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lunedì 7 marzo 2011

parigi16arrondissementpalaisdetokyoeatsavenniéres2007

Parigi, 16° arrondissement, Palais de Tokyo.
E anche un po’ di 7° arrondissement, la tour Eiffel, il museo del Quai Branly.


Tanto stanno uno di fronte all’altro con in mezzo la Senna.
Come la città digerisce una scenografia.
E ne fà emblema.
Il Trocadero per l’esattezza il Palais de Chaillot, i suoi giardini, l’attuale Palais de Tokyo, la tour Eiffel e altri padiglioni qua e là erano effimere scenografie per le esposizioni universali dei primi novecento.

tokyo eat

E’ come se si sentisse il vacuo pompare della retorica nazionalista e l’assurdo sperpero di spazi e risorse.
E’ un luogo così non-luogo da diventare significante, è così brutto che trascende la stessa categoria e si erge al di sopra di ogni possibile considerazione estetica.
Esiste e basta.
E la gente, io stesso, ci và attratta dal fascino dell’orrido e del fasullo.
Amplificato dalle bandierine dei chioschi, dai venditori di reliquie-souvenir, dalla musica cacofonica e incessante.
Timidamente, come simbionte il museo del Quai Branly, camuffando la facciata di vegetali ha cercato un possibile inserimento in un contesto difficile.

curry de poulet fermier aux fruits en feuille de bananier, riz au épices

Al Palais de Tokyo progettisti e direttore museale hanno tentato, non capisco con che successo, di creare un museo di arte contemporanea, militante, vivente e produttivo.
Il Palais de Tokyo è brutto quanto il Trocadero.
 Sono intrisi di quell’estetica anni venti che ricorda Piacentini e Speer e faccio fatica a separala dai fascismi e i suoi disastri.
All’interno il Palais de Tokyo sembra un cantiere abbandonato poco prima della fine lavori (e per questo je l’adore).
I  progettisti, due bordolesi duri e puri e brutalisti, hanno portato alle estreme conseguenze la loro visione dell’architettura.

tortino vanille mascarpone

Io ci ho trascinato moglie e figlia a mangiare al “Tokyo eat” perché chissà quando, dove e come avevo letto che il ristò era degno di tal nome, malgrado la sua posizione in zona turistico venatoria.
Ambiente con spazi imponenti e hard, bei tavoli, bella gente, grande luminosità, cucina in vista come ad un self service ma non c’è nulla di precotto, camerieri veloci ed informali.
Iniziava la settimana della moda che coinvolge anche il Palais de Tokyo per cui si aggiravano creativi e stangone anoressiche niente male.
In sala caracollava qualche turista un po’ sconcertato che forse cercava solo scampo dal gelido vento atlantico che batte senza sosta i quai.
Mangiato benissimo un menù con derive orientaleggianti-creative, ma come fargliene una colpa, nomen omen, il tutto in un ambiente consono ai miei deliri architettonici.
Dolci memorabili e mise en place molto artistica.


Ottimo anche il caffè.
Vini ahimè lontanissimi dalla sufficienza.
Conto sui 20,00 euro senza vini.
Per cui vi e mi dedico un vino che ho poi bevuto la sera a casa, nel mezzo della festa di primavera cinese.
Il cambio di continente ogni sera al rientro mi tramortiva un po’.
Lo sapete sono provinciale.
Savenniéres 2007 Clos des Perrières 12,5%vol, di Chateau Soucherie a Beaulieu-sur-Layon.
Questi vini della Loira mi stupiscono ogni volta, sono al nord, al limite della sopravvivenza della vite.
Malgrado ciò lo Chenin ci spiega con forza cosa può dare un vitigno autoctono ben ambientato nel suo pedoclima.
Giallo paglierino intenso, vivace.

Profumi molto intensi di limone con mentuccia e anice quasi balsamico, una profonda mineralità con echi idrocarburici e fruttati.
Vino potente a dispetto dei gradi alcol, rotondo, saporito, fruttoso, acido, salino, lunghissimo e appagante.
Ottimo, sicuramente giovanissimo.
Aridità dalla cantina:
parcella di 1,8 ha, viticoltura a basso impatto ambientale, su suoli misti sabbiosi, pietre vulcaniche, scisti e graniti.
Vinificazioni e affinamento in legno per 9 mesi e poi 4 mesi di cuve (d’acciaio, I suppose) sulle fecce fini.
Comprato all’enoteca Bacchus et Ariane a 16,00 euro il caviste è disponibile e gentile.
Ne ho portato una bottiglia a casa avvolgendola nei pannolini di mia figlia e pregando Bacco/Dioniso che non si rompesse macchiando le Louboutin di mia moglie.
Gli dei mi hanno ascoltato.
Vi consiglio di passare pres de la tour Eiffel la sera dopo il tramonto, a ogni scadere dell’ora, per cinque minuti si accende una spettacolare illuminazione Swaroski (qualche anno fa era sempre in funzione, poi per contenere i consumi…) vale il viaggio a Parì.
Ah non fate gli snob, salite sulla tour Eiffel da sopra vedrete il bois de Boulogne che si insinua nella città, i tetti di zinco che rilucono al sole, le Tuilerie, i tetti in vetro del Grand Palais e sentirete il rumore infernale e pulsante di una metropoli.

Bonne degustation

Luigi

Grand palais, ca va sans dire

venerdì 4 marzo 2011

parigistgermaindespresmaraisborgognachardonnaymacon

Parigi, Marais, 3° arrondissement.
Echi nelle orecchie della canzone dei Negresses Verte “l’homme des Marais” anche se il testo non c’entra nulla con il quartiere ma tant’è che giustificato dalla mia ignoranza continuo a canticchiarla.


Quartiere di immigrazione ora in mano ai Cinesi che l’hanno trasformato in una dependance di Shangai.
Cuisine Familiale e prodotti alimentari cinesi a gò gò.
Verdure mai viste, pack choi, noodle, riso profumato, zuppe, tofu, ravioli, panini, anatre, piedi di gallina, musetti di maiale.
Un paradiso per mè che al secondo pranzo a base di Parmentier de Boeuf e maigret de canard ero in lista dal gastoenterologo.

Forse oggi le città non sono ciò che erano ma ciò che saranno.
Una sempre minor inerzia le preserva dal cambiamento e allo stesso tempo le rende vere.
E’ più Parigi la Rue du Maire con i suoi risto cinesi e negozi all’ingrosso di maroquinerie e bijoux che la triste esplanade dei Champs Elysèe saccheggiata da negozi dozzinali, da turisti dall’occhio bulimico e annoiato e da baristi rapaci e criminosi.
Vive la France.
Viva l’immigrato che inietta vita nei corpi morenti delle capitali europee e rivitalizza e prosegue i tradizionali commerci della città.
Mangiando verdurine al vapore, marinate, spaghetti sautée e ravioli fritti abbiamo bevuto:
Pierrette et Marc Guillemot-Michel Macon-Villages AOC 2008, 13%vol, Borgogna.
Vino prodotto con uve certificate biodinamiche.
Vino prodotto in una Borgogna figlia di un bacco minore anche se pedoclimaticamente identica a quella nobile.
Un altro esegeta duro e puro della biodinamica che in più abbandona le tradizionali tecniche di cantina.
Colore giallo paglierino carico e vivace.
Mineralità imponente e dirompente e sapidità e acidità che se la giocano con echi di frutta matura e leggera vaniglia e il sempre presente sentore di truffe blanche.
In bocca esprime una forza sgrassante e due parallele sensazioni di moderata grassezza e secchezza sapido-acida, un ossimoro liquido.


Ottimo.
Lunghissimo.
Servitelo a t° non troppo bassa.
Freschissimo, tagliente, pura espressione dello chardonnay nel suo terroir perfetto senza artifici di vinificazione.
Vino terroir e vino vignoble.
Vinificazione in bianco in cuvée di cemento/acciaio nessun legno.


Strano per la Borgogna inscidibilmente legata alle piéce e ai bianchi con derive morbide.
Costo intorno ai 20,00 alla Derniére Goutte a St Germain des Pres, bella enoteca di quartiere dalla quale uscirete contenti e mai rapinati.
Non cercate potenza nei vini di Borgogna ma finezza, esile verticalità, penetrazione inarrestabile ma gentile: vini in levare come dice un mio caro amico.
Ah dimenticavo, i francesi hanno il culto del terroir ma anche del vigneron che dal terroir è inscindibile.
Bonne degustation

Luigi


lunedì 28 febbraio 2011

collinedellastellafranciacortasanondosatoandreaarici

Come già detto nel post sul Vidur, sono stato censurato dal Millebolleblog, il tema trattato era la Franciacorta.
Un bel articolo di Giovanni Arcari.



Dagli innumerevoli commenti giunti ho estratto tre o quattro nomi di piccoli vignaioli franciacortini e
superata la delusione per l’esclusione dal dibattito ho cominciato a cercarne i vini.
I primi sono stati i fratelli Faccoli.
Il secondo Andrea Arici az. agr. Colline della Stella.
Introvabile a Torino al pari di Casa Caterina, il Pendio, Camossi.
Contatto direttamente il produttore che mi mette in contatto con Giovanni Arcari.
Acc…
Io avevo scritto un bel po’ di fregnacce nei commenti del suo post
Infatti sempre a mezzo tastiera finisce a schifio di nuovo.
Secondo me si ricordava del sottoscritto e ha voluto farmela pagare.
Non gli do torto.
Forse avrei fatto lo stesso.


Poi ci siamo chiariti.
Però il vino me lo sono fatto procurare da un pusher Bresciano che fa l’avvocato sopra di mè.
Giovanni Arcari con Nico Danesi ed altri hanno fondato una società di consulenze per piccoli/medi vignaioli bravi ma poco riconosciuti dal mercato e con loro hanno condiviso un progetto; comunque leggetevelo voi su TerraUomoCielo.
Giovanni Arcari segue Enrico Togni il mio amico di penna e anche Camossi.
Pochi giorni fa arriva il vino, mi incateno per non stapparlo in ingresso.
Cantina il minimo necessario poi frigo, dicono in etichetta 6/8 °C.
Cascina della Stella, Andrea Arici Franciacorta docg non dosato s.a. 12,5 % vol.


Spuma abbondante e fine.
Perlage fitto, colore paglierino vivo.
Un po’ di lieviti freschi, profumi fruttati/agrumati, ammandorlato che mai diventa amaritudine.
Profumi accattivanti, profondi e freschi ma con echi cremosi da chardò del nord.
Mi aspettavo un non dosato tagliente e verticale invece è bilanciato, rotondo il giusto, sapido il giusto, acido il giusto, minerale il giusto, pétillante il giusto, persino, a suo modo, rotondo.
Buono e bevibile.
Pronto ma che può riservare delle sorprese più avanti.
Se siete in tre mettete due bottiglie in frigo, minimo.
Aveva ragione Enrico (Togni).
Io ho esordito con pizzette e poi una trota affumicata, eccellente.
Il giorno dopo, ebbene sì ne ho bevuti due, un pezzetto di Gouda caprino e poi una pizza scarola e bufala, forse una lesa maestà.

vigneti della Colline della Stella foto G.Arcari
A dirla tutta abbiamo anche bevuto il Millesimato 2006 ottimo anche lui forse un po’ più rotondo e più elegante, oramai ero in confusione.
Quindi se non conto male ne ho bevute tre.
Non dosato, dicono i suoi esegeti vuol dire vino-territorio, sostengono che esca allo scoperto e senza trucchi la potenzialità del vitigno, del vigneto, del pedoclima e comunque, a mio avviso, anche quelle dello chef caviste.
Se lo trovate in enoteca non fatevelo scappare.
Aridità dalla cantina:
Andrea Arici coltiva i suoi dieci ettari di vigneto a Gussago (BS), al confine sud est dell’area della docg franciacorta, i vigneti sono su pendenze rilevanti e sono terrazzati, densità di 6.500 ceppi/ha a conduzione il più possibile naturale.
I vini bevuti sono dei Blanc de Blanc, 100% Chardonnay vinificato in bianco in cuvée d’acciaio, rimangono sulle fecce per sei mesi (malolattica no perventua) e poi fanno una presa di spuma di 18/22 mesi, zuccheri riduttori massimo 1,5 g/l.
Bonne degustation


Luigi

mercoledì 23 febbraio 2011

barberadalbacascinafrancia07giacomoconternoserralunga

Come ho detto per il Vidur di Enrico Togni e il Marguitto di Martina il lancio twitterico dell’evento #barbera2 mi ha fatto venir voglia di assaggiarne qualcuna.



Volevo parlarvi di quella di Ferdinando Principiano la Romualda 2006 ma mi ha così sorpreso e affascinato che sono stato colto dalla sindrome di Stendhal per cui ci ho rinunciato.
Il lavoro, le settimane passate mi ha un po’ tritato e per scaricare la tensione la mia dolcissima ½ ha organizzato una cena a restaurant.


Alla Casa del Barolo (via Perugia 26/a), posto molto cool e molto New Yorkese con ragazzi simpatici, solerti e un cuoco tanto bravo quanto fine umorista.
La sera sono quasi sempre chiusi, telefonate prima.
Il posto in cui è ubicato poi, ricorda Tribeca o il Meat packing a New York una banlieu proche zeppa di relitti industriali.
Fico! non sembra neanche Torino.
E per un torinese ossessionato dal provincialismo è un bonus.
Il cibo era ottimo: tartare di fassone carciofi e grana, ravioli di carciofi con burrata, stinco di maialino con cavolo rosso e patate, bavarese all’arancio con scaglie di cioccolato, ma la cosa veramente cool era scegliere il vino tra gli scaffali dell’enoteca.
Mi trascinavo abbacinato tra i Baroli, i Barbaresco, i Chianti, i Montepulciano, i Super tuscans, le Barbere.
Barbere!
Uno sguardo e vedo la Barbera d’Alba Cascina Francia  di G.Conterno e non resisto.
Scelto.
O lei ha scelto me.
Anche lei rispetto ai fratelli Baroli è figlia di un bacco minore.


Sarà che non ho quarti di nobiltà ma io amo i minori.
Per la prima volta al mio desco una bottiglia targata Giacomo Conterno.
Un’emozione anche solo visiva.
Per il mio portafoglio comunque un bel sollievo che non fosse un Barolo di uguali natali.
Leggo che nasce da un vigneto a Serralunga d’Alba di 10 anni d’età.
Sarà precoce però perché non pareva avere difetti di gioventù.
Non fosse per una certa muscolarità e baldanza.
Nebbioleggiava come amano dire i langaroli o i loro esegeti.
Barbera d’Alba DOC Cascina Francia 2007 di G. Conterno.
Colore vivissimo  impenetrabile.
Naso di china, minerale con profumi di ciliegia e timo e menta imponente.
Concentratissima.
Balsamica.
A dire il vero non me la aspettavo così terrigna e orizzontale.
Corpo solido ma scattante di grafite e terra.
Calda e saporita.
Gran puledro di razza con muscoli e scatti nervosi.
Bonne degustation


Luigi