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martedì 4 giugno 2013

Fabio: «Pronto Riccardo, finalmente ho trovato il Pinot Nero di Elisabetta Dalzocchio...» - di Riccardo Avenia

Io«ottimo lavoro Fabio, avverto Luigi (non Fracchia) che domani sera ci troviamo in taverna da me, così lo assaggiamo.»
Fabio: «perfetto, a me domani va benissimo!»
Io«Ho anche una bottiglia interessante con cui argomentare la serata: dai che ci divertiamo!»
Fabio: «bene bene, sono carico. A domani allora. Ciao Rik!»
Io: «grande. A domani Fabio!»

Molte serate di degustazione con gli amici, nascono così. Poi, al Pinot Nero della Dalzocchio ci facevamo il filo da tempo. Così, la sera dopo ci troviamo sul tavolo ben tre bottiglie da assaggiare. 

La prima bottiglia è un Riesling Spätlese Trocken 1999 della "weingut" Robert Weil, proveniente da uno dei tre vigneti storici aziendali: il Kiedricher Gräfenberg, dal particolare terreno roccioso, che caratterizza enormemente il vino esaltandone al massimo la parte minerale. E nel calice la si riconosce davvero.

Dopo l'apertura, anche se il tappo si è letteralmente sbriciolato, il vino non ha subito danni: sembra invece un giovanotto vestito d'oro, caratterizzato da un mix tra la parte minerale e quella agrumata, in grande equilibrio tra di loro. La riconoscibile nota idrocarburica non è per niente sovrastante, né invadente, semplicemente elegante. Ananas, erbe aromatiche, sensazioni mielose e di frutta a pasta gialla, tutto in crescere, mai espolsivo, la sua caratteristica è la finezza. Il sorso è avvolgente, glicerico, agrumato, delineato dalla spiccata nota sapida, che in bocca viene quasi tannica. Un vino diretto, lungo, con ritorni salini e dalla beva sfrenata che, vista la tipologia, non è per niente cosa scontata. Insomma un Riesling tedesco del 1999 in grande forma, veramente da applausi.


La serata entra nel vivo - anche se siamo partiti davvero bene - con il Pinot Nero 2009 di Elisabetta Dalzocchio, vino grazie al quale è nato l'incontro. Siamo a Rovereto (TN), l'azienda lavora a regime biologico certificato dal 2001 e fa parte del gruppo de "i Dolomitici". In cantina (come in vigna) chiaramente, non si effettua nessun tipo di intervento da parte della chimica.

Quello che però mi ha colpito di questa vinificazione, è che la fermentazione viene in parte effettuata a contatto con i raspi, che principalmente cedono tannini, spesso amarognoli. In Francia, soprattutto in Borgogna, c'è un chiaro ritorno a questo sistema. Probabilmente anche il cambiamento climatico influisce, ed il Pinot nero, povero di tannini, ne trae giovamento. Perché oltre a creare astringenza, i tannini - che fanno parte del grande mondo dei polifenoli - in piccola parte cedono colore, profumi, creano struttura, proteggono ed aiutano a preservare il vino negli anni. Assieme a tutte le altre sostanze presenti nel mosto, s'intende. Un ampio discorso che merita di essere approfondito.

Nel calice, il vitigno è sì, chiaramente riconoscibile, ma non lo si percepisce mai banale. I descrittori sono svariati: ci si ritrova il frutto nero dolce ed acidulo tipico del bosco, la prugna, le erbe aromatiche e le spezie dolci. Diritto, mai severo. Un vino a doppio filo: da una parte ha morbidezza ed avvolgenza - merito anche dei piccoli legni di affinamento - dall'altra una chiara austerità, una bellissima verticalità sensoriale e gustativa che sfuma nell'amarognolo (sono queste, le sensazioni che mi hanno fatto riflettere sulla fermentazione a contatto con i raspi) che rende snello, appagante ma allo stesso tempo ruvido il sorso. Di una bevibilità pericolosa. Intenso, intrigante, in seconda battuta il naso è colpito da sbuffi balsamici, tabacco dolce, qualcosa di affumicato/ammandorlato e liquirizia. A chiudere il cerchio, nette sensazioni di cuoio e pelliccia. Fantastico ora, al meglio tra 5 anni. Un vino da avere assolutamente.


Il terzo vino: il Pinot Nero 2008 (tappo di sughero) di Unterortl - Castel Juval, Naturno (BZ), proviene da viticoltura eroica: le vigne sono realmente ripide e raggiungono un'altezza di 850 m.s.l. con ventilazione costante ed esposizione ottima, prevalentemente a sud. In cantina pertanto le uve arrivano sane e gli interventi sono ridotti al minimo.

Di color granato, dalla trasparenza che ammalia. Al naso gioca sul sottile: meno esplosivo, meno di impatto, il suo valore aggiunto è l'eleganza, la linearità olfattiva e quella del sorso. L'evoluzione sembra però accentuata: avrei pensato almeno ad un 2007. Il bicchiere racconta di agrumi secchi, di erbe officinali, di tabacco, di balsamicità - c'è qualcosa che mi ricorda la Valtellina in tutto questo: che siano le similitudini riconducibili all'altitudine, all'esposizione o al suolo prevalentemente roccioso? - solo dopo viene il frutto, qui simile alla fragolina del bosco. Se il Pinot nero della Dalzocchio aveva beva pericolosa, questo ne ha ancora di più: il sorso è lineare, equilibratissimo, calibrato e snello, con meno materia, ma tanta eleganza. Non lo trovo poi distante dal fratello Trentino. Applausi!

Fabio: «e adesso cosa sentiamo? Non andremo mica a casa?»
Io«ragazzi, il quarto vino non lo aprirei, sarebbe sicuramente una delusione. Capita poche volte di bere a questi livelli, a questi prezzi, in un unica serata. Meglio andare a casa con queste belle esperienze.»

20 commenti:

  1. Ric a riguardo della macerazione sui raspi che fa abitualmente Pacalet sui sui vini e anche, sebbene in proporzioni minori Rateau, entrambe sostengono che ne trae giovamento anche il profilo aromatico e sopratutto la massa essendo più inerte tende ad evitare in maniera naturale gli aumenti incontrollati delle temperature e le fermentazioni sono più lunghe e meno tumultuose ma come dici tu c'è molto da capire e scoprire a riguardo.

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    1. Che il profilo aromatico ne tragga giovamento, ne ho la certezza. Pochi giorni prima di aver sentito il Pinot della Dalzocchio, ho assaggiato il Cabernet Sauvignon di Le Moing, (presto ne scriverò) dove la macerazione sui raspi è nettamente avvertibile ed i profumi che ne conseguono, ben riconoscibili e riconducibili. È però all'assaggio che mi ha stupito ed esaltato: è come il suono ruvido e preciso della chitarra di The Mirror dei Dream Theater (canzone forse troppo tecnica per essere equiparata a Le Moing. Ma se sentirete l'attacco di chitarra, capirete), grandioso. Anche nel Pinot della Dalzocchio ho avvertito, sebbene a livelli nettamente inferiori, queste sensazioni.
      Certo, sono 2 vitigni nettamente diversi in zone differenti e probabilmente (di fondamentale importanza) su terreni di composizione differenti. Il Pinot nero tra l'altro, come vitigno, è meno ricco di tannini e pigmenti.
      Sarebbe bello a questo punto, un intervento di qualcuno che abbia esperienza pratica di vinificazione con i raspi, per capire se a livello fermentativo oltre a cedere sostanze, possano realmente proteggere il fermentato naturalmente, quindi essere di aiuto nelle vinificazioni spontanee e non controllate.

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    2. Non sono la persona che cerchi tu, Riccardo, ma posso confermare che, in Borgogna, la tradizione vuole cosi.
      Loro hanno sempre usato il legno per l'affinamento, ma non usavano certo i lieviti selezionati.
      Col tempo, l'avvento della tecnologia e la richiesta di vini più pronti, si è iniziato a toglirli.
      Alcuni produttori di tradizione li hanno sempre usati, magari in parte, e altri stanno tornando ad usarli.
      Il vino che ne risulta richiede più tempo di affinamento.
      Un tempo, un buon Borgogna, si doveva lasciare il cantina un minimo di 10 anni almeno, 15-20 per i Gran Cru.

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    3. Nic: magari, sarebbe un grande onore avere in questo spazio Antonuzzi di Le Coste!

      Daniele: grazie per l'intervento interessante, anche perché hai molta più esperienza di me per quello che riguarda la Borgogna. Noi però parlavamo di vinificazione sui raspi a prescindere dal contenitore di vinificazione e/o affinamento. :-)

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  2. Il Pinot Nero di Dalzocchio 2009 è il mio vino dell'anno!

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    1. Devo dire che per quello che riguarda il Pinot nero italiano - seppure un piccolo ricordo di Borgogna in questa bottiglia l'ho avvertito - anche per me questo è stato il vino dell'anno.
      Grazie per il commento Nic.

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  3. Serata memorabile ed indimenticabile! Devo dire che il Pinot Nero della Dalzocchio non è per nulla un vino scontato. Hai giustamente sottolineato la sua austerità, ed aggiungerei che la cosa che ha mi stupito di più è anche la sua spiccata mineralità,azzarderei quasi di grafite, che in fondo credo sia la cosa che lo rende maggiormente affascinante. Un vino che evolverà al meglio fra qualche anno senza dubbi...
    Insomma Riccardo una gran bella scoperta!!!

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    1. Hai ragione Fabio, riguardando gli appunti è chiaramente sottolineata la spiccata mineralità del vino. Sarebbe da aggiungere alle note gustative del post. Probabilmente nello scrivere il post, mi sono concentrato troppo sulle questione dei raspi.
      Grazie per l'ottimo contributo, tra l'altro, il bar è sempre aperto. Anche la taverna ;-)

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    2. Credo approfitterò di entrambe :D

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  4. Ric,
    io acquistai tempo fa (2006) direttamente da loro il Pinot di Juval e non so se per questioni di conservazione o che cosa sia, è stato uno dei vini che più mi ha "deluso", ne ho ancora qualche bottiglia proverò a riassaggiarlo.

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  5. Luigi, ricordi di che anno è il Pinot nero di Juval che hai comprato e se aveva il tappo i sughero o a vite. Non ne sono certo, ma penso che ora usi, su tutti i suoi vini, esclusivamente il tappo a vite.
    Io, ho un altra bottiglia di 2008, magari si improvvisa una piccola verticale.

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  6. Dalzocchio ci giurerei che ha ottime capacità di evoluzioni, saranno i raspi, sarà l'approccio naturale in vigna e cantina, saranno i 2ha baciati da Dio ma è un vino che mi piace oggi e mi piacerà a bomba tra 2/3/7 anni, perché è succoso e austero, scontroso e complesso, piacevole e sfaccettato.
    (http://grappolospargoloo.spazioblog.it/183572/Bevo%2C+godo+ma+ne+voglio+ancora%21%21%21.html)

    Castel Juval non né ho bevuto mai versioni troppo vecchie perché ha una piacevolezza e fragranza, a mio parere, che poco si presta a lunghi invecchiamenti, è bono e a prezzi ancora umani fin da subito e per massimo 3 anni, non è un vino prodotto per durare nel tempo e il tappo a vite, se non penso a Riesling teutonici, mi fa pensare a un vino da godere presto e al meglio delle sue possibilità perché fa del frutto acidulo, del delicato tannino e della bevibilità dissetante la sua enorme forza.

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    1. Claudio, siamo pienamente d'accordo sul Pinot nero di Elisabetta Dalzocchio. Corro a leggere il tuo post.
      Per quello che riguarda Castel Juval, non mi trovo d'accordo. Ti assicuro che quello del post aveva ancora davanti tutto il meglio dell'evoluzione del vitigno. Certo, è un vino snello e beverino - che si potrebbe avvicinare a quello di Ferruccio Carlotto - non per questo poco longevo. Un po' come scrive Daniele sotto.
      La certezza, è che sono entrambi molto buoni.
      Grazie per essere passato.

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  7. Non sono molto d'accordo sulla scarsa propensione all'invecchiamento di Castel Juval. Come scrissi qui http://profumidivino.blogspot.com/2012/05/alto-adige-doc-blauburgunder-castel.html è un vino caratterizzato da una grande acidità, che da poco spazio alle morbidezze.
    Dipende molto anche dall'annata.
    Negli ultimi anni si è ulteriormente assottigliato,stilizzato, forse a causa delle barrique che sono sempre più usate e cedono meno sostanza.
    Se non ricordo male, infatti, il legno era più percepibile alcuni anni fa.
    Se non erro, ma verificherò quest'estate, il tappo a vite viene utilizzato per i bianchi e per il rosso base Gneiss.
    Sul Blauburgunder ha fatto delle prove, ma non è rimasto contento dei risultati.
    A me è capitato di vedere bottiglie col tappo a vite, e anche di assaggiarlo, ma non mi risulta che lo abbia commercializzato.
    Tutto questo con beneficio di inventario, naturalmente.

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    1. Daniele, il dubbio del tappo a vite/sughero me l'ha messo il buon Armin Kobler commentando la foto del Pinot nero di Juval su Facebook. Se non ho capito male, dal prossimo imbottigliamento il tappo in sughero non lo userà più. Prendi però con il beneficio del dubbio anche questo.
      Vado a rileggere il tuo post, così ho un metro di paragone tra i nostri assaggi.
      Grazie.

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  8. Scusate, dimenticavo una cosa.
    Per quanto riguarda l'evoluzione, probabilmente gioca un ruolo importante la conservazione.
    Il vino che conosco io è passato direttamente dalla cantina di Aurich alla mia, dove lo conservo ad una temperatura costante di 12°C.
    Le bottiglie che girano in enoteca potrebbero avere subito una conservazione non ottimale.
    Sono convinto che sia un vino abbastanza delicato, poco più robusto di un bianco, in quanto non c'è una grande sostanza.
    Poi non penso che faccia macerazione con i raspi.
    Saluti.

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  9. Anche quello degustato nel post, è passato dalla cantina del Produttore alla mia. Quindi penso di averlo conservato al meglio.

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  10. Ragazzi (Riccardo/Daniela),
    cercherò di trovare e provare qualche PN Castel Juval maggiormente datato per darvi certa conferma, la mia deduzione in parte da voi confermata deriva dalla bellissima freschezza e bevibilità del vino ma da un corpo spesso esile e di grande eleganza che non so quanto, nonostante quelle acidità, riuscirà a evolversi aumentando in complessità senza denigrare troppo.

    Comunque in cantina un pò di bocce di Dalzocchio le ho, devo rimediare con Castel Juval...;-)

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    1. Claudio, facci poi sapere il tuo parere, siamo sempre molto curiosi ed interessati ad ogni pensiero.
      Che dal "bar" veniamo a trovarti al "circolo" ;-)
      Grazie ancora.

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