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venerdì 6 aprile 2012

RINO mangiare a Parigi da un italiano apolide

Consigli di viaggio.


Ho sempre delle remore a parlare di ristoranti, perché alla fine viene fuori un elenco enciclopedico di piatti.
E quando, finalmente dopo mesi, noi lettori andiamo nel ristorante recensito, il cuoco li ha cambiati tutti!
Certo!
Non ci poteva aspettare e i clienti abituali cominciavano ad essere stufi della stessa minestra.
Ci ritroviamo con un menù ignoto in cui nessuno ci consiglia l’agnello piuttosto che il brasato.
Ci sentiamo abbandonati e traditi dall’oste e dal recensore.
Questo lungo preambolo per dirvi che io da Rino a Parigi non aspetto altro che ritornarci e non mi importa cosa mi farà mangiare perché sono sicuro che al di là dei miei gusti personali saranno piatti speciali.



Rino è in un quartiere moderatamente periferico per chi è Louvre-centrico, vicino al mostroarchitettonico dell’Operà de la Bastille (costruita negli roaring 80’s del novecento, periodo molto fecondo di brutture architettoniche) nasce con le dimensioni di un ristorante di quartiere, chiara impostazione Foodies (alta qualità ma un occhio al prezzo), ed è subito diventato magnete per gli italiani in terra d’oltr’alpe e per i francesi amanti del cibo e del vino.
Giovanni Passerini, lo chef, è partito da Roma per arrivare a Parigi prima allo Chateau Briand di Inaki Aizpitarte poi al Gazzetta di Petter Nilsson.

Giovanni Passerini


La sua cucina è maledettamente e positivamente internazionale, un superamento del facile ragionamento populista intorno alla retorica della cucina di territorio e di tradizione.
Il suo territorio e la sua tradizione sono quelli cosmopoliti e bulimici della cucina mondiale (l’alta cucina è sempre stata globalizzata, anzi per lungo tempo è stata l’unica “attività umana” ricercatrice compulsiva di novità).
“…, la grande cucina non esiste senza evoluzione, erosione e oblio. La cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall’ossessione di chi non vuol morire…”
Muriel Barbery, Estasi Culinarie.



I suoi piatti sono scomposti ma riassemblati, italiani ma francesi, rarefatti ma materici e buoni, cotti al punto giusto, ricchi di sensazioni e profumi e colori.
L’uso delle verdure e delle erbe selvatiche valicano il confine del contorno per diventare propellente gustativo.
Risotto d’orzo (cremoso e perfettamente al dente) con midollo, erbette e fiori (delicatamente amarostici), frutti di mare (crudi e potentemente salini), porro stufato.
Lingua di bue o Cabillaud Bretone con topinambour in crema, coste e olive.
Petto d’anatra (migliore di quella del maestro Inaki Aizpitarte) e carciofi e altre verdure intraducibili.
Filetti di pesci Atlantici dai nomi improponibili con morbidezze da sogno.
Un Babà tra i più buoni mai mangiati, con agrumi disidratati, spuma di ricotta e sorbetto d’arancia questo dolce accompagnato dal distillato di tabacco e mele di Capovilla è magnifico (poi fatevi chiamare un taxi, ma ne vale la pena!).

risotto d'orge, herbes sauvages, couteaux, moelle, poireaux

Ciò che colpisce di più alla fine del percorso gustativo è la piccolezza della cucina, non più grande di quella di un monolocale, affollata da quattro persone che paiono danzare e come d’incanto i piatti escono in tempo con cotture e temperature perfette.
Ero allibito, anche perché nel frattempo Giovanni non disdegnava parlare con noi e con altri commensali e con Francesca Tradardi (sommelier)  in sala.

Cabillaud Breton avec topinambour, blette, olives

 Ho bevuto i vini che ho recensito il mese passato e vivo ancora del ricordo.

A pranzo costa dai 20/25,00 euro la sera il doppio, vini esclusi (abituatevi ai ricarichi stratosferici vigenti in Francia sui vini).
Prenotazione consigliata  46, Rue Trousseau, Paris  11°, tel n°+33 1.48.06.95.85

Giovanni sarà al Consorzio a Torino il 29 ottobre in occasione del Salone del Gusto 2012.

Baba au Rhum, agrumese, ricotta, sorbet


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