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mercoledì 24 ottobre 2012

L’alt(r)a Lombardia e il Merlot di Enrico Togni, storie di luoghi e di persone


Vigne vecchie di merlot, in cui sopravvivono anche piante a piede franco, lottano per dimostrare di essere più territoriali delle cultivar tradizionali.

E’ una lotta impari perché ormai autoctono/tradizionale è bello e giusto.
E’ una lotta impari perché non si valuta il fatto che sono lì da almeno sessanta anni e hanno ormai sviluppato un rapporto intimo con il luogo.
E’ una lotta impari perché di Merlot ne è pieno il mondo e il prezzo diventa il discrimine unico.
E’ una lotta impari perché i vigneti di questo Merlot sono su pendenze del cento per cento e più e nemmeno il trattore può salire.
E’ una lotta impari perché i vigneti di questo Merlot sono bisognosi di molte cure e attenzioni.
E’ una lotta impari perché sono in provincia di Brescia e il costo della vita è doppio rispetto a certe zone viticole d’Italia.
E’ una lotta impari perché il luogo di produzione non è nel novero di quei pochi ed eletti territori italiani ad alta vocazione (ad alta mediaticità direi, meglio).
E’ una lotta impari perché il produttore è solo nella ricerca dell’estrema espressione territoriale dei vini.


Per cui Enrico Togni convinto, al di là di ogni ragionevole dubbio, di poggiare i piedi su una terra, la stessa in cui immergono i fittoni le sue viti, vocata abbandonerà un po’ di piante di merlot a favore dell’erbanno.

In fatti per far vivere il suo Merlot, Enrico sta lavorando duramente sull’Erbanno una cultivar “tradizionale” che ha riscoperto e propagato e vinificato.
L’Erbanno ha una triplice attitudine è molto resistente e rustico, dà un ottimo vino ed è un “quasi autoctono”* quindi è “mediaticamente territoriale” e spendibile nel mercato schizofrenico del vino dell’età contemporanea che brucia i propri miti con ritmi incommensurabili  ai tempi della biologia vegetale.

Per cui beviamo tutti l’Erbanno!  

Che quando saremo pronti il Merlot sarà lì che ci aspetta per svelare tutte le corrugazioni degli spalti calcarei, delle argille, il leggero pizzicore dei refoli di tramontana che cadono a valle dalla cresta delle montagne  infilandosi nei dirupi scoscesi e il calore algido del brillio del sole riflesso dalle nevi della Valcamonica.


Nelle mani giuste con l’impegno giusto, con le cultivar giuste, Enrico ha dimostrato, che la viticoltura camuna può ottenere prodotti di alta qualità perché il luogo ha la forza, la vitalità necessaria per lasciare un imprinting nel dna delle piante e nei vini se questi sono trattati con quella giusta distanza e laisser faire che permette loro di deviare, contaminarsi, arricchirsi, custoditi più che condotti per mano, più che costruiti.

Cura maniacale del vigneto, rispetto della propria ricchezza fenotipica aziendale perpetuata con la riproduzione massale, attenzione alle forme di allevamento.
Enrico è un esempio di come i luoghi senza l’uomo che li interpretino possano essere neutri, apparentemente “sine nobilitate” e allo stesso tempo come l’uomo sia interpretato e condizionato dai luoghi in un processo di appartenenza e dipendenza l’uno dall’altro.
Noi pensiamo la Terra.
La Terra pensa noi.


*Enrico e l’agronomo preferiscono definirlo “tradizionale” non avendo prove scientifiche sulla reale autoctonia della cultivar.

Poscritto
In occasione delle degustazioni dei vini camuni a Darfo Boario, a parte la produzione di Enrico, si è palesata immediatamente una scarsa aderenza fra i vini e il territorio forse causata dalla scelta di cultivar incapaci di produrre qualità o di adattarsi ai luoghi (incrocio Manzoni) oppure lasciate produrre un po’ troppo e mortificate da vinificazioni standard un po’ troppo tecniche (riesling e merlot).
Sicuramente bisogna puntare su cultivar “nobili” che sappiano fotografare la Valcamonica senza dimenticare quelle tradizionali (barbera, nebbiolo, schiava, marzemino ed ora l’erbanno) che hanno dato esempio di grande qualità, nelle mani giuste.


5 commenti:

  1. enrico togni viticoltore di montagna24 ottobre 2012 alle ore 20:59

    grazie Luigi come sempre la tua vocecritica dice un sacco di verità.
    Una sola precisazione, il merlot lo abbandono perchè non lo sento nelle mie corde, è un vitigno che non mi piace, che non mi dà soddisfazione nè agronomicamente nè enologicamennte, sinceramente è l'utlimo dei miei vini che mi vien voglia di bere.
    poi sono stracontento che a te e a molte altre persone piaccia, vuol dire che alla fine mi impegno sempre!

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    1. Enrico,
      sai che mi piace il tuo Merlot da sempre, proprio perchè malgrado tutto (compresa la tua avversione nei suoi confronti)è incredibilmente territoriale e questo non fa che avvalorare la tua tesi sulla bontà dei luoghi.
      Comunque "Vidur" (barbera) non è da meno, per cui mi consolerò con quella.

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  2. enrico togni viticoltore di montagna25 ottobre 2012 alle ore 09:16

    aspetta di assaggiare la 2011, macerazione post fermentativa per 30 gg, malolattica sulle bucce, e poi legno!

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  3. enrico togni viticoltore di montagna25 ottobre 2012 alle ore 19:27

    no, non è ancora imbottigliata...

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