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lunedì 15 ottobre 2012

Azienda Agricola Spata, Ragusa, contrada Menta, Ragusano Dop e Cosacavaddu.


cantine di affinamento Dipasquale (RG)
In tutta la provincia di Ragusa e nei comuni di Noto, Palazzolo Acreide, Rosolini nella provincia di Siracusa si produce un formaggio antico che risulta presente nei documenti daziari già dal millecinquecento.
Al di là della sua ancestralità, quello che mi ha colpito da sempre è la forma, anomala per un prodotto manuale.

Il Ragusano Dop (un tempo chiamato Caciocavallo perché affinato a cavallo di una trave di legno) ha la forma di parallelepipedo a base quadrata di quindici centimetri per lato e una lunghezza di quaranta, un peso dai dieci ai quattordici chili (circa).
Il colore, la forma lo avvicinano ai cordoli, ai conci murari, ai gradini di calcare giallo crema che costituiscono l’orditura tettonica delle città del ragusano.
Una incredibile e sorprendente continuità, contiguità fra la pietra madre calcarea che spesso affiora sia nei terreni agricoli sia nelle cave (profonde valli scavate da torrenti stagionali) dell’altopiano Ibleo e a sud  fino alle scogliere e alle spiagge color crema del litorale.
Raramente ho percepito in un prodotto alimentare un legame così forte fra luoghi, natura, agricoltura, geologia, pastorizia, città, cultura, architettura, gastronomia, cucina popolare.
Quando si parla, e spesso a sproposito, di terroir, bisognerebbe prima studiare questo formaggio e il complesso coacervo di cultura, antropologia, geografia, agro pastorizia che lo ha originato.
Ieraticamente innaturale con quegli spigoli eppure incredibilmente mimetico, sembra un concio di quei milioni che costituiscono i chilometri di muri a secco che squadrettano l’altopiano Ibleo.
Un cruciverba impresso sul suolo che, come spesso accade nei manufatti di un tempo, univa valenze sia pratiche sia simboliche, era confine proprietario, elemento divisorio fra coltura e coltura, fungeva da frangivento, conteneva gli animali, accoglieva e liberava il terreno dalle pietre che emergevano ad ogni aratura.


I prati dei Sig.i Spata sono divisi con i tradizionali muretti a secco e gli animali, 35/40 vacche Pezzate Rosse e Brune, ruotano da l’uno a l’altro in base a criteri di mantenimento in produzione delle praterie (che in ambienti aridi sono ecosistemi incredibilmente fragili e indispensabili non come nel caso dell’allevamento stabulare in cui il legame e le attenzioni per il territorio sono totalmente assenti).
Il Ragusano è un formaggio a pasta filata stagionata, la filatura è una pratica tipica del sud Italia e i formaggi che ne derivano hanno una pasta nettamente più elastica, compatta, uniforme.
In passato si esagerava con la salatura che era l’unico antisettico conosciuto, ora che la permanenza in salamoia è nettamente inferiore le caratteristiche organolettiche sono diventate più delicate e l’innegabile piccantezza tipica del caglio di capretto è mitigata dalla dolcezza e grassezza della cagliata che fa trasparire l’aromaticità del pascolo anche dopo 9, 12 mesi di affinamento.



Spesso si fanno delle piccole forme di uno o due chili che vengono commercializzate dopo 24 o 36 ore di salatura.
Queste caciotte stillano siero al taglio e scrocchiano sotto i denti facendo esplodere sentori lattei lievemente acidulati (tipici della lavorazione). Questo è il formaggio che si consuma sopratutto in estate al punto che alcuni produttori interrompono la produzione di Ragusano (che nel periodo estivo si chiama Cosacavaddu e non è Dop) per dedicarsi alle caciotte.
Quest’anno sono andato a seguire le fasi di produzione del Cosacavaddu (il fratello estivo del Ragusano Dop)* dalla famiglia Spata a Ragusa e al di fuori di ogni retorica mi sono emozionato ad assistere ad un rituale (la filatura) che si intuisce antico, nobile come una danza, eseguito con mezzi poveri, pre industriali eppure così moderni.
I tini per la cagliata (da disciplinare) e la mastredda sono in legno di castagno, la manuvredda in legno d’arancio, la spazzola per pulire è fatta con la “bisa” una erbacea spontanea con cui si intrecciavano le corde per la stagionatura del formaggio.
L’acqua necessaria per le lavorazioni è riscaldata in una stufa alimentata con legno di carrubo.


















Contemporaneamente alla filatura si caseifica il latte dell’ultima mungitura e si producono le “tume” che avranno bisogno di acidificarsi per una dozzina di ore prima di essere filate.
Gesti lenti e misurati:
taglio in pezzetti della “tuma”,





riscaldamento con acqua calda a circa 65°C,







manipolazioni con la “manuvredda”,




quando la pasta filata diventa una semisfera lucida di avorio si procede alla chiusura con gesti ancora più lenti e accurati per evitare che in fase di affinamento le parti interne che non sono state lisciate e compattate entrino in contatto con l’aria e si formino fermentazioni incontrollate e sacche di gas.

Raffreddamento in acqua per un ora



Formatura nelle tradizionali fascere lignee (tavoli in castagno).
























Lo spurgo durerà alcuni giorni e le forme saranno girate più volte al giorno.
Immersione in salamoia satura per un tempo che è funzione del peso della forma.

cantine di affinamento Dipasquale (RG)
Affinamento nelle cantine legati a due a due e messi a cavallo delle travi lignee.

cantine di affinamento Dipasquale (RG)
Si finisce con tolettatura e la lucidatura con olio extravergine.

L’incredibile perizia del Sig. Spata e l’umiltà delle sue parole e dei suoi gesti scevri da ogni retorica e piaggeria mi hanno toccato molto e quando a mezza voce, quasi scusandosi della sua condizione di pastore casaro, mi ha detto che è diventato economicamente quasi insostenibile il suo lavoro, un rigurgito acido mi ha bloccato il respiro.
Il formaggio viene acquistato tutto da un affinatore di Ragusa però a prezzi praticamente di costo.
I bovini maschi che un tempo erano venduti direttamente alle macellerie della zona ora sono invendibili se non ci si accontenta dei prezzi iniqui praticati dai macelli.
Tornando a casa, salendo e scendendo fra le cave calcaree dell’altopiano, ho alzato la musica al massimo per non pensare che l’esperienza che avevo appena vissuto poteva essere l’ultima e sentivo l’aridità del territorio che penetrava nella mia anima.

Giovanni Spata

*in Sicilia la qualità del pascolo è migliore d’inverno e le vacche hanno a disposizione praterie verdi e ricche di carotenoidi e componenti aromatiche che vengono invece perse con l’essicazione e la produzione del fieno usato invece per l’alimentazione estiva. I formaggi invernali sono più colorati (carotenoidi), grassi, aromatici.

6 commenti:

  1. Luigi, un fotoracconto bello, bello, bello. Bello (in senso estetico e non solo).

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  2. D'accordo con Fabio, non solo bello ma anche competente. Belle foto a parte l'esemplare dell'ordine dei Ditteri che compare in una di esse...

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  3. In colpevole ritardo su segnalazione di Tirebouchon aggiungo questo dato tecnico sulla lavorazione del Ragusano: latte di una sola mungitura intero e crudo, caglio di capretto, leggera acidificazione della cagliata nel siero.
    Sopratutto Tirebouchon ci teneva che si rimarcasse l'uso del latte crudo e non pastorizzato, lavorazione questa che preserva i profumi e le qualità nutraceutiche del formaggio, compresa la tanto temuta carica microbiologia, rigorosamente indigena.
    Bon apetit
    Luigi

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    1. Caglio Carino autoprodotto o acquistato? Inoltre (se non ricordo male ciò che mi disse un casaro) dopo circa 60 giorni la carica batterica si azzera

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  4. Post importante, portare l'attenzione sul mondo dei formaggi e delle loro tecniche di lavorazione è vitale. Spesso ho riscontrato anche ad alto livello nel mondo della gastronomia una "quasi" ignoranza su questo mondo, in molti ristoranti si è ancora al "vaccino o caprino?" che mi ricorda tanto il "bianco o rosso" in campo enoico di non tanto tempo fa. In campo di discussione spesso sento dire "i nostri formaggi sono migliori di quelli francesi" peccato solo si conoscano così poco :)

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