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lunedì 25 febbraio 2013

Filtrazioni: esperimenti. di N. Desenzani



L’idea di confrontare lo stesso identico vino nella versione filtrata e non, nasce nei commenti a questo post di Giovanni Stefano Menti. Argomento ripreso qui e qui.
Il fatto che chi degusta si preoccupi del processo di produzione di quello che sta bevendo stranamente viene malvisto da molti. L’imparzialità viene impugnata come fosse la via per l’obiettività e si afferma che il degustatore dovrebbe solo assaggiare bendato, possibilmente dopo che gli sia stato svuotato il cervello con una terapia Scientology, tolte le pulsioni sessuali, desensibilizzato agli effetti dell’alcool, tolta la memoria, lasciato solo un enorme dizionario di descrittori nella sua mente e la iperumana capacità di collegarli a ciascuno dei miliardi di cellule sensibili della lingua e di tutto il cavo orofaringeo.
Quindi possibilmente dovrebbe essere messo in ambiente asettico a temperatura controllata, in silenzio. Solo allora potrà usare sé stesso come strumento di misura assolutamente e rigorosamente scientifico.
Che non gli venga in mente mai di interrogarsi sul perché il vino è così e non cosà: si limiti, il buon degustatore, a esprimere la giusta combinazione di parole descrittori e infine proferisca il suo inoppugnabile giudizio di PIACEVOLEZZA.

Ecco, se questo è il vostro concetto di scientificità, credo di essere uno dei degustatori più antiscientifici che ci sono in circolazione. Dirò di più, collegare le sensazioni di un vino al processo di produzione è mia primaria prerogativa. E vi dirò che non è compito facile. Il metodo è meramente abduttivo e al limite induttivo, difficilmente sarà deduttivo, se non dopo decine e decine di anni di allenamento e migliaia di bottiglie.
Ma non me ne preoccupo.
Quindi in generale tutte le opportunità di assaggio differenziale, dove a pari condizioni si fanno variare poche cose mi hanno sempre incuriosito. Se poi ci mettete che io sono un amante del torbido, ecco che non potevo mancare di diventare protagonista di questo piccolo esperimento.
Ho ricevuto pochi giorni prima di Natale il mio ordine da Giovanni Stefano:

3 Paiele 2011, imbottigliati a fine novembre, di cui 1 aveva subito una chiarifica con bentonite e una filtrazione e infine una solfitazione appena prima di imbottigliare con tappo a vite. Le altre due invece sono state imbottigliate scegliendo dalla parte alta della vasca dove il vino sostava da svariati mesi in affinamento, con solo la solfitazione.

3 Riva Arsiglia 2011, come i precedenti, ma nessuno dei tre campioni è stato chiarificato.

Il mio esperimentino inizia quasi subito col Paiele (i Riva Arsiglia non li ho ancora aperti).
Ho coperto le due bottiglie e ho degustato in bicchieri identici non bombati. E facendo in modo di non studiarne il colore e la trasparenza (posso dire che le due bottiglie erano distinguibili in trasparenza, essendo il vetro bianco, ma il vino non filtrato si presentava tutt’altro che torbido. Giusto appena velato).
Il primo assaggio ho distinto correttamente i due vini, ma negli assaggi successivi della prima sessione, ho invece commesso degli sbagli. Da cui ho dedotto che i due vini, da poco separati dalla stessa massa, non presentavano differenze molto rilevabili.
Tuttavia, una volta prese le misure, a partire dal secondo giorno fino a oltre un mese dopo, sono stato sempre in grado di riconoscere i due vini, senza mai sbagliare.
Ho identificato nel primo periodo, circa 10-15 giorni, una maggiore acquosità nel campione più trattato, e in questo periodo una vinosità più marcata dal punto di vista della percezione dell’acidità, mentre il campione non filtrato manteneva maggiore morbidezza e un sapore appena più delicato, ma per nulla acquoso.

A distanza di 20 giorni e oltre, entrambi i vini mantengono bevibilità, ma il campione più trattato, tiene salvo qualche primario al naso e si svuota vieppiù in bocca, mentre il campione non trattato tende verso gli idrocarburi, ma in bocca tiene, pur accentuando la vena acidula.
Ci tengo a precisare che sono quasi certo che in una cieca non avrei saputo affermare né che uno dei due fosse filtrato e chiarificato né il viceversa.
Posso affermare con altrettanta quasi certezza che a partire dal 10 giorno avrei sempre espresso una preferenza per quello non filtrato.
Credo che le strade dei due vini tenderanno a divergere col passar del tempo, ma i vini manterranno struttura simile.
Credo anche che le condizioni al contorno di questo esperimento siano fondamentali quasi al pari della scelta di filtrare o no. Infatti il livello della vasca a cui viene prelevato il campione, il numero di travasi e di solfitazioni penso possano dare campioni molto diversi fra loro. Inoltre il fattore tempo inciderà parecchio.
Aspetto un po’ per affrontare il Riva Arsiglia, per il quale cercherò forse di impostare meglio le condizioni del mio esperimento, magari condividendolo con altre persone ignare.

2 commenti:

  1. Non ho fatto esperimenti con i vini di Stefano (figlio di Giovanni) ma bevendoli da un paio d'anni con continuità, noto un'evoluzione costante che non modifica il giudizio complessivo ma ti fa apprezzare il movimento di un vino "vivo".
    Penso che questo incida più della filtrazione. E' una mia idea che può essere smentita in qualsiasi momento perchè figlia di una sensazione.

    Mi piace il tuo approccio e quello di Malavasi. Concordo anche sulla necessità di coinvolgere persone che non sanno nulla dell'esperimento (un po come ha fatto Stefano in origine).

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  2. Grazie Roberto. Intanto perché mi hai gentilmente segnalato il refuso, chiedo venia a Stefano, di aver scambiato il suo nome con quello di suo padre. Poi perché sì il tema è proprio la vitalità dei vini. Va a gusti, e ognuno avrà il proprio livello di vitalità che desidera nel vino, io in questo sono sicuramente estremista, quasi al punto di considerare meglio il vino quanto più è vitale. In bottiglia come nel bicchiere. Credo anche che in generale la vitalità dipenda tantissimo dalla vinificazione e da qui il mio interesse particolare per l'argomento. Cioè se è vero che il vino buono nasce in vigna è anche vero che lo stile lo decidi in cantina, che è il luogo dove avviene la parte di trasformazione verso il vino. E in questa fase, la vitalità trova il suo apice nella fermentazione (la stessa può essere di molte nature differenti). Poi si tratta di dosare quanto si vuol fermare il prodotto ottenuto dalla stessa. Pur mantenendo un prodotto buono, un minimo conservabile e trasportabile. Ma, mentre uccidere il vino si può fare "scientificamente" cioè conoscendo causa e effetto degli interventi enologici, credo che tenerlo vitale abbia un ampio margine di errore statistico, che può essere dominato (e non sempre) solo con grandi conoscenze tecniche, ma anche un grosso bagaglio empirico. Sicuramente un Valentini o un Barbacarlo non sono vini deduttivi, ma piuttosto tradizionali e figli di condizioni empiriche molto poco controllabili. Quindi in definitiva credo che per aver vini vitali, bisogna anche un po’ lasciarli andare, se mai solo appena guidarli. Mentre filtrare è un’azione tecnica che va in direzione della morte del vino.
    Quest’esperimento è interessante secondo me soprattutto nella parte finale, dove il vino non filtrato si mostra meno caduco.
    Ma anche il fatto che all'inizio i due vini fossero così simili, è una prova che l'enologia è una tecnica raffinata e non necessarimente troppo invasiva sul gusto.
    Però stiamo anche parlando di un vino semplice e vinificato con condizioni molto controllate.

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