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martedì 21 ottobre 2014

Régnié 2010, Roland Pignard


Mai dire Gamay!
E’ un vino, come tutti quelli in macerazione semi-carbonica, antropico in cui la tecnica di produzione è indissolubilmente legata al risultato che si vuole ottenere.
E questo è un bene o un male?
Mah!
Forse è solo l’esempio più chiarificante del fatto che il vino è tecnica.
E di questa tecnica Marcel Lapierre con Jules Chauvet e Jacques Néauport sono stati i teorizzatori e i realizzatori più accaniti*.
Negli anni settanta hanno sviluppato e perfezionato la macerazione semi-carbonica e la produzione di vini a zero solfiti aggiunti, traghettando questa tecnica (con parecchie modifiche ai protocolli standard) dai prodotti di consumo banale ai vini di pregio anche da invecchiamento**.
Nel Beaujolais e nelle Ardeche (ma un po’ in tutta la Francia) ci sono produttori che producono tutti i loro vini, rossi e bianchi con macerazione carbonica (sui solfiti qualcuno ha fatto dei passi indietro), è quasi un credo, una religione enologica laica.
La domanda standard (spesso di chi usa badilate di enzimi, tannini liquidi, rotomaceratori, termovinificazione, lieviti secchi, gomma arabica, bentonite, filtri a diatomee, pvpp,  etc etc) è quella sul fatto, abbastanza incontrovertibile, che è una tecnica un po’ omologante.
Un po’ omologante.
Un po’ come ogni tecnica che modifica e altera per raggiungere un obiettivo e il vino, lo sappiamo tutti, non è l’unico stato di quiete che può raggiungere un mosto, anzi è quello più innaturale che ci sia in natura.
Spesso mi capita di assaggiare batterie di vini di uno stesso produttore che hanno un “aria di famiglia”, non è dunque anche questa una omologazione?
Il terroir come ne esce?
Esce dalla bottiglia il terroir che interessa al vigneron e non un generico, oggettivo quanto misterioso e imprendibile “terroir del luogo”.
E il vigneron compie una traduzione a mezzo delle sue tecniche e della sua sensibilità del flebile e inintelligibile racconto che esce dalla terra.
(Mi accorgo che questo discorso apre la via all’accettazione di tutte le tecniche, comprese quelle a me più invise, con la scusa di operare una maieutica enologica)
In verità mentre bevevo a garganella questo Regniè non pensavo a tutte queste implicazioni cervellotiche, perché il vino speziato e pungente e floreale, correva veloce nel gargarozzo.
Il suo colore pallido e i profumi intensi e il corpo agile e fresco annullavano ogni pensiero.
Bonne degù
cucù
Kempè

Luigi


*in realtà la loro macerazione carbonica era decisamente “naturale” rispetto a quella standard che utilizzava e utilizza termovinificazione, inoculi, enzimi, chaptalisation, etc

**interessante il capitolo “I santi” a pg93 e sgg in “Vino (al) naturale” di Alice Feiring, Slow Food editore

1 commento:

  1. Amo le macerazioni carboniche del Beaujolais, per me conferiscono bevibilità e slancio.
    Io voto sì.

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