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domenica 2 dicembre 2012

il vino e il divino

Fonte vinobirra.com

“Rimasto un mistero fino a Pasteur, il processo di fermentazione del vino non è tuttavia stato chiarito del tutto. L’enologia moderna si crogiola nell’illusione che un rigoroso controllo delle temperature e l’impiego di lieviti selezionati e clonati siano sufficienti a evitare i capricci e le esuberanze della vita. Essi riescono solo a creare dei vini tecnologici, senz’anima, privi di ogni seduzione. La grande arte dei buoni vignaioli è di saper restituire nel loro vino il genio del terreno e dell’annata. Oggi sappiamo che i fermenti naturali possono dare i risultati più complessi e più sfumati.”

Jean-Robert Pitte, Il vino e il divino, Sellerio

6 commenti:

  1. Oggi sappiamo anche che i fermenti naturali possono dare risultati molto negativi e alle volte annullare il territorio (volatili e riduzioni varie) ese non su sta attenti a gestire le fermentazioni /macerazioni. Sappiamo anche che ci sono centinaia di grandissimi vini fatti con lieviti selezionati (vedi Borgogna, Langhe, Gattinara, Vlapolicella, Taurasi anni 60-90): per caso quei vini erano senz'anima (oddio !) e privi di alcuna seduzone ? vorrei che questo sig Pitte me le dicesse queste cose davanti a un bicchiere di quei vini, così posso capire cosa intende per vini con anima (oddio ! ) e seduzione. Ci vorrebbe il grande Totò.

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  2. perdonatemi gli errori di battitura, ma leggere queste cose mi fa venire l'orticaria.

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  3. Il bello di queste note è l'autorevolezza di chi le propone, il grande Jean-Robert Pitte, luminare di Francia, ed è proprio questa grande autorevolezza che mi porta a riconsiderare la valenza dei lieviti indigeni,ancor oggi sottovalutati e contrastati, nella produzione del vino.
    Io fossi un produttore di vino di qualità smetterei subito di usare i lieviti selezionati, anche in vista di come si prospetta essere nel prossimo futuro il mercato del vino di qualità.

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  4. @Fabio,
    nelle cose umane e nelle cose di natura non esistono verità definitive ma solo parziali coagulazioni di protoverità figlie dei tempi, per cui non mi farei venire l'orticaria.
    Però devo ammettere che io sono attratto dal lato oscuro della vita quello che non si lascia ridurre a tassonomia ed è refrattaria alle analisi tecnoscientifiche, mi piace credere che ci sia sempre qualcosa nell'ombra che confuta la prosospopea tuttologa della scienza e della tecnica, per questo oggi ho deciso di pubblicare questo stralcio di Pitte.
    Una mia soggettiva e parziale interpretazione delle complesse dinamiche della vita.
    Pur nel rispetto del pensiero degli altri.

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  5. Grazie per le osservazioni Luigi e Vittorio. Mi è passata l'orticaria. Anch'io se fossi un produttore di vino userei solo lieviti autoctoni, non foss'altro perché mi eviterebbe di dar soldi all'industria farmaceutica. Eviterei filtrazioni e stabilizzazioni forzate, e mi terrei solo la solforosa. Capisco anche che la frase che di J-R Pitte sia appunto solo una frase, che estrapolata dal suo contesto può avermi condotto ad un interpretazione diciamo parziale. Detto questo trovo ingenuo pensare che il lievito autoctono, per se, sia il viatico alla produzione di vini seducenti e con l'anima, o addirittura di territorio, perchè se questo fosse vero i La Tache degli anni 60-80 sarebbero privi di anima, per nulla seducenti, e poco rappresentativi del luogo di provenienza, affermazione facilmente controvertibile. Dico La Tache, ma potrei dirlo ugualmente di mille altri vini meno esclusivi. Le analisi scientifiche sono per definizione limitate, e la cosa bella è che sono stati per primi gli scienziati a dire questo; è stata la scienza che ci ha fatto capire che ogni risultato scientifico ha un ambito di applicabilità e un errore di misura. Se non fosse per la scienza oggi non saremmo qui a fare gli olistici, perché - ancora - è la scienza che ci ha messo davvero di fronte la complessità della natura, e ci ha avvisato che l'approccio analitico è di per se approssimativo. La vera scienza non fa prosopopea, non pretende di rispondere a tutte le domande, non vuole fare proseliti, non vuole imporre alcunché. Che poi ci siano cattivi scienziati e soprattutto cattivi comunicatori della scienza, questo è pacifico.

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  6. Devo dire che per me che ho fatto "scienza" per più di dieci anni una delle maggiori offese che possa ricevere e d'esser scientista.
    Non me la prendo con Luigi perché qundo parla di prosopopea della scienza e della tecnica leggo scientismo e tecnicismo. E credo sia quello il senso.
    Il problema è proprio che lo scientismo "con prosopopea" si spaccia per scienza e propugna il tecnicismo come fosse mera tecnica.
    Corollario (;-)): sono in accordo con Fabio riguardo alla capacità della scienza di investigare i propri limiti di ambito e di applicazione.

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