Le Scodelle è un restò di Torino, in via Stampatori 16/c, molto french bistrò, fa
cucina emiliana e si trova sul confine dell’antico Castrum romano.
Da
un lato della strada (via Monte di Pietà), dove c’erano gli orti sino al
Rinascimento, ora troneggiano imponenti costruzioni otto-novecentesche infisse
come cubi nella maglia viaria rigorosamente quadrata, dall’altro lato ci sono palazzi
e chiese per lo più barocche, schiacciate l’un l’altra e stirate in planimetria
per seguire le devianze viarie medioevali che hanno un po’ deformato il Castrum
ortogonale romano.
Vestigia
di una città che cresceva su se stessa inglobando il passato, una città
ricorsiva.
Densità
edilizia medievale contrapposta agli spazi liberi dei grandi boulevards di
Haussmanniana memoria, voluti dalla retorica medica della circolazione
dell’aria.
Divagazioni,
perdonatemi.
Ero,
come dicevo, alle Scodelle con lo chef
Valter Giletti d’Alanno per assaggiare un po’ di vini frizzanti
emiliani.
Ne
avevo portati quattro: S’cett 2011 e Besiosa di Crocizia, Libeccio 225 2011 di
Podere Cipolla, Cinque Campi rosso 2011 di Cinque Campi.
Iniziamo
dalla Besiosa ottima, ne abbiamo già parlato qui.
Poi
l’epifania dei rossi frizzanti.
E’
stata una degustazione esaltante, sono venute fuori differenze sostanziali e piacevolezze che aumentavano nel confronto,
parallelo con gli altri vini, una sinergia inspiegabile, incalzante,
parossistica.
Iniziamo
col Libeccio 225 di Denny Bini alias Podere Cipolla ed è un Grasparossa ricco,
da combattimento. Denso di profumi di rose carnose, caldo, intenso, tannini
rotondi e cremosità, figlio di una macerazione spinta sulle bucce mi dirà al
telefono Denny il giorno dopo.
Il
secondo il Cinque Campi rosso, 2011 è un Grasparossa in taglio con Malbo e
Marzemino, austero e asciutto, profumi minerali, tannini urticanti e bollicine
che li esaltano, il più piemontese dei tre dice Valter.
Il
terzo lo S’cett, 2011 è una Barbera con Croatina e Pinot nero ed è eleganza
senza austerità e barberosità e godibilità allo stato puro, spumoso e cremoso, succo
d’uva dolce-acido e profumi di griotte glu glu.
I
riassaggi, le comparazioni olfattive, gustative fra i tre vini li esaltavano
l’un l’altro come giocatori complementari in una squadra di volley: l’alzatore,
lo schiacciatore-ricevitore e il centrale.
Ho
chiesto a Valter perché abbia, unico forse a Torino, Camillo Donati in carta e
lui mi ha risposto che gli piace e lo conosce, poi nel discorso scopro che ha
frequentato le scuole elementari in una sezione sperimentale “Steineriana” e questa spiega molte cose
sulla sua sensibilità “cosmica”, non credete?
Uscendo
sono finito sul marciapiede che era confine fra la città romana e la città
moderna di ispirazione francese, due anime che a Torino a volerle cercare si
trovano.
Un
luogo di confine e come tale spazzato da turbini di senso e gorghi di contrasti,
forse come i vini appena assaggiati.
Mentre
scrivevo il post ho incontrato questa definizione dei vini Emiliani data da
Soldati e io ve la propino, perché mi sembra vera e di ottimo auspicio:
“…Ed
è un vino non pensoso, come i piemontesi; non folle, come i friulani; non
fantastico, come i liguri. E’ un vino, più di ogni altro, amoroso.”
Kampai
Luigi
Ps
Attenzione
questo è un post in potenziale conflitto di interessi:
Cinque
Campi è un produttore che rappresento.
Luigi sono proprio contento che anche tu apprezzi i vini di questa terra spesso bistrattata a livello enologico.
RispondiEliminaProprio come diceva Andrea pochi giorni fa, anche gli emiliani avevano abbandonato i propri vini, annientati dall'industrializzazione delle rese impossibili.
Grazie a questi piccoli e giovani produttori, la nostra zona sta vivendo una nuova giovinezza, una rinascita.
Si è presa la strada giusta, le cose stanno cambiando.
Grazie per il tuo contributo.