standard, dai lieviti ai luppoli; non vi siete mai posti il problema della provenienza del caglio di ottimi formaggi o dei lieviti di pani croccanti. Ma per il vino ogni virgola è il male... Fatico a capire.

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    2. Non ne esistono. IMHO ci sono modi diversi di appropriarsi al fare il vino. Che cerca il vino nell'uva e chi usa l'uva per fare il vino. Entrambi sono modi di farlo.
      Inoltre faccio a capire tutto il discorso sui lieviti (escludendo chi li usa male).
      Avete ed elogiate birre che sono fatte con prodotti standard, dai lieviti ai luppoli; non vi siete mai posti il problema della provenienza del caglio di ottimi formaggi o dei lieviti di pani croccanti. Ma per il vino ogni virgola è il male... Fatico a capire.

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    3. Io mi pongo analoghe questioni su tutti i fenomeni di natura che citi. E infatti un po' mi spiace che la fontina d'alpeggio che racconti qui (http://www.fernandowine.com/2012/09/alla-fonte-della-fontina/) sia fatta usando un caglio "non indigeno". E ho scoperto la Lambic, proprio in questa ricerca. E poi, quanti pani, quante pizze, lievitati troppo in fretta ci infliggono nottate di bruciori di stomaco?
      La riflessione sulla fermentazione di cibi e bevande, sulla naturalità, sulla lentezza, sui processi è una domanda che val sempre la pena di porsi per qualunque "fermentato" (imho). E vogliamo parlare del tè, e della soia, e del saké, e lo yogurt...
      La fermentazione, si dice, è coevoluta con l'uomo. Gli appartiene. E la fermentazione è processo antico, come la Vita.
      Vale la pena non cosiderarla un processo standard, ma studiarne le infinite varianti e magari preservare tutte queste diversità.
      Insomma hai toccato un tasto importante, sempre secondo me, si intende!

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    4. Ma anche in tutti i casi che citi la differenza la fa la materia prima ed il FARE le cose. Io uso lievito di birra (poco) con uno starter (polish) e lente e lunghe lievitazioni e il pane che ne esce non sa di lievito ne rifermenta in pancia, è digeribile e "si tiene" per una settimana senza problemi. Così è per tutto ciò che l'uomo realizza che sia vino, birra, pane, etc etc

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    5. Non sto dicendo che non si possa avere un fermentato di qualità coi metodi che proponi. La varietà dei lieviti può fare però delle differenze.
      A proposito di pane e di lieviti questo è ciò che pensa Eugenio Pol, panettiere a Fobello. http://www.youtube.com/watch?v=i0jed71zgF4

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    6. Roberto,
      che tu scriva su questo blog che non ci siamo preoccupati di starter, formaggi, pane e lievitazioni e, aggiungo io, di consorzi microbici in generale, suona come una provocazione alla quale io non voglio rispondere per non offendere la tua intelligenza.
      La birra è un problema, ma l'unica di cui si è parlato in questo blog è la meno problematica che ci sia (Loverbeer).
      Dei formaggi effettivamente non ho verificato da dove provenisse il caglio(ed è un grave mancanza) ma mi chiedo quanti enofoodblogger abbiano assistito alla mungitura, scrematura, cagliata, rottura della cagliata, filatura della pasta? Quanti conoscono la differenza fra cagliata presamica e acida?
      Ti segnalo l'ultimo post mio a riguardo di microbi a altre amenità e spero che tu ti ravveda.
      http://gliamicidelbar.blogspot.it/2012/06/non-voglio-piu-sentir-parlare-di-vini.html
      Ah mi sono pure impegnato nella lettura dei testi di microbiologia di Vincenzini e quelli di Zambonelli.

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    7. Luigi tesoro... È ovvio che quel "non vi preoccupate" non è rivolto a te e il Dese ma alla "categoria" dei "lievitisti naturali" :-)
      Ti leggo anche quando non trovi miei commenti.
      IMHO prima che la differenza tra un vino fatto con lieviti autoctoni e lieviti alloctoni c'è la differenza tra chi il vino lo sa fare e chi non lo sa fare.

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  5. No il plumbago no(( innaffiato dal vino..
    Poveri fiori cosi' intensamente blu lavanda..di che orrido colore saranno diventati?(
    Meglio la carta stampata da Pepe Carvalho ai poeti greci...trust me:)

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  6. occhio perché "il mondo del vino" ti ha già messo nel mirino ...

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  7. Alla luce di quanto scrivi, come definiresti, tanto per fare un esempio, il Muller Thurgau Palai o la Nosiola di Pojer & Sandri?

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    1. Ammetto di non conoscerli e mi cospargo il capo di cenere.
      Comunque la tecnica non è satana, sia mai, ma in essa è insita una contraddizione. La miglior tecnica è quella meno invadente, che segna meno il suo operato quindi credo che con un minimo di precauzioni igieniche, se ne possa fare a meno.

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    2. Se parliamo di Pojer e Sandri parliamo di eccellenza. E parliamo di ricerca profonda e ininterrotta da parecchi decenni. Sicuramente sono un contresempio. Il discorso è statistico. E forse è più facile fare un vino interessante senza usare i lieviti industriali. Sicuramente è più difficile farne uno perfettino. Ecco però se devo scegliere come spendere i miei soldi l'ultimo vino a cui sono interessato è il vino inerte e perfettino. Ho bevuto di recente due bottiglie di Brut Rosé di P&S ed è uno spumante buonissimo; ma, appunto, si sente una "mano" super!

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  8. Caro Luigi sai benissimo come la penso e continuo a dissociarmi in parte da questa scuola di pensiero. Ciò non toglie che essendo un appassionato, la curiosità e la voglia di scoprire sempre delle novità e altri tipi di vedute mi portino a bere e acquistare anche quelle tipologie di vin che in alcuni casi vengono definiti "naturali".
    Ricordo però che ci sono ottimi vini non omologati ottenuti con l'utilizzo di moderne tecnologie enologiche!
    Sono sempre più contento di continuare a studiare Tecnologia e Chimica enologica...

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    1. Infatti sei il più laico dei futuri enologi che io conosca e probabilmente i tuoi professori non ti accetterebbero neanche all'esame sapendo che tu bevi il Barbacarlo.
      Quello che non accetto è che la tecnica diventi il fine e non il mezzo, ma di questo ho già scritto parecchio e non voglio dilungarmi.
      Ci si affida ormai alla tecnologia come ad un oracolo, uno nuovo dio Bacco dell'era dei lumi.

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  9. Sai, Luigi, che sono molto d'accordo con quello che scrivi.
    Però i distinguo sulle tecniche vanno fatti perchè non si può paragonare una stabilizzazione/chiarifica a freddo con l'aggiunta di tannini, per esempio.
    La prima è innocua (la uso anch'io e sai quanto sono sovversivo), la seconda edulcora il prodotto senza scampo, falsificandolo.

    Discorso simile potremmo farlo per le aziende.
    Io porto sempre ad esempio Salustri (e forse sono anche ripetitivo), dove ho fatto l'ultimo stage pre-laurea e quindi posso parlarne avendo visto dall'interno la gestione di vigna e cantina.
    Salustri, pur lavorando in bio, non è considerata tra i naturali o comunque tra i non convenzionali. Eppure nella tecnica, nel metodo, nelle intenzioni, nella coerenza di lavoro, lo è pienamente e sforna dei sangiovese che spaccano il deretano a nomi ben più altisonanti e prezzemolini.
    Usa per lo più lieviti selezionati (ma non sempre) eppure non posso fargliene una colpa, visti i risultati.
    Ecco, questo per dire che sono convinto che se tu sentissi i loro sangiovese avresti la mia stessa opinione!

    un abbraccio

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    1. Infatti io non intendo far rientrare tutte le tecniche nell'inferno enologico ma solo quelle che tendono a manipolare il gusto al di là di ogni logica e in barba a ogni concetto territoriale.

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  10. «Abbiamo bisogno di chiarezza, di rifiuti, di travestimenti, di chiamar le cose con il loro nome. Per questo non è tempo di laicità flebile, timida, devota. È tempo, pieno e difficile, di laicità senza aggettivi o, se vogliamo comunque definirla, semplicemente democratica.»
    S. Rodotà, Perchè Laico - ed. Laterza

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  11. bella la foto con i giunti tipo din e non più gli obsoleti attacchi garolla.

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  12. Luigi, è capitata più o meno la stessa cosa a me in vacanza, soprattutto con i vini bianchi. Non mi sento però così estremista. Le più grandi bevute che io abbia mai fatto provengono da vinificazioni corrette, ne estreme da un lato, ne dall'altro. Molto attente e fatte da grandi maestri. A mio parere, come in molte altre cose, la verità (che nel mondo del vino non ce l'ha in mano nessuno) sta nel mezzo.

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  13. Vi lascio questa nota oresa da Wikipedia. Avrete sicuramente voglia di approfondire.
    " Parlare di una "tipicità del lievito" è però un concetto alquanto arduo. A proposito sono stati condotti numerosi studi relativi all'identificazione delle specie di lievito che popolano la superficie dell'uva, sia in Italia (De Rossi 1935, Castelli 1955 1967) che su vigneti francesi (Domercq 1953 e 1956). Tali studi non solo analizzano le caratteristiche delle specie sull'uva e in fermentazione, dove si sviluppano maggiormente quali sono i vettori, ma soprattutto hanno quantificato l'incidenza di tali ceppi sulla qualità o sui difetti del prodotto. Si è verificato come dei pochi ceppi "autoctoni" isolati molti presentano caratteristiche deleterie dal punto di vista enologico (alte produzioni di Acido Acetico, scarsa resistenza a basse temperature e a pH bassi, basse rese fermentative). La stragrande maggioranza degli isolamenti conferma infatti come i lieviti presenti sull'uva prima e nel mosto poi, vengano in realtà da contaminazioni con macchinari di cantina e ambientali. Senza alcuna connessione con il concetto di Tipicità o di Terroir. L'incidenza del lievito sulla qualità del vino (a differenza di quanto avviene con la birra) è relativa solo all'assenza di difetti; la qualità o la tipicità risiedono maggiormente nelle potenzialità dell'uva e nelle tecniche colturali ed enologiche."

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    1. Gli studi di Vincenzini sono molto più recenti, ti consiglio l'acquisto e la lettura, peraltro non impossibile anche per dei neofiti.
      Poi che i lieviti di cantina non siano di territorio è una buffonata!
      Come se le cantine fossero su Marte, ma suvvia!

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  14. "se vuoi mettere in risalto le caratteristiche varietali e territoriali di un vini l'uso di lieviti selezionati è indispensabile (prof. luigi moio ad un mio amico due anni fa).

    quello che per qualcuno, soprattutto per quelli che credono ancora che i cosidetti lieviti indigeni vengano dal vigneto, sembra una contraddizione, invece è una conclusione logica.
    infatti facendo fermentare da loro mosti e pigiati aumenta il rischio che esteri acetici indesiderati e composti solforati malodoranti mascherino gli aromi provenienti dall'uva aumenta di molto.
    a questo fine è buona regola partire con inoculi consistenti di lieviti con buone caratteristiche fermentative (pronta partenza, bassa produzione di anidride solforosa ed idrogeno solforato, esaurimento completo degli zuccheri anche con alte gradazioni alcoliche).

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    1. Mi permetto di intervenire sulla forma di questa argomentazione. L'affermazione di Luigi Moio è categorica ed esclude che si possa mettere in risalto varietale e territorio senza l'ausilio dei lieviti selezionati (quali, poi, è da vedere).
      Nell'argomento che segue sembrerebbe che più che di impossibilità si tratti molto più concretamente di rischio. Rischio di compromettere il buon esito della fermentazione, rischio che intevengano aromi e sapori considerati indesiderati (e anche qui sarebbe difficile mettersi d'accordo). Si evince dunque dal ragionamento quello che è piuttosto ovvio e cioè che l'inoculo dei lieviti guida la fermentazione su binari di maggior certezza, e che aiuti ad escludere dal risultato un certo bagaglio aromatico gustativo considerato non desiderabile.
      Ma è proprio su questo aspetto che nascono le vere contrapposizioni.
      Ho sentito con le mie orecchi produttori tecnicamente strapreparati scegliere la via delle fermentazioni spontanee, aspettando anche dieci giorni perchè il processo si avviasse alla sua fase culmine (quindi prendendo un grande rischio), il tutto perchè egli ritiene che sarebbe una grossa perdita non lasciare che si sviluppi quel bagaglio complesso che non avrebbe modo di svilupparsi in una fementazione guidata da un singolo lievito in condizioni controllate.

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  15. già l'argomento del rischio ridotto, non eliminato, è sufficiente a giustificare l'inoculo con un grande numero di lieviti elittici.
    chi vive del vino non ha per niente bisogno di aumentare il numero dei rischi di produzione già esistenti. chi mi compra partite ridotte o dolci o con volatile in evidenza?
    di questi "bagagli" possiamo anche fare a meno con piacere.
    perchè abbandonare uno dei progressi cardine dell'enologia contemporanea, come lo dice anche il prof. carlo zambonelli in "microbiologia e biotecnologia dei vini", dove con un impiego mirato di anidride solforosa sull'uva e l'inoculo di lieviti saccaromicetici in grande numero si bloccano i lieviti apiculati e molte specie batteriche che non fanno che danni?
    più l'acidità e bassa (e pH alto) più deleterio è per un mosto che stia fermo senza fermentazione (e alcol).
    se uno proprio vuole che il mosto sia fermentato dalla popolazione di cantina può sempre avvalersi dell'impegnativa fermentazione super quattro e passare dopo, sempre se sono fermentazioni pulite, all'inoculo da vasca a vasca.
    importante è che la fermentazione parte (non per forza si concluda) nel più breve possibile.
    poi si deve domandare cosa possa contribuire la flora lievitiforme del posto?
    non sono altro che i residui di fermentazioni precedenti (spontanee ed indotte) degli anni precedenti. saranno i ceppi selezionati dalle operazioni di pulizia della cantina e dei suoi macchinari, ma non certamente per forza i ceppi che daranno luogo al vino più buono.

    certo che al momento fa figo essere produttore di vini fermentatati in modo spontaneo per cui diversi produttori sono indotti ad interpretare in modo molto elastico il concetto di fermentazione spontanea se a loro viene chiesto da giornalisti o appassionati come lavorano.
    se poi, come veniva riportato nel post di partenza, che certi vini erano irriconoscibili, bisogna forse invece di dare la colpa sempre a questi cattivi microbi, porsi anche la domanda se erano composti veramente solo o in modo predominante da quello che era riportato in etichetta.

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    1. Premessa 1. Non ho conoscenze tecniche, né accademiche, né pratiche, ma devo basare quello che dico su quello che ho letto qua e là, sulle parole di altri più esperti di me e sul ragionamento.
      Premessa 2. Ho troppa stima per chi fa il proprio mestiere seriamente, che non mi permetto di giudicare sbagliata la scelta dei lieviti selezionati, se la sceglie per convinzione di fare prodotto di miglior qualità.
      Premessa 3. Come ho già detto più volte, credo che l’uso dei lieviti indigeni sia un marker statistico di come si lavora in una cantina. Generalmente questa scelta, che è scomoda, viene fatta per cercare di produrre vini secondo un criterio di ridotto intervento, ridotto uso di prodotti enologici (generalmente nessuno), ricerca di prodotto e di un gusto poco artefatto. Se poi il vino è anche non filtrato, diciamo che la probabilità di un vino molto poco artefatto è quasi una certezza (sempre parlando in statistichese). Avendo io riscontrato che all’interno di questa tipologia di vini, ho maggiori probabilità di bere cose di mio gusto, sono diventato un estremista, ma solo perché ho tempo, soldi e fegato limitati e devo cercare di ottimizzare il piacere.

      La “scoperta” che i lieviti indigeni sarebbero lieviti di cantina ha qualche punto oscuro.
      Come fai tu, è facile concludere che i lieviti e i microbi presenti nel vigneto siano piuttosto ininfluenti per la formazione delle caratteristiche del futuro vino.
      Ma allora perché ci sono produttori che decidono di investire tempo, soldi e energie per zonare le proprie vigne dal punto di vista delle caratteristiche dei mosti fermentati in modo da individuare delle piante più adatte a fare un pied de cuve? Come si spiega questa diversità fermentativa?
      Di recente si parla delle api come vettori fondamentali per la preservazione dei lieviti nel tempo. Ma non mi risulta che le api siano di preferenza insetti da cantina.
      Ma più banalmente, visto che produrre vino dalle stesse uve nelle medesime condizioni usando lieviti selezionati e indigeni porta a risultati diversi, e che esistono molti vini eccellenti vinificati con i lieviti indigeni, che cosa porta ad affermare che l’uso di lieviti indigeni porta in più solo effetti indesiderabili?
      Ah comunque il produttore cui mi riferisco oltre a essere enologo, si è persino espresso pubblicamente in modo molto critico riguardo il vino cosiddetto naturale. Quindi non credo che dovesse farsi figo con me o con chicchessia.

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    2. Dovreste spiegarmi perche diffidate dei lieviti che hanno la loro nicchia ecologica in cantina? Le cantine nn sono un elemento pienamente calato nel territorio? C'é molta affinita fra ceppi di cantine dello stesso territorio e questa scema allontanandosi. Nn é questo sintomo di radicamento ai luoghi e di coevoluzione con essi?
      Perché il lievito deve venire dal vigneto per essere "territoriale"?

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    3. Non diffido dei lieviti di cantina. Sono convinto che la cantina abbia un ruolo determinante nella definizione del "bagaglio" del vino. Purtroppo anche in cantina spesso la "retorica igienico-sanitaria" fa i suoi danni spingendo a creare ambienti sterili e, per forza di cose, extraterritoriali. Dirò di più, spesso mentalmente correlo certo stile di vino allo stile della cantina! Credo che lo stesso si possa dire dei formaggi e di tanti altri prodotti fermentati.

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    4. Facciamo molta fatica a rendere sterili gli ambienti, è una impresa irrealizzabile e concettualmente delirante, per cui e mi piacerebbe che i produttori intervenissero dicendo che mosti uguali in vasi inox diversi ma inoculati con lieviti identici danno vini anche piuttosto diversi. Per non parlare dei vasi più porosi come il legno e il cemento.
      Mi piace citare un produttore che non si negherebbe mai l'uso di lieviti secchi che contrassegna le botti con +,++,+++ in base alla qualità del vino che ottiene dopo il passaggio nel legno. La differenza qualitativa chi la dà se non l'intervento dei lieviti residenti nei vasi?
      Questo vuol dire che non si può essere certi che le fermentazioni primarie siano veramente portate a termine dagli inoculi.
      Per tornare allo stile di cantina è ovvio che se usi lieviti indigeni avrai una selezione personale di questi e quindi molto probabilmente un segno indelebile dal punto di vista olfattivo/organolettico esattamente come succede nel terreno con il consorzio microbico. Tutto ciò rientra nel concetto stesso di Terroir.

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    5. circa l'igiene in cantina voglio solo aggiungere che è il miglioramento di essa che ci permette oggi di lavorare con molto meno anidride solforosa di pochi anni fa. e per garantirla non servono detersivi chimici (forse una volta l'anno), bastano pareti e pavimenti lavabili, serbatoi con superfici liscie, un pulivapor (ogni tanto) e tanto olio di gomito dopo ogni giorno di lavoro in cantina.

      comuque anche se io avessi una flora microbica in azienda che ha resistito alle buone pratiche di cantina, chi mi dice che è automaticamente un lievito dalle caratteristiche desiderate, da me, dal ristoratore, dall'enotecario, dal consumatore finale? vi sembra un scusa plausibile dire che il vino non è venuto come tutti vorrebbero perché sono i lieviti di cantina che me lo hanno fatto così? farà parte del cosìdetto "terroir" ma da sempre il viticoltre ha accettato le cose buone che questo terroir gli ha dato e ha cercato di modificare quelle cose del terroir che non gli andavano.

      è vero che non si sa, quali lieviti finiscono la fermentazione.
      ma poco conta.
      è importante che parta presto e che i saccaromiceti (buoni) prendano subito il sopravvento.
      e per garantire ciò non ho altro mezzo che aggiungere lieviti secchi o inoculare con un mosto già in fermentazione o fare la super quattro (o lavorare alla mosella dove i valori talmenti bassi di ph impediscono lo sviluppo di batteri nell'attesa della partenza della fermentazione).

      per diciotto anni ho fatto nel mio lavoro precedente tra l'altro test di lieviti. per rigore scientifico le fermentazioni avvenivano sempre in doppio (osservazioni non ripetute non hanno valore) e nonostante che le damigiane fossero sterilizzate in precedenza, le fermentazioni davano origine a vini leggermente diversi. tante volte lo scarto tra le ripetizioni era uguale a quello tra i diversi ceppi. ceppi che a seconda del mosto di partenza davano diversi risultati organolettici (che poi variavano ancora con la maturazione del vino) per cui alla fine ci siamo limitati a descriverli dal punto di vista della cinetica di fermentazione. da allora ho l'esperienza di diffidare moltissimo delle promesse olfattoriogustative dell'industria zimotecnica.

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    6. Grazie di questo racconto, un pezzo in più a complicare un puzzle già complesso! E grazie dello scambio.

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    7. volentieri!
      sì, la cosa e alquanto complessa e purtroppo spesso la questione prende più un verso ideologico (non intenso necessariamente in modo dispregiativo) che razionale.

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  16. Il mio post non verteva sui lieviti secchi.
    Io non li amo per svariati motivi tra cui la riduzione della biodiversità microbica all'interno degli alimenti, processo ormai inarrestabile indotto dalla retorica medica sulla sicurezza igienica dei cibi che è stata prontamente, anche se per altri motivi, condivisa dagli industriali alimentari e dagli industriali della chimica.
    Non li amo e trovo che difendere un processo, una tecnica che pochi anni orsono non esisteva e che nuove scoperte potranno sovvertire sia alquanto bizzarro.
    Ciò che io dicevo nel post è che non sopporto l'accanimento tecnologico mirato alla costruzione di un prodotto pensato a tavolino come fosse una qualsiasi bevanda gassata.
    Almeno costasse come una bevanda gassata, invece questa acquerugiola ributtante è venduta a 8,00 10,00 15,00 euro in barba a ogni concetto di territorialità ma anche di etica del commercio.
    Al chè vi saluto e brucio il Zambonelli nel camino, osservato dal fantasma di Montalban.

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  17. Un inconcludente blaterare, inutilmente aulico (e privo di punteggiature) di chi non ha cognizione di causa e pensa di predicare il vangelo. Complimenti

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    1. Carissimo anonimo non rimuovo l'intervento perche oggi ho livelli di tollerranza altissimi e perche spero che tu partecipi ancora ai dibattiti sul blog, pero la prossima volta abbi quella briciola di coraggio in piu e dichiara chi sei, come tutti gli altri mettici anche tu la faccia che di vendicatori mascherati faccio volentieri a meno.
      Avvertimento é l'ultimo commento anonimo che pubblichero sul blog.

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  18. Dice N.Desenzani: " aborro la filtratura come il Diavolo l’Acqua Santa ". In effetti la parola filtro mi fa venire in mente la parola censura, il fraintendere, l'interpretare a propri fini. Ma mi ricorda anche la selezione, il separare grano da loglio.

    Facciamo un esempio: immaginiamo di avere una vigna di Friulano nei Colli Orientali, estati sempre calde, acidità sotto i piedi. Ma l'acidità in un vino è come il ritmo nella musica; provate a pensare a una sinfonia di Mozart o di Beethoven senza ritmo , o a un brano di Otis Redding senza ritmo: non si riesce. Allora che faccio: inibisco la malolattica così da tenermi quella tacca in più di acidità che da' tensione e dinamica al vino, ma soprattutto che veicola territorio. Ma se inibisco la malolattica devo microfiltrare all'imbottigiamento per togliere eventuali batteri che se attaccassero il malico in bottiglia farebbero disastri. Microfiltrare significa usare filtri da < 0,5 micron (filtri con buchi di mezzo millesimo di millimetro, non so se mi spiego). Certo, questo è un intervento tecnologico molto invadente, ma è nulla confronto all'effetto che avrei lasciando svolgere "naturalmente" la fermentazione malolattica. Anche N. Joly inibisce la fml, quando non è certo di avere sufficiente acidità per fare parlare il suo territorio. Cito alcuni vini fatti con questo metodo giusto per farmi capire: tutti i bianchi di Miani, tutti i bianchi di Ronco del Gnemiz, quasi tutti i bianchi di Cantina Terlano, Pallagrello Bianco di Selvanova, Fiano di Ciro Picariello, i Fiano di Sabino Loffredo (Pietra Cupa). Non vorrete mica versare nel plumbaco questi vini. E giusto per chiarire il Pallagrello Bianco di Selvanova è sempre un pò torbido anche se è microfiltrato (quindi la torcia dell'aifon non ci dice granché)

    E a Luigi dico di aspettare un attimo a dare del conformista a un adoratore del metodo scientifico o a un amante dei vini puliti, perché oggi il conformismo nel vino mi pare stia dall'altra parte. Riguardo al metodo scientifico mi pare sia l'unica cosa che ci abbia portato conoscenza, anzi se oggi ci possiamo permettere il lusso di fare gli olistici è proprio perché abbiamo avuto Galileo e l'illuminismo.

    Brindo alla vostra salute e a tutti quelli che amano il vino, la musica, la letteratura e la matematica.

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    1. Il mio era un post ironico perchè l'ironia è la compagna di viaggio ideale per il viandante del terzo millennio.

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