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venerdì 13 settembre 2013

DIAL 'M' FOR MONTEPULCIANO (MARCHE GALORE)

Yo ✌
Nel 1989 un simpatico gruppo noise/punk/garage/blues di Washington chiamato Pussy Galore (che cercavo un modo carino per tradurlo e Wikipedia mi ha messo su un piatto d'argento un prosaico "F**a ¹ a volontà") pubblicò il suo secondo album intitolandolo "Dial 'M' For Motherfucker ²". Quello che graffiava (letteralmente) e picchiava sulla chitarra fino ad ottenerne una roba abrasiva tipo spugnetta-di-ferro-contro-una-lavagna e cantava in un Aaaarrghhh primordiale e gutturale era il leader, Mr. Jon Spencer. La ricetta del gruppo era, ve la metto breve, tornare alla visceralità primigenia del blues e scarnificarla ancora di più, aggiungere un paio di etti di punk e di industrial e una spolverata di rap, registrare ad cazzium³ e sfornare live a fuoco mooolto alto.
Ah, e tanto sesso e droga.
Poi Jon Spencer è cresciuto, ha messo su altre band, a volte ripulendo il suono, raffinandolo, rendendolo più po[p]tabile, ha provato altre cose per curiosità o, forse, per piacere di più ai di più. Forse voleva guadagnare qualche soldo, non c'è niente di male. Ma nonostante tutti gli annacquamenti possibili, anche negli ensemble più improbabili, pure nelle ruffianate glamour, nelle press release dove era tutto ripulito e infiocchettato e Armanizzato e Pradizzato, pure in periodi di album così così, se Mr. Spencer viene sbattuto su quella macchina della verità che è un palco, rimane e rimarrà sempre un rock'n'roll animal che ha sentito l'urlo della bestia/blues e non se l'è levato più dalla testa. 

Ecco. Mettiamo che il Montepulciano sia uno spartito, uno dei più grandi spartiti nell'orbe terraqueo  , un concept album cosmogonico più che un singolo mordi-e-fuggi, un concept che sfiora solo la psicadelia e viaggia dritto verso il prewar folk. E mettiamo che, come sempre accade, questo spartito/vino possa essere suonato e interpretato in anta modi diversi. Puoi imbastardirlo, puoi ingentilirlo, puoi remixarlo, puoi sgrezzarlo o ingrezzarlo ancora di più, puoi solcare i mari tranquilli della tradizione o avventurarti in interpretazioni tutte tue e metterlo in una luce diversa. Puoi quasi riscriverlo. 
Puoi farci un sacco di cose. Puoi anche (cercare di) raffinarlo e mettergli la giacca della domenica. Ma resta il fatto che il Montepulciano è un fottimamma che colpisce duro e poi ti accarezza, ti fa piangere e poi ridere. E' una sventagliata di emozioni, un gigante affetto da disturbo bipolare che prima ti prende a schiaffi e poi ti abbraccia 5. E' un'uva tanta, tanta ancora di più se curata in un certo modo.
E nelle Marche in tanti la curano e bene, le Marche che spaccano di brutto brutto brutto (Marche, ti lovvo ♥), con quel grande gruppo indie che è I Piceni Invisibili e con tanti altri più o meno visibili. Marche che producono robe simili a quelle che sto per descrivervi anche nell'annata del Signore 2002 (una specie di stagione dei monsoni durata 6 mesi).


Il Nero Di Vite (che è si Montepulciano ma con aggiunte variabili di Sangiovese, che è un fratellino minore e, immagino, lo si aggiunga per annacquarlo e/o dargli acidità) de Le Caniette è un vino con cui ho fatto a testate per anni. Mi metteva sempre di buonumore una consistenza come poche incontrate (un'analisi sull'estratto secco darebbe risultati inquietantemente alti). Leggevo 15° ed ero felice. Me ne parlavano bene in tanti. E naturalmente c'era il frutto Montepulciano. Epperò spesso, troppo spesso, a questo equipaggiamento deluxe si univa un equilibrio tutto da trovare, una tannicità esasperata e un frutto passato al Lato Oscuro. Mi dicev[o]evano che magari bisognava aspettare, berlo con qualche anno sulle spalle. Alla teoria del bisogna-aspettare-perché-ora-non-è-pronto ho sempre mentalmente risposto Sarà mai pronto? Cioè, una cosa nata male diventa bene o un po' meno male? Ma siamo qui per dubitare di tutto. Beviamo, raccogliamo dati e riformuliamo teorie pronte ad essere smantellate alla prossima bevuta. E' questa la struttura delle rivoluzioni eno-scientifiche. E il Nero Di Vite 2002 qualche dubbio l'ha messo. Perché all'uscita era un vedi sopra: massiccio e sgraziato. E adesso è massiccio e aggraziato (abbastanza aggraziato). Non una ballerina classica, non può esserlo strutturalmente. Ma dopo tutti i pesi e i bilancieri, si è messo a fare allungamenti e stretching, ha acquistato in agilità. C'è stato una strana unione di forze dentro la bottiglia che ha portato il frutto (un frutto ancora integro, appena decadente) ad allungarsi con l'acidità, il tannino ad integrarsi meglio con la dolcezza. Con ancora tutta la consistenza a pieno regime. Non siamo dalle parti di una beva magistrale, ma di un vino che impegna ma ripaga. Ora i Nero Di Vite 2002 suonano insieme dopo anni di prove. Non saranno leggenda ma un gruppo onesto, sincero, viscerale da ascoltare quando hai voglia di quella roba là. 87/100.



L'enigma di Esther Hauser. Una signora svizzera che (evidentemente) si è persa per ritrovarsi a Staffolo nel '93 con un ettaro di vigna e ha iniziato a fare vini rossi spiantando i bianchi nel cuore del Verdicchio Classico e che parevano proprio veri in epoca di pochi vini veri e addirittura con un vero enologo che era Giancarlo Soverchia per poi cambiarlo con un altro enologo, Aroldo Belelli, e rischiarando l'enigma tirando fuori Il Cupo e passando sotto l'altalenante radar della critica dalla metà degli anni '90 per poi sparire o, perlomeno, diradarsi e poi riapparire sotto i cieli della Slow Wine. 
2600 bottiglie di questo Montepulciano, 8 mesi in barrique usate (e il legno è una componente davvero secondaria in questo vino), un anno di bottiglia. Un vino ciccio ma non ciccione, artigianale nella percezione ma con 0 eventuali difetti, che all'uscita porta sempre un frutto croccante e un sottofondo animale, una beva vigorosa e dolce ma con 0 mollezze, un equilibrio che sorprende con parametri simili. Ma mancava la prova del 9 o, diciamo, la curiosità di vederlo in evoluzione. Ecco la 2002, 13 anni sul groppone. Butti in bocca, lo fai girare, lo mandi giù. Ancora. E ancora. Una sensazione quasi polverosa al tatto, una seta che scorre cruda rilasciando frutti maturi e humus e spezie dosate col bilancino. La decadenza ancora alle porte, la maturità al suo fulgore, ovvero equilibrio e mostrarsi agli altri per quello che si è, naturalmente. Le sinapsi si uniscono e ritorni ai grandi Montepulciano della vita sino quasi a sfiorare Valentini. Che Il Cupo guarda ancora dal basso. Ma non così in basso. Perché Il Cupo's got the blues: 92/100.



¹ Si, al posto dei ** ci sono una i e una g.
² Letteralmente Fottimamma e questo fa capire come gli insulti prendano vie strane nei vari idiomi.
³ Cioè, in quella che poi verrà chiamata Estetica Low-Fi tipo registrazioni in cucina con un mangianastri e una chitarra scordata oppure in un mega studio in cui sofisticati software comprimono ed espandono, sporcano e puliscono i suoni sino ad ottenere un raffinato effetto registrato-in-cucina-con-un-mangianastri.
⁴ E' oramai evidente, prima di tutto a me stesso, come l'uva Montepulciano sia statisticamente My Cup Of Tea, qualcosa che mi mette tutto un galore addosso e mi sfrizzola il velupendolo; insomma, se rileggo il diario di tutto ciò che ho bevuto negli ultimi anni, proprio accanto alla cartella clinica con l'anamnesi del mio fegato e una non-proprio-rassicurante ☹ scritta a mano del medico, vedo un sacco di Montepulciani pieni di ☺☺☺☺☺☺☺☺, ma proprio un sacco.
5 Avete presente Cannavacciuolo in Cucine Da Incubo e i suoi incazzosi raid e le famose amichevoli pacche sulle spalle con in regalo una sublussazione?

13 commenti:

  1. Complimenti, un preambolo veramente caxxuto!
    sul Nero di Vite concordo in pieno, mentre non conosco l'altro!

    Grazie
    andrea

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  2. Grande Eugenio...fategli scrivere un libro...girare un film...o l'opinionista in TV...o anche solo le previsioni del tempo...

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  3. Il Montepulciano e' Jeffrey Lee Pierce: geniale,anarcoide,incontrollabile.
    Un "Fuoco d'amore".

    p.s. ma perche' nel Conero nonostante il premio della docg non riescono a fare i vini che fanno i Piceni(piu' o meno visibili)?

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    1. Dio, che mi fai ricordare... Stasera ascolto forzato di tutti i Gun Club e di quel capolavoro che è "Ramblin' Jeffrey Lee & Cypress Grove..." dentro una jacuzzi di Montepulciano.

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    2. E lasciamelo dire.Jack White dovrebbe rendergli grazia ogni mattina.
      Figurati che quel disco che citi tu ricordo benissimo quando usci' ma non l'ho mai ascoltato.
      Vado subito dietro la lavagna!
      Buon bagno.

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    3. Mai sentito parlare di "I knew Jeffrey Lee"?

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    4. Nope, così l'ho googlato e vedo i Circo Fantasma con una paccata di ospiti me lo vado ad ascoltare. Grazie per la dritta.

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    5. Se poi dovessero piacerti alla follia (ma solo in quel caso) potrei anche rivelarti un piccolo segreto ;-)

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    6. Nel Conero riescono a stare sui livelli dei Piceni...anche in fatto d'invisibilità.
      Certo le condizioni pedoclimatiche diverse tra i due areali possono incidere, ma sono sfumature.
      La stessa Esther Hauser in fondo opera a Staffolo, in terra di Verdicchio, prossima più al Conero che al Piceno.

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    7. Per quanto riguarda Nero di Vite, la presenza di Sangiovese ritengo sia imposta dal disciplinare di produzione del Rosso Piceno.
      Mi è piaciuta assai la '05.
      Del Cupo di Esther Hauser c'ho qualche appunto fatto a suo tempo (anno 2010) della '07: "Vino affascinante, dal color rosso granato scuro, concentrato e impenetrabile.
      Di grande intensità e complessità olfattiva, giocata su note di liquirizia, ciliegia sotto spirito, fiori appassiti e anche una leggera sfumatura di goudron: un bouquet variegato, ampio e tipico.
      Al gusto si percepiscono sensazioni di frutta nera in confettura e cuoio, sostenute da bella acidità.
      Un vino già da ora in grado di dare soddisfazioni papillari e di evolvere ancor più positivamente in futuro".

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  4. Grazie del passaggio al bar, Rinaldo.
    Sulla "invisibilità" di certe zone ci sarebbe da fare un trattato/pamphlet (il mio territorio ad esempio, la Romagna, è un campione di trasparenza o, peggio, di fraintendimenti qualitativi). Di sicuro le condizioni pedoclimatiche contano fino ad un certo punto, il Conero ha tutto per essere un campione di qualità. Si ha l'impressione a volte che manchi un elemento trainante, quello che è stato/è Casolanetti per i piceni.
    Mi innamorai de Il Cupo con l'annata 1996 e fino alla 2002 ne trovavo e ne bevevo ed erano grandi bottiglie. Poi è uscito dalle mie traiettorie fino allo scorso inverno e in un giro nelle Marche ne ho comprato le ultime annate e le ho aperte in batteria e avevo timore di restare deluso, sai, io sono cambiato e magari lui era cambiato. Invece no. E' come lo descrivi tu. Ho ritrovato un amico.

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    1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    2. E' proprio vero che si potrebbe scrivere un trattato sui temi dell'invisibilità.
      Tant'è che potrebbe teorizzarsene anche una declinazione positiva.
      Hai visto mai che questi cosiddetti "invisibili" lo siano di proposito?
      Avendo colto il trend odierno, orientato verso il capovolgimento del rapporto tra domanda ed offerta, indotto anche dai nuovi strumenti di comunicazione e per questo motivo destinato ad incrementarsi ulteriormente in futuro.
      Laddove non è più l'offerta che attiva le dinamiche di mercato, ma è la domanda stessa che va a cercarsi la sua offerta ideale.
      In ogni modo questo dell'invisibilità è un discorso di carattere generale.
      Oggettivamente vi sono aziende della zona del Conero (quelle più grandi: Garofoli, Umani Ronchi, Moroder, Le Terrazze..), che non lo sono affatto o forse lo sono più in Italia che all'estero.

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