Michele Loda |
Prescritto.
Sto
cercando disperatamente un altro termine in sostituzione di terroir o
territorio da quando ho letto sui libri di Farinelli che la matrice semantica della parola è comune a “terrore” e
probabilmente nacque nel periodo in cui gli Stati Sovrani decisero di misurare
lo spazio dei propri possedimenti abbandonando descrizioni qualitative a favore
di una concezione cartesiana e quantitativa dei luoghi e delle persone, mirata per
lo più al controllo degli stessi (un esempio su tutti: il catasto terreni che
penso voi crediate sia sempre esistito nacque nella Francia Napoleonica e venne
poi recepito nel resto dell’Europa da metà ottocento e naturalmente è nato per
determinare in maniera scientifica i redditi e quindi le imposte).
.
Un
termine che sembrerebbe scevro dalle suddette connotazioni è “luoghi” perché
come dice Farinelli:
“Luogo, al contrario (di spazio e territorio
ndr), è una parte della superficie terrestre che non equivale a nessun altra,
che non può essere scambiata con nessun altra senza che tutto cambi. Nello
spazio invece ogni parte può essere sostituita da un’altra senza che nulla
venga alterato, proprio come quando due cose che hanno lo stesso peso vengono
spostate da un piatto all’altro della bilancia senza che l’equilibrio venga
compromesso.”
A
voi piace?
A
me abbastanza, però sono aperto a consigli.
Ricomincio
e mi scuso per la digressione fuori tema.
Gli
uomini dietro i luoghi.
Michele
Loda alias il Pendio in quel di Monticelli Brusati (BS).
La
Franciacorta è un insieme di luoghi che per semplicità ragionieristica e
agrimensoria e normativa è stata ridotta nel nostro pensiero di consumatori e
ahimè anche nel pensiero e nei fatti di alcuni responsabili del Consorzio ad un
unicum indistinto, omogeneo, isotropo (problema comune a tutte le normative
sulle DOC(G) e a tutti i tentativi maldestramente umani di perimetrare e
computare le cose di natura).
Un
luogo la Franciacorta che essendo stato inventato cartograficamente è diventato
un non-luogo isotropo ed equipollente.
Per
cui differenze anche sostanziali fra giaciture, meteorologia locale, pedologia,
altitudini sono confluite in un mare magnum di vigneti che partono dalla
pianura e abbracciano la Milano-Venezia sino a quelli a trecento metri slm,
ripidissimi con impianti a giro poggio o terrazzati di Monticelli Brusati o
Gussago (cito questi perché li ho conosciuti de visu e nulla hanno a che fare
con le distese di vigneti del fondo valle).
Il
Pendio è in una posizione meravigliosa a trecento metri di altezza, un corpo unico
di cinque ettari su un fianco della collina con esposizioni che vanno da nord
est a sud, attorniata da boschi e perennemente ventilata.
Con
suoli differenti al proprio interno, la parte sommitale ha pochi palmi di
argille (bianche e grigie a macchie di leopardo) sopra la roccia madre calcarea
affiorante, le pendici hanno più spessore di argilla sempre frammista a
brecciolino calcareo e maggiore ripidezza.
Luoghi
diversi all’interno di un corpo aziendale apparentemente unico e le piante lo
interpretano in maniera differente in base a complesse interazioni fra la
maggiore umidità e umicità del suolo, differenti consorzi microbici sessili,
esposizione, drenaggio.
Per
cui da certi vigneti o porzioni o filari si ottengono mosti con caratteristiche
differenti di acidità, tenore zuccherino, estratti, componenti aromatiche.
Il
tutto sorvegliato e istradato dalle minime pratiche agronomiche messe in atto
da Michele Loda che lo portano a dividere così la sua produzione:
nord
est, vigneto di chardonnay il Ruc attorniato dal bosco (e saccheggiato dai
cinghiali) dà le uve del Cunvai, Cremant, metodo classico;
nord
est, vigneto gradonato di chardonnay dà le uve de Il Contestatore Franciacorta Docg,
Pas Dosè;
est,
vigneto Ruc, dà le uve per il Curtefranca Bianco Doc, chardonnay e il Brusato Franciacorta
Docg, Extra Brut;
sud,
vigneto dà le uve per La Beccaccia, vino rosso, Cabernet Franc;
sud,
vigneto La Valletta da le uve per il Pinot Nero del Sebino Igt e il Brusato Rosè,
metodo classico;
sud
sud ovest su gradoni dimorano quattrocento Leccino di quarantacinque anni per
l’olio aziendale.
Che
altro dire se non che l’azienda fondata da Gigi Balestra è condotta in
solitudine da quasi dieci anni da Michele Loda che lavora in una cantina
microscopica (la presa di spuma è fatta in cataste ancora assemblate con le
“latte” striscie di legno frapposte fra fila e fila di bottiglie per evitare il
contatto diretto e il collasso della catasta in caso di esplosione di una
bottiglia) in cui ogni lavorazione presuppone un incastro perfetto e
sequenziale delle operazioni per liberare spazi e vasche e barrique (ormai
decennali se non più).
In
ordine sparso vi elenco le cose mi ha detto e ho visto:
I
cinghiali mettono a dura prova la raccolta dell’uva.
La
flavescenza dorata si insinua con discreto successo nei vigneti.
I
vigneti sono interamente inerbiti.
Usa
lieviti indigeni sia per le fermentazioni alcoliche sia per l’inoculo del
tirage (sono arrivato in cantina mentre un piccolo pied de cuvèe, destinato al
tirage, stava animandosi e profumando di crosta di pane la cantina).
Attrezzature
e vasi vinari ridotti all’osso e abbondantemente obsoleti (e non è
necessariamente una cosa negativa, almeno per me).
La
stabilizzazione delle basi spumante la fa a freddo con un impianto frigorifero
artigianale che impiega due giorni per portare la massa a meno uno e dura una
settimana.
I
metodi classici affinano in acciaio per un anno sulle fecce fini e poi
trascorrono trentasei mesi “sur latte” per la presa di spuma alcuni anche per
sessanta mesi.
I
vini fermi fermentano in acciaio e poi vanno in barrique usate e non sono
filtrati.
Remuage
manuale.
Tutti
i metodi classici sono millesimati.
Il
gelo degli ultimi due inverni ha dato un bel colpo all’oliveto.
Michele
Loda è un vigneron rustico e assai poco franciacortino legato com’è alla terra
e alla dimensione artigianale del fare il vino (non direi luddista ma a tratti
potrebbe sembrarlo).
Come
mi capita spesso con persone così terragne, c’è un progressivo processo di
accordatura fra il vigneron e il visitatore che si dipana da una iniziale
ritrosia e chiusura sino ad una condivisione empatica e generosa.
Come
se il fine non fosse solamente la vendita di un prodotto ma anche la
comprensione più intima della propria personalità e storia e per fare ciò
bisogna che entrambe gli interlocutori scoprano e offrano l’un l’altro le
proprie esperienze e in qualche modo i propri sentimenti.
Tutto
ciò annaffiato dal vino, che aiuta!
Ho
assaggiato
Il
Contestatore, Franciacorta Docg 07, non dosato, chardonnay.
Brusato,
Franciacorta Docg 07, extra brut, chardonnay.
Cunvai,
cremant 07, metodo classico, brut, chardonnay 70%, pinot bianco 30%.
Brusato,
rosè 07, metodo classico, non dosato, pinot nero.
Odio
le descrizioni sintetiche (anche nel senso di poco naturali e un po’
approssimative) di ogni singolo vino per cui accontentatevi di una lettura
trasversale da cui è emerso che sono vini ad alta sapidità e con acidità
robuste che non indugiano su profumini floreali o di crosta di pane ma mirano
dritto alla mineralità salata, ai terziari con intensità e croccantezza, il
rosè ci aggiunge le note inconfondibili del pinot nero, mi sento di poter dire
che sono vini di territorio (luogo) e di millesimo.
Dimenticavo
di dire che il perlagè è finissimo, presente e molto stuzzicante malgrado la
pressione sia inferiore ai 4,5 bar.
Voilà,
a me sono piaciuti tutti e quattro.
Curtefranca
Bianco 07 Doc, chardonnay.
Molto
interessante con memorie di leggere ossidazioni (come alcuni borgogna) e
maturazioni, sapido e minerale (quella sensazione di mineralità quasi
salmastra), teso e fresco, si è evoluto moltissimo per tutto il tempo della degustazione.
Pinot
Nero del Sebino 07 Igt.
Un
po’ chiuso subito si è aperto verso sentori terrosi e tabaccosi e di residuali
frutti, acidità nervosa.
La
Beccaccia 07 vino rosso, cabernet franc.
Impetuoso,
etereo con fughe mentolate più che erbacee, rotondo, tannini levigati, minerale
e poi frutta.
Anche
i vini fermi mi sono parsi di territorio (luogo) per la loro capacità di uscire
dal varietale e proporre un panorama, quello che si vede dai vigneti.
Olio
extravergine Il Pendio.
Mi
sono amaramente pentito di averne comprato troppo poco! (analisi organolettica da
professionista, vero?)
Frac, non comprendo questo passaggio: “Un luogo la Franciacorta che essendo stato inventato cartograficamente è diventato un non-luogo isotropo ed equipollente.“
RispondiEliminaChe vuor dì?
Perimetrare la natura e assegnare qualità e caratteristiche omogenee al territorio compreso nei confini è un atto estremamente forzato e innaturale, perchè i luoghi non sono omogenei come un foglio di carta (cartografia) ma discontinui e ricorsivi.
EliminaQuindi come ogni altro territorio vitivinicolo, come un vigneto..
EliminaLa butto lì, Genius loci al posto di terroir??
RispondiEliminaSi Genius Loci potrebbe essere una soluzione, anche se tende ad indicare il valore espresso da un luogo piuttosto che il luogo stesso.
EliminaCaro Luigi, grazie per la bella introduzione sul concetto di terroir. Mi viene in mente che a metà anni 90 un gruppo di viticoltori della Languedoc si faceva chiamare - non senza un ragionevole autocompiacimento - "Terroiristes" , forse proprio perché memori dell'etimo della parola terroir. "Luogo" mi piace molto. ma anche "posto". Riguardo alla denominazione Franciacorta, credo che soffra dello stesso male di tutte le denominazioni: da quando la docg serve principalmente per spuntare un prezzo migliore, i criteri con cui vengono iscritti i vigneti all'albo della denominazione si sono fatti via via più "larghi". Anche a Montalcino troverai dei vigneti di sangiovese su argillone blu che producono uva da Brunello. Purtroppo, anche nel caso in cui il vigneto non sia nella denominazione, le rese minime di legge sono talmente alte che un viticoltore disonesto - scarsamente dotato di palato, oltre che ottuso - ha spazio per utilizzare uve provenienti da vigne non iscritte. Riguardo ai vini de Il Pendio ho assaggiato ripetutamente il Rosè e il Contestatore (non ricordo la vendemmia, devo vedere in cantina) ma non li ho trovati particolarmente attraenti: buona occasione per riassaggiarli. Ti farò sapere.
RispondiEliminaLuigi, il termine "luogo" piace molto anche a me, anche se viene largamente utilizzato.
RispondiEliminaNon ho mai assaggiato i vini del Pendio, mi hai incuriosito. Farò in modo di trovarne alcune bottiglie.
A proposito di acquisti, puoi dirci i prezzi delle bottiglie in cantina Luigi?
RispondiEliminaGrazie!
sui 15,00 euro
EliminaModestamente. Se usi perlage, usa terroir. Se usi luogo, usa effervescenza.
RispondiEliminainvido la barba di Michele!
RispondiEliminaSempre pettinata ma con l'aspetto comunque un po' maudit
Eliminaluogo mi piace..e se fosse ambiente?Verso una definizione di ambiente:
RispondiElimina“lo spazio che circonda una cosa o
una persona e in cui essa vive”
“l’insieme delle condizioni fisicochimiche
e biologiche che
permettono e favoriscono la vita
degli esseri viventi”
“il complesso di condizioni materiali,
sociali, culturali e morali, in cui una
persona vive e si forma
(Dizionario Devoto Oli, )
“l’insieme delle condizioni fisiche, dei caratteri chimici del milieu
(acqua, aria, suolo) e degli esseri viventi che circondano l’uomo”
(Encyclopedie Larousse, 1974)
“le cose, gli oggetti, la regione che circondano qualcosa … le
condizioni sotto cui ogni persona o cosa vive o si sviluppa; la totalità
delle influenze che modificano o determinano lo sviluppo della vita e
del carattere. … una vasta struttura progettata per essere esperita o
fruita come un’opera d’arte”
(Oxford English Dictionary, 1989)