Oggi ci parla di eleganza e soggettività e oggettività e altre amenità.
L’eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA, ovvero un postico (post un po’ ostico)
Bevo una bottiglia di Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA l'altra sera, penso che in quel vino c'è l'idea di un tipo di eleganza. Non ho percepito una manifestazione particolare di eleganza, ma una generale e da quel momento rientrano e rientreranno in quell'idea molti altri esempi di vini bevuti nel passato e che berrò nel futuro. E' interessante questo aspetto della degustazione. Alcuni vini (particolari) propongono ai sensi qualcosa di generale (universale) e danno quindi una categoria in più a chi li assaggia.
Questo tipo di ragionamento che ha un bel po' di paradossale, fa il pari con un altro aspetto altrettanto bizzarro della degustazione: che l'esperienza dell’assaggio è quasi totalmente soggettiva, ma quando viene raccontata diventa oggettiva in quanto trasferisce il contenuto a un ascoltatore che, in una visione plausibile, posso considerare abbia un apparato sensitivo analogo al mio. Questa ammissione (in parte opinabile) restituisce un valore di oggettività, di comunicabilità e di sensatezza all'esperienza irriducibilmente intima e individuale.
Andiamo avanti.
Sto ipotizzando una dialettica fra vino, sensi e comunicazione in cui molti dei parametri di senso a cui siamo abituati sono invertiti.
Se il vino mi propone una categoria universale dell'esperienza io ho soltanto la mia soggettiva percezione
per coglierla.Però è vero che una volta colta nella sua dimensione universale, diventa per me idea che contiene altri esempi particolari della mia esperienza passata e futura. E poi lo racconto, scrivendone per esempio, e chi legge intuisce qualcosa e poi magari cerca quella bottiglia e se la beve e capisce che cosa io intendessi e quindi forse adesso abbiamo una categoria in comune: l'eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA.
Un domani, assaggiando un nebbiolo dell'Alto Piemonte egli scriverà magari che ci sente quel tipo di
eleganza del Cirò F36 P27 2008 di 'A VITA.Io leggendola capirò perfettamente.
E così hai visto che soggettivo è diventato oggettivo e particolare, universale?
Niccolò Desenzani
1) La visione espressa in questo post trae forse la sua origine da uno scambio di commenti a un mio post, avvenuto circa un anno fa con Pier Paolo Paradisi (con cui nacque un’amicizia virtuale) che faceva emergere da parte sua un'idea completamente diversa della degustazione (vedi http://www.vinix.com/myDocDetail.php?ID=4970).
2) L'universo di senso a cui tendo a riferirmi nel mio rapporto con il vino è dato da una visione di tipo
etnologico e antropologico.
3) Nei giorni scorsi si è parlato di degustazioni cieche e Luigi Fracchia ha messo in discussione il valore di oggettività che si è soliti attribuir loro. Non posso che concordare con lui e nel quadro che propongo la degustazione non è mai oggettiva, ma l'oggettivazione è esogena e avviene in un secondo momento. Alla cieca possiamo solo cercare di essere il più possibile soggettivi, ma spesso invece c'è un imperativo di oggettività che ci offusca la mente e scatta in noi il bisogno di riconoscere elementi di valutazione razionalizzati in un sistema di valutazione. Ma, attenzione, è il sistema di valutazione che è razionale e non la sua applicazione oggettiva. Da cui probabilmente il fatto da alcuni notato che nelle cieche emergano spesso i vini che sono migliori rispetto a quel sistema di valutazione. Io ritengo questa una vera e propria fallacia!
Quindi viva le cieche, che insegnano a riconoscere e acuiscono certi sensi, ma per favore che i giudizi espressi siano il più possibile intimi e personali. Poi ne discuteremo e vedremo cosa ne vien fuori.
Bhè, per quel che riguarda le particolarità Luigi, tu ne proponi sempre di diverse e tali ed interessanti sono anche quelle di Niccolò D. Una sorta di concezione "romantica" alla John Cage, visto che a volte ci si riconduce ai sensi e quindi alla musica. Solo non credo, ancora perchè non ho capito bene ma magari anche dopo, che questo metodo possa essere più utile della "Norma" (che poi qual'è?), per ricondurre ad un significato. Questo perchè molto più retorico anche se non apparentemente, di una "spiegazione" (che io non adoro per nulla) organolettica di alcune sensazioni percepite, dal degustatore o bevitore che sia.
RispondiElimina@Marco In realtà dietro alle mie intricate riflessioni non c'è nessuna contrarietà alla descrizione classica, anzi. Quello che cerco di scardinare è la convinzione di molti degustatori che da una descrizione organolettica (che comunque è in prima battuta soggettiva) insieme a un rodato sistema di valutazione si possa arrivare a un giudizio "assoluto" sulla qualità di un vino. Spesso persino in centesimi. Propongo una diversa consapevolezza, non necessariamente una nuovo modo di degustare. Leggo spesso gli interventi di Enogea su facebook ultimamente, e in mezzo ad alcune riflessioni più canoniche sulla degustazione l'altro giorno invece hanno riportato un testo che in modo molto piacevole riporta parecchie osservazioni che condivido http://www.facebook.com/enogea/posts/300205913375823.
RispondiEliminaE poi mi piaceva l'idea che un vinino così particolare, figlio di una piccola particella, coltivata da un piccolo produttore potesse trasmettere qualcosa di universale! Non è una cosa stupenda?
adesso ho capito :)
Eliminaè un terreno (stra)minato quello che stai attraversando, niccolò. la cosa spiacevole per te e per tutti è che credo fortemente sia quello giusto, se non l'unico possibile. ;)
RispondiEliminacerto parlare di soggettivo e di oggettivo, dell'Io assoluto di Fichtiana memoria o dell'epistemologia applicata di Hume, parrebbe senz'altro eccessivo.
ma se, con molta semplicità, il racconto del piatto, del bicchiere, della storia che ci sta dietro, costruisce dei punti comuni tra diverse persone, diversi approcci, diverse esperienze, diversi linguaggi, diverse soggettività, per creare una piccola, numericamente limitata ma significativa "oggettività critica" di quella specifica esperienza, di quel bicchiere, di quel piatto .. beh allora noi umili bloggaroli_raccontatori_appassionati avremmo centrato l'obiettivo più importante: alla cieca o non, in maschera o in borghese, con soggettività o oggettività, l'importante è condividere, al massimo ... contagiare! :))
ps: solo sul blog di Luigi si possono fare discorsi del genere .... :)))
@Fabio Grazie che così "pessimisticamente" mi supporti!
RispondiEliminaIn fondo speravo che al di là dei quttro paroloni che ho usato, venisse fuori un po' il paradosso, e questo in modo ludico e possibilmente divertente (ma per riuscirci forse dovrei esser Umberto Eco!). L'oggettività critica di cui parli è anche per me prezioso riferimento, nonostante l'establishment della critica non ritenga che possa scaturire dalla sinergia di noi piccoli bloggaroli da strapazzo (scrivo in una pausa dal lavoro ;-)).
Quando ho messo giù queste righe ho pensato che potessero star bene su questo blog, che fossero sulla stessa lunghezza d'onda di molte riflessioni che ci propone Luigi.
Volevo parlare dell'eleganza del Cirò, e sono stato contento che un amico mi abbia scritto, dopo i commenti più filosofici, "...quindi, sarei curioso di sapere qualcosa in più su questa "eleganza generale" del Cirò. Cioè, riavvitando ulteriormente il paradosso, vorrei sapere qualcosa di più di questo particolare esempio di generale",
Ecco lo spirito ludico!
Niccolò,
RispondiEliminaio ho ricevuto una mail molto gentile di un lettore che mi ha chiesto dove trovare il Cirò in questione a Torino.
Leggendoti e leggendo i commenti, in particolare il tuo ultimo, devo dire che il contagio operato dalla tua ermeneutica della degustazione è stato profondo al punto di muovere delle persone a ricercare, fisicamente ricercare, il particolare per accordarsi, con un assaggio, con l'universale (il tuo universale, si puo dire?) che tu citi e cercare dei punti condivisibili per la costruzione della categoria "elegante come il Cirò F36 P27 del 08".
L'ho trovato molto prosaico e molto significativo.
Dopodichè la mia preparazione filosofica finisce, sapete sono un archicontadino che talora millanta una cultura posticcia.
Bè, a leggere queste dissertazioni vien da dire che finalmente si esce dai soliti schemi ... quantomeno si "smorza" un pò quell'aurea scientifica che in tanti attribuiscono alla degustazione organolettica ... non ultima quella di http://www.mondosensoriale.it/analisisensoriale.php che nel suo sito esordisce così: "L’analisi sensoriale è una scienza che, grazie all’utilizzo di criteri e metodi dal rigore scientifico, consente di misurare e valutare oggettivamente le caratteristiche di un qualsiasi bene o servizio per mezzo dei sensi. Questi, utilizzati come dei veri e propri strumenti di misura, forniscono risultati accurati e riproducibili che in nessun altro modo potrebbero essere valutati".
RispondiEliminaPer carità cristiana e per poco a disposizione non gli ho copiato/incollato il mio post (quello citato da Niccolò) ma prima o poi che i metodi scientifici sono ben altro qualcuno dovrà pur dirglielo ...
Ciao e buona serata a tutti
Niccolò, non riesco ad esprimermi troppo in breve su quello che ho detto riguardo al senso delle tue idee rappresentative. Vediamo un pò se riesco a concentrarne il senso, con molto rispetto.
RispondiEliminaAnche io non sono per nulla legato alle "recensioni classiche".
Credo che il tuo "originale metodo sensoriale" funzioni più che altro, su prodotti(in generale tutti, non solo vino) di grande personalità e originalità, li rende al meglio. Nella "quotidianità/classicità" degli altri, per me che non riesco a capirne perfettamente i termini, vedo più veritiera un' espressione accomunante di teorie in cui, ripeto, io credo poco o quanto meno mi interessano poco. Con questo t faccio i miei complimenti per la provoca(u)zione(che è, in ogni caso molto cantautoriale) e spero di arrivare, con calma, a sperimentare i risultati delle tue parole fino alla completezza del senso, e magari trovare la mia ragione a riguardo, capendone le differenti sfaccettature che creerebbero altro motivo di sviluppo personale. Cmq, sicuramente un'alternativa alla noia delle solite solfe. Non so dire di più ne altro, purtroppo.
Diciamo che è come una bottiglia, se finisce(se si legge tutto l'articolo), vuol dire che in ogni caso, è buona.
Intanto salute! M.
@Luigi Grazie di avermi riportato di questa mail che è il massimo a cui posso aspirare: suscitare la curiosità, quella attiva, in un lettore. Posso solo dire: bello! bene!
RispondiElimina@Pierpaolo: La cosa bella dei nostri modi di concepire la degustazione è che sono diversissimi, ma hanno gli stessi "nemici". E mai come in questo caso fu appropriato il detto "il nemico del mio nemico è il mio amico" (che la parola nemico sia colta nel senso più pacifista, ma severo del termine;-)).
@Marco: Marco grazie della tua attenzione. Secondo me si può andar avanti con i soliti metodi, che funzionano bene e sono abbastanza elastici da avere tante declinazioni al loro interno. Però come anche ribadisce Pierpaolo nel commento sopra al tuo, basta non dare valore "scientifico" ai risultati che quei metodi portano. Come dici tu, per i vini che non danno emozioni e che non presentano delle forti peculiarità, potremo comunque dare delle descrizioni abbastanza accurate, per i vini più peculiari continueremo a cercare le parole che ci sembra meglio li raccontino. Ma il bello sarà condividere e confrontarsi, senza presunzioni o pregiudizi.
Interessante riflessione, che condivido potrei dire da sempre. Però mi permetto di dire che dobbiamo tenere sempre presente che il vino, ovviamente non industriale, pastorizzato, praticamente morto, è invece qualcosa in continuo mutamento. Pertanto i nostri sforzi soggettivi di essere oggettivi hanno e avranno sempre - grazie a Dio - dei limiti temporali, ambientali, mentali, emotivi.
RispondiEliminaDi fatto la degustazione fine a se stessa serve a poco, al massimo può dare qualche indicazione di massima in quel preciso momento e luogo di come abbiamo percepito quel vino, ma basta che ci spostiamo anche di poche ore, che sia noi che il vino stesso abbiamo subito un mutamento, a volte impercettibile a volte sostanziale. Ed è questo il bello!
Quindi quello che conta è la serenità di non sentirsi "maestri", "educatori" o "portatori di verità", ma piuttosto "comunicatori di mondi in trasformazione" secondo la nostra personale percezione del momento.
Portando al limite il ragionamento, le degustazioni comparative hanno in nuce un errore metodologico, l'evoluzione dei singoli vini che al di là del millesimo (magari uniforme) hanno sicuramente vite diverse l'uno dall'altro.
EliminaQuindi cosa compariamo in queste comparazioni affette da un eccesso di particolarità (nei vini) e di soggettività (nei degustatori)?
Grazie Roberto, le tue riflessioni sono sempre profonde (e non di rado anche un po' sovversive, nel senso migliore). Penso di non dover dimostrare che lo dico senza piaggeria! E spero in parte con questo postico di essere stato un discreto "comunicatore di trasformazione".
RispondiEliminaI vini che amo di più rifuggono dall'essere fissati dalle parole e cambiano anche nel giro di pochi minuti obbligandoti ad abbandonare ogni certezza e a lasciare che le emozioni da loro suscitate diventino protagoniste.
Per dare un esempio penso a un barbacarlo dell'89 bevuto poco tempo fa, che mi è letteralmente "scappato di naso, di bocca e di penna" per imporsi nella sua matericità e nel suo turbine di continuo mutamento nel bicchiere!
urca! Barbacarlo mon amour...
RispondiEliminaa me è successo con il Trebianaz di Vittorio Graziano.