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lunedì 6 dicembre 2010

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Serata Ostriche e Champagne.



Carissimi è Natale vogliamo farci mancare le Ostriche? E le bollicine?
Il 2 dicembre, affascinato dal tema “Ostriche e Champagne” sono andato all’Ais di Torino per partecipare ad una serata che si preannunciava intrigante.
Ho letto da qualche parte che il primo uomo che ha avuto il coraggio di addentare un'ostrica meriterebbe il Nobel, anch’io come quel cercopiteco ho una passione smisurata e ferina per i molluschi da quando ventidue anni fa a Cancale in Bretagna, assistendo alla bassa marea ho visto gli ostricoltori allestire, urlando huitre huitre, ai bordi dei bacini ormai in secca dei banchetti di vendita.
Il mare in fuga, i gabbiani che volteggiavano, i pescherecci in secca un po’ sghembi sulle loro zampe di legno, il fondale scoperto del mare, le persone che sciamavano dal bagnasciuga, i trattori che prelevavano casse di ostriche, i muretti di calcestruzzo dei bacini ricoperti di conchiglie, l’alito potente dell’Atlantico (la Manica per la verità) mi hanno affascinato, abbacinato e mosso da forze ancestrali sono sceso come stregato dal grido ritmico huitre huitre huitre e dallo straziante verso dei gabbiani e senza pensare, per la prima volta nella mia vita ho beluinamente addentato dodici ostriche.
L’incantesimo è passato solo ore dopo ma la insana passione era appena iniziata.
Può essere come una malattia asintomatica per mesi silente, poi senza sapere perché vi ritrovate in un bar a Huitre o in un Oyster bar in mezzo a tonnellate di gusci, fettine di limone (sono decorative, non usatelo sul pesce please) e bicchieri di vino.
Talvolta patirete anche fisicamente questi eccessi.
Nulla però vi fermerà dal replicare questo rito ancestrale.
Non capirete mai l’avversione di alcuni verso le ostriche con tutto quel blaterare sul molliccio, come se un budino non lo fosse.
Non sanno, perché si negano un’esperienza,  che alcune, ottime ostriche hanno consistenze tenaci, quasi croccanti.
La sapidità iodata sferza il palato, il profumo del mare ci riporta nella preistoria dell’essere umano, nudi senza tecnologie e artefazioni della cucina di fronte alla preda ancora viva.
Presentava la serata all'AIS di Torino il Sig. Antonio Vasile il responsabile della Selecta s.p.a. per il settore ittico.
Il quale però mi assesta un colpo terribile, delle sei varietà di ostriche solo quattro erano arrivate in tempo, causa neve e chiusura dei trafori.

da sotto in senso antiorario: Belon de Belon, Perle Noire, Special de Claire Vert, Fine Binic.

Seconda mazzata la conferma dell’emergenza sanitaria negli allevamenti Francesi che dall’estate sono affetti da pesanti morie di ostriche giovani senza che si sia trovata una risposta al problema.
Dopo le cattive notizie ci rassicura che i bacini di allevamento sono in specchi di mare, fiumi con acque di categoria “A” per le quali non necessita la depurazione.
Le ostriche allevate in Francia, che è il quarto produttore al mondo, sono di due tipi quella concava e quella piatta, la prima è alloctona ed è stata selezionata da varietà giapponesi “Crassostrea Gigas” negli anni sessanta a causa di una pandemia virale che aveva sterminato la razza precedente, situazione simile a quella che sta colpendo ora i campi di produzione. La seconda “Ostrea Edulis” è originaria del bacino Mediterraneo e se ne trovano tracce nei fossili e non sembra colpita dalla moria iniziata questa estate.
Hanno carni differenti ma soprattutto differenti propensioni all’allevamento, le concave ingrassano più rapidamente, le piatte, da sempre considerate prodotto di nicchia, hanno una minore propensione all’allevamento intensivo e rese nettamente più basse.
Il sig. Vasile con un colpo di teatro ci propone un parallelo forse ostico per noi  ma sicuramente affascinante, le ostriche, dice, sono un prodotto di territorio come il vino e come tale fotografano l’ambiente e la mano del pescatore/allevatore (anche loro come i vignaioli divisi fra industriali e artigiani).
Gli allevamenti infatti sono stanziali, dei “campi” lungo le coste Atlantiche (in particolare Bretoni) soggette a forti maree, ricche di immense praterie di poseidonie, quindi l’ostrica che è un animale filtrante si lega intimamente all’ambiente in cui è calata suggendone di fatto la linfa e gli umori.

I molluschi acquistati dagli allevatori o preparati in proprio, vengono “seminati” nei bacini di allevamento in mare su tegole di terracotta, quando hanno le dimensioni di una lenticchia.
Le ostriche abbandonano il supporto e iniziano la loro vita nel bacino di crescita.
Con le maree sigiziali i bacini, simili a piscine in cemento emergono e gli ostricoltori controllano lo stato dei molluschi e delle strutture, una esperienza che vi consiglio merita il viaggio fino in Bretagna.
Dopo tre anni sono rimosse dai bacini in mare per essere portate all’ingrassamento e qui la scelta dei luoghi e dei tempi dà origine a prodotti molto diversi tra loro.
Le ostriche si giovano molto di un ambiente a minor salinità e acqua parzialmente stagnante (quindi più ricca di nutrienti) per cui maggiore è la permanenza nei bacini di ingrassamento migliore è la qualità delle carni che perdono la sapidità aggressiva a favore di dolcezze inaspettate e suadenti.
I Francesi usano dividere le ostriche in tre tipologie di affinamento la Fine, la de Claire e la Belon (anche se quest’ultima definizione si può applicare a tutte le ostriche Bretoni indipendentemente dall’affinamento).
La Fine è sottoposta ad affinamenti brevi, in mare ed è meno carnosa e più sapida.
La de Claire è affinata in pozze salmastre le “Claire” e raggiungono considerevole carnosità e dolcezza.
La piatta Belon de Belon è affinata lungo il fiume Belon e raggiunge grande carnosità, delicatezza e dolcezza impareggiabili.
I produttori spostano più volte le ostriche in diversi bacini per ottenere oltre alla quantità e alla dolcezza della carne anche diverse consistenze alla masticazione.
Nelle fasi finali di ingrassamento le ostriche sono messe in bacini che si svuotano durante le maree per “allenare” i molluschi a trattenere l’acqua all’interno delle valve e a patire meno lo stress. Poi una volta depurate sono imballate e poste in commercio vive e ci segnala il sig. Vasile il momento migliore per il consumo è tra il quarto e il nono giorno dopo l’imballaggio.
Abbiamo degustato quattro tipi di ostriche prodotte da Jacques Cadoret in Bretagna a Riec-sur-Belon.
Ci abbiamo bevuto sopra:
Piere Callot (da Avize nella Cote de Blanc patria di elezione dello Chardonnay) Non Dosè Blanc de Blanc cuvèe a base di Chardonnay con vini di riserva alcuni passati in legno che danno al prodotto una profondità olfattiva con mandorla e nocciole in evidenza su una base minerale e di inevitabili profumi lievitosi e accenni di pan brioche.

Deutz Brut Classic taglio classico Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Meunier ha profumi più cupi di lievito madre, canditi di arance, un po’ di frutta tropicale, pasta di mandorle, minerale.

Roger Brun (da Ay Montagne de Reims) Brut Reserve Grand Cru cuvèe a base Pinot Noir 80 % e Chardonnay 20 %  tre anni di presa di spuma ha profumi intensi di lievito madre e pane di segale, con accenni di agrumi, liquerizia e note di distillato.

Ottimi Champagne però trovo che il salmastro annulli i sapori del vino e forse esalti certe durezze, si sente in bocca un chè di ferroso e cacofonico.
Quest’anno a Londra ho abbinato a delle ostriche un bicchiere di Jerez Manzanilla Fino con risultati molto positivi, i sentori potenti di iodato del vino contrastavano la sapidità, l’alcool sgrassava le dolcezze della carne e la lunghezza percettiva dello Jerez bilanciavano l’interminabile retrogusto del cibo.

Ottima anche la birra Guiness nerissima, tostatissima, amara, pungente che ha grandi capacità di contrastare le ostriche senza che nessuno dei due soccomba.


Luigi


PS
mentre scrivevo mi è arrivata la locandina di una serata ostriche e altre amenità organizzata da Chiara  Bordonaro, Stato Liquido, Les Caves de Pyrene all'Enoteca Bordò il 14 dicembre.