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giovedì 10 marzo 2011

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Castello di Agazzano sorgente del vino live duemilaundici
La nouvelle vague che avanza.
Non è un paese per vecchi.



Trascinato ad Agazzano dai consigli di giovinastri che ho conosciuto sul web, accompagnato da un Peter Pan del vino con derive new age (Vittorio Rusinà aka Tirebouchon).
Sono andato.
Lasciamo la capitale Sabauda all’alba.
Arriviamo ad un ora indecente, le nove e mezza (aprivano alle dieci).

Francesco Guccione e Vittorio Rusinà akaTirebouchon


Allora mangiamo focaccia con i ciccioli in compagnia degli anziani del paese che organizzano la partita di bocce del pomeriggio.
Dopo di chè entriamo.
Brivido freddo, è la prima volta nella mia vita che accedo gratis ad una fiera.
Accredito stampa.
E per le menate che scrivo qua, e vai!

Cà de Noci

Una immersione totale nel pulsare della folla che non ha tardato a formarsi nelle stanze del castello.
Vini buonissimi, buoni, medi e cattivi.
Il solito panorama di tutte le fiere (è una questione statistica).
Erano però la tensione, l’allegro sciamare, le chiacchere tra produttori, amici, amici di amici di amici, gente che non si era mai vista prima e mai si rincontrerà più, il leit motiv della giornata.

Storchi

C’era condivisione, aleggiava una sensazione sottotraccia di essere in una comunità allegramente antagonista, integrata ma non omologata.
Sono un sognatore affetto da tendenze utopiche.
Sentire  raccontare Francesco Guccione che il tempo passato a  vergare manualmente le etichette e incollarle è il tempo del ripensamento, quello che gli serve per riprendere contatto con l’intervallo, ciò mi ha commosso.
Quasi piangevo nel vedere le etichette pantone di Alberto e Giovanni di Cà de Noci da loro concepite e realizzate.
Utopia nell’aria.
Alessandro Dettori e Fabrizio Iuli

E se non ricordo male ou-tòpos vuol dire senza luogo.
Il contrario di terroir che è radicamento.
Anche Fabrizio Iuli, forse per effetto dei troppi assaggi di cannonau di Alessandro Dettori, ripeteva come un mantra: “il terroir è il vigneron” (lo sapete che i piemontesi hanno spesso derive francofone).
Forse ha ragione.
I vini di Francesco Guccione e di ‘A Vita sono più francesi che siciliani e calabresi.


Laura e Francesco De Franco di 'A Vita

Quelli di Cà de Noci sono ricerche filologiche di memorie agro-organolettiche.
Quelli di Fabrizio Iuli si sdoppiano fra l’ostinata valorizzazione della barbera, il recupero del nebbiolo ormai scomparso dal suo territorio, il tutto condito da una fascinazione francofila (Pinot Noir).
Quelli di Nino Barraco sono destinati a reinventare un “vino di Marsala” (se mai è esistito).
Quelli di Sara Carbone inseguono il mito dell’Aglianico di Columella.
Quelli di Alessandro Dettori sono i vini pre-fenici.
Quelli di Guido Zampaglione come
Quelli di Marco  Sferlazzo sono una astrazione cerebrale.
Quelli di Casa Caterina una estremizzazione cultural-artigiana del concetto di evoluzione.

Aurelio Delbono Casa Caterina

Lavorano tutti per raggiungere un non-luogo che è, sì giustificato dalla storia e dalla tradizione, ma la storia e la tradizione sono pretesti per ribellarsi al presente.
Sono in viaggio verso l’isola di Utopia perché di questo mondo non si sentono figli.
E utopia è anche eu-topòs ossia regno perfetto della felicità.
Non sono degli sprovveduti, dei sognatori forse sì, la direzione non la conoscono, ma per strada sono in tanti e tanti a sostenerli.
“La verità non è un dato di fatto o un concetto astratto, è un cammino, un compito, un avventura.” Hegel
Bonne degustation

Luigi






2 commenti:

  1. Parole bellissime, il nuovo '68 vinicolo.
    Mi spiace non esser venuto.

    Gabry

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  2. Gran bel post Luigi.
    Grazie per questo bel racconto ricco di passione.

    Ciao, Filippo

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