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mercoledì 26 settembre 2012

Argal, 2007, Pinerolese Rosso Doc, Dora Renato



Ogni tanto ragiono su un concetto espresso da Maurizio Gily.
Maurizio sosteneva in un suo intervento che i blogger parlano sempre degli stessi produttori, per lo più introvabili nella comune distribuzione e che rappresentano una nicchia, mentre nella realtà italiana i produttori imbottigliatori sono più di ventimila.
In realtà Maurizio estendeva questa sua velata critica anche alle guide le quali recensiscono più o meno duemila trecento produttori, circa il dieci per cento del totale.
Mi sono sentito toccato su questo punto e dentro di me, mentendo spudoratamente, dicevo che se non risultavano in nessun blog e in nessuna guida era perché i vini non erano all’altezza.
Però un dubbio mi rimaneva e rimane.
Ultimamente ho acquistato due bottiglie, quella di cui vi parlo oggi e un Ruchè di Massimo Marengo a Castagnole Monferrato (AT) dopo una rapida occhiata ho visto che nessuno dei due compare in queste guide: Sloowine, Gambero Rosso, Espresso, Duemila vini; peraltro anche Tenuta Migliavacca compare solo su Sloowine.
Ho voluto assaggiare entrambe.
Perché subisco sempre la fascinazione per gli eroi perdenti, per coloro che abitano il limite dell’oblio e il mio sospetto è sempre, e spesso ne sono corroborato, che sia il caso, il giro del vento mediatico che porta alcuni vicini alla boa del traguardo e altri a bolinare nelle retrovie*.
Non parlatemi di marketing, non è quello il punto.
E’ quel sottile filo che lega un passato di stenti (per tutti i contadini di qualunque zona viticola d’Italia) alla invenzione di una tradizione che malgrado sia inventata, spesso velleitaria e ingannevole riesce a far fissare nella memoria del consumatore e del critico un nome e una storia (sia nel senso prettamente storico sia nell’accezione di racconto) prima che un luogo.
E non venitemi a dire che le tradizioni non si inventano!
Chi volesse puntualizzare le mie asserzioni su questo tema consiglio la lettura di Eric Hobsbawm e il suo “Invenzione della tradizione” e le decine di pagine su questo argomento di Marco Aime.
Così come si inventano i gusti ahimè! 
Così come si inventa cosa è giusto o sbagliato, degno e indegno!
Ma questo è un altro discorso, o forse no?
Senza il mito di Juliette Colbert di Maulévrier al secolo Marchesa Giulia Falletti di Barolo e del Conte Camillo Benso di Cavour cosa sarebbe il Barolo?
Agglutiniamo  senso e narrazioni e costruiamo miti ecco cosa facciamo tutto il giorno per superare la fatica quotidiana del vivere.
E a qualcuno adesso, domani chissà, la bolina diventa un lasco mentre per altri che si trovano sulle mura sbagliate l’arrivo si allontana*.
L’Argal lo fanno a Frossasco (TO) vicino a Pinerolo (TO), esiste persino una Doc Pinerolese sconosciuta al 90% dei Piemontesi e al 99,9% degli Italiani.
Hanno vigneti sui rilievi pedemontani e in alcune aree propriamente montane come i Coutandin ma anch’io ne so poco di questa realtà e prossimamente ci farò un salto per toccare con mano la viticoltura Occitano Valdese.
Sono alla periferia dell’Impero coltivano varietà inflazionate o dimenticate (Barbera e Freisa e Neretto) e le montagne alle loro spalle sono sempre state un rifugio inaccessibile o una via di fuga dall’Italia.
L’Argal dicevo è un blend di Barbera, Freisa e Neretto, non è per nulla un anomalia la fusione funzionale delle prime due cultivar.
Maturazioni carnose, alcol e acidità della Barbera si fondono con le speziature pepato vegetali e i tannini del Freisa un mix che lascerebbe ben sperare nel lungo affinamento.
Si faceva un tempo anche nei vini del Monferrato Casalese (nord Monferrato) da dove, guarda caso, proviene il Ruchè di Massimo Marengo.
Con ciò non voglio dire che sia il miglior vino del Piemonte ma sicuramente un posto al sole lo meriterebbe anche solo per il fatto che costa sugli otto euro in enoteca e in tavola dura poco, a me è piaciuto parecchio.
Vi giro gli appunti così come li avevo presi subito dopo la degustazione.
Spezie e tannini vegetali piccanti.
Barberoso di frutta matura e dolcezza su telaio acido.
Legni bagnati e humus.
Terroso e cupo.
Bonne degustation

Luigi

*perdonate il parallelo velistico ma rende molto bene l’idea che una rotazione anche minima del vento avvantaggii in maniera netta e definitiva alcune imbarcazioni  sancendo la sconfitta delle altre, senza che sia veramente l’abilità dell’equipaggio a determinarne la sorte


Poscritto
Ho una bottiglia del 2001 in cantina che voglio aprire e condividere al più presto, l’ho comprata a Pinerolo da un enotecario che mi diceva che non riusciva a vendere i vini del Pinerolese neanche a Pinerolo.
Così va la vita.



9 commenti:

  1. Il ruchè di Marengo l'ho bevuto domenica scorsa. acquistato in GDO a poco più di € 7. (2010-13,5°). mi pare però di ricordare si chiamasse Edoardo M. attendo tua foto per riscontro etichetta (ahimè io non più documenti, solo un ricordo rotondo)

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    1. Marengo fa due Ruche uno base etichetta bianca e una selezione et nera.
      Io ho assaggiato la selezione e merita.

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  2. Mi sono preso un abbaglio, Luigi. Il ruchè bevuto domenica era di Enrico Morando. Dopo i 50 la memoria fa brutti scherzi. Proverò la selezione da te proposta. Buona giornata

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  3. come disse una volta Angelo Gaja, probabilmente mutuandolo da qualcun'altro, la tradizione è un innovazione ben riuscita. Grazie Luigi per la bella digressione: ora mi toccherà leggere Hobsbawm...

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  4. "Maurizio sosteneva in un suo intervento che i blogger parlano sempre degli stessi produttori, per lo più introvabili nella comune distribuzione e che rappresentano una nicchia"

    "Così come si inventano i gusti ahimè! Così come si inventa cosa è giusto o sbagliato, degno e indegno! Ma questo è un altro discorso, o forse no? Senza il mito di Juliette Colbert di Maulévrier al secolo Marchesa Giulia Falletti di Barolo e del Conte Camillo Benso di Cavour cosa sarebbe il Barolo? Agglutiniamo senso e narrazioni e costruiamo miti ecco cosa facciamo tutto il giorno per superare la fatica quotidiana del vivere."

    Direi che in questo post ti sei superato in quanto a saggezza. Oggi tutti a bere Collecapretta, ieri Calcabrina e domani chissà, non rendendo giustizia ai produttori e trattando il vino alla stessa stregua di come un fashion addict tratta l'ultima collezione di Dolce e Gabbana.
    Lo stesso vale per i gusti, ieri tutti a elogiare la barrique con i suoi toni fumè e vaniglia e oggi va di moda la puzza ;-)
    Senza contare la mitizzazione di questo o quel vignaiolo come se fosse l'unico a saper fare il vino.
    Mentre di vignaioli in gamba e di territori interessanti ce ne sono tanti e molti da scoprire, altri dimenticati (penso alla zona di Carema che paga per non avere produttori naturali o biodinamici).

    Seguirti è sempre un piacere

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    1. Roberto,
      forse ti è sfuggito o Io non mi sono spiegato bene ma ciò che sostengo è abissalmente lontano dalla moda.
      Solo faccio rimarcare che le "tradizioni" sono elementi dinamici e manipolabili anzi la loro invenzione è l'attività preferita di noi umani sempre alla ricerca di paternità.
      E poi come puoi dire che Collecapretta sia solo un prodotto fashion? Il sig Mattioli è contadino e vignaiolo tanto se non più dei produttori di Carema.

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    2. Luigi, ben lungi da me scrivere che tu abbia mai detto che ci sono dei vini di moda. Ma spesso le mode le fanno le persone. Tantomeno ho detto che Mattioli è un modaiolo.
      Quello che sto dicendo è che ci sono prodotti e/o produttori che ad un certo momento (dopo che nessuno se li filava per anni) sbucano fuori perché qualcuno se ne ricorda o li "scopre". Da li in poi (ovviamente se il vino rientra nel trend del momento) sei un pirla se non lo bevi o se non lo conosci o se nnon ti piace. Collecapretta è uno di quei casi, da un certo momento è apparso su internet e tutti a bere il suo vino... ma fino a un mese prima?

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    3. Stai sereno Robi non sei un pirla se non lo bevi, io l'ho bevuto perchè mi fido molto del parere di Jacopo, tutto lì, altri lo conoscevano da tempo (Vittorio e Davide e altri ancora) questa marea è montata sino a diventare visibile e rompere qualche schema, invadere qualche spazio prima a lei negato, tutto lì non ci vedo lo zampino del diavolo e non sento puzza di zolfo (a parte un po' di riduzione;)).

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  5. non so se può consolare o meno... io Marengo lo conosco...non é il mio vicino di casa.. ma ho conosciuto e apprezzato i suoi vini... 4.5euro per una godibilissima barbera, 7euro per il suo ruchè senza compromessi...
    sicuramente le guide tendono a premiare i soliti noti... una piccola fetta al cospetto dei numerosi produttori che abbiamo in Italia.. qualcuno forse non é abbastanza bravo da meritarsi su una guida... ma qualcuno sicuramente meriterebbe maggior attenzione... Ma é così per tutto... pensa solo a quante centinaia di gruppi musicali ci sono in giro, che sfoderano dell'incredibile r'n'r nei più sudici scantinati di periferie o nelle più improbabili feste della salamella... e noi quanti ne conosciamo?? Giusto una trentina, quelli che ritroviamo nelle riviste o che sono distribuiti nei negozi di dischi...
    Il bello del web é anche questo... il piacere di raccontare anche le realtà meno conosciute...siano essi vignaioli o gruppi musicali.
    Io nel mio piccolo non mi pongo limiti... scrivo di tutti... ho avuto la fortuna di incontrare Marengo e scoprire i suoi vini... e ne ho voluto parlare nel mio piccolo blog.
    http://simodivino.blogspot.it/2012/09/ruche-di-castagnole-monferrato-2010.html
    http://simodivino.blogspot.it/2011/10/barbera-dasti-2009-docg-az-agr-massimo.html

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