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giovedì 26 marzo 2015

In una notte di temporale e di mare mosso, Rucantù, Selvadolce.

di Vittorio Rusinà

Ruca Antù in lingua mapuche significa "Casa del Sole", era il nome che nonna Martita aveva dato alla casa di Selvadolce, è il nome scelto da Aris Blancardi per il suo Pigato.
Il vino giusto in una sera dove il buio incombe sul mare mosso, piove e fa vento, cerco calore, cibo e vino vero su a Bordighera Vecchia, all'Osteria Magiargè.
Cappon magro, grigliatina di funghi, carciofi e gamberetti di Sanremo, pesce selvatico (sarago), grande cucina, grande cortesia.
Verso il vino, ascolto i profumi e scrivo: rosa tea, mimosa, fieno, pesce affumicato, tabacco, olive, salamoia, pelargono, pepe, salmastro, erba secca, alloro.
Un vino con una vita impressionante, si muove e danza all'aria, mi abbraccia, mi lascia e torna a stringermi, mi stupisce l'equilibrio della materia alcolica, la digeribilità.
Grandissimo vino, vino raro, sicuramente fra i migliori vini bianchi che abbia mai bevuto.
In carta al Magiargè a 33 euro, il 2010. 




Tenuta Selvadolce, via Selvadolce 14, Bordighera (IM)
Osteria Magiargè, piazza Giacomo Viale 1, Bordighera (IM)

mercoledì 25 marzo 2015

dhertona valli unite

Derthona Valli Unite
Ossia:
della insopportabile solitudine affollata del pranzo cittadino.
(rumorosa folla di solitudini affastellate spalla a spalla)
Arriva questo timorasso di Valli Unite, una novità per me
Ed è
Un poco anomalo
Salato e officinale
Di finocchietto e alloro e altre spezie a me sconosciute
Vegetale nel senso letterale del termine, ossia che ricorda il sapore dei vegetali.
Non c’è il potente e talora ossessivo idrocarburo e il fondo dolce dell’alcol e della glicerina.
E sono solo in mezzo alla gente e roteano pezzi di frasi rubate insieme al vino nel bicchiere.
Il vino dribbla i miei pensieri e si ripresenta lì, snello e quasi watery
Scivola veloce come una goccia di pioggia dalla grondaia
E io bevo
E ascolto
E non riesco ad annullarmi nelle solitudini che mi stanno intorno e affollano il mio pasto
Luigi


lunedì 23 marzo 2015

Shepherd Neame India Pale Ale : Poca hipsterya e molta sostanza



Ogni tanto fa  piacere farsi una passeggiata al di fuori del ”solco modernista” che domina, nel bene e nel male, il mondo della birra contemporane caratterizzato da Beer Raters, ingredienti inusuali, luppolature estreme e acidità indotte (a non di rado artificiali). Così che trovare nella selezione di bottiglie di un pub, un grande classico come la India Pale Ale di ShepherdNeame, ti da un punto di approdo sicuro, una volta nel bicchiere sai che quella birra ti riporterà in quei territori caldi che avevi un messo da parte, un pò come entrare un un pub tutto in legno e col caminetto acceso, ecco, la sensazione è quella. D'un tratto  il “vecchio” ti appare nuovo e, sorpesa, anche più interessante in quanto risulta essere meno monocromatico di quello a cui sei abituato.
 Shepherd Neame è il birrificio più antico del Regno Unito, la sua fondazione risale a fine 1600 ed è situato nel Kent, cuore della produzione di luppolo inglese, alcuni lamentano un declino  nella qualità della produzione risalente a fine anni ottanta, si mormora sul web di lieviti “ripuliti” che hanno perso  la nota caratteristica di cui disponevano ma  la casa madre non sembra essersi espressa in merito.
Ad ogni modo nel bicchiere questa IPA si presenta ambrata, piuttosto limpida e con un cappello di schiuma ocra, fine ma poco persistente. Al naso è tutto un gioco di contrasto tra tofee, biscotto e il luppolo inglese con le sue note tipicamente speziate,  floreali e che riconducono alla marmellata d’arancia.
In bocca la carbonazione è medio bassa, il corpo risulta scorrevole e  si ripropongono  le note tipiche delle ales inglesi, anche qui tofee, un leggero miele a cui fa da accompagnamento un agrumato elegante ed un amaro erbaceo che bilancia il tutto. Il finale risulta persistente, agrumato e spicy.
Ottima birra da bere a tavola oppure in compagnia, che rientra alla perfezione nei canoni delle India Pale Ale di tradizione anglosassone caratterizzate da un accento maggiormente alcolico e amaro rispetto alle pale ale convezionali (bitter, premium e ESB) ma sempre centrate nel carattere nazionale inglese. Elegante, fiero e a tratti austero. [deLa]


venerdì 20 marzo 2015

Il Grignolino 2013 di Francesco Brezza

di Vittorio Rusinà


Vigne con radici lunghissime,
terra fino alla pietra,
fino al mondo minerale,
sottigliezza, frutto e poi aereo,
aria delle foglie,
leggerissimo vegetale vivo,
eterno come l'essenza che lo vive
e che passa in me,
meraviglioso, 
Nic aveva ragione,
anche il giorno dopo.

lunedì 16 marzo 2015

Mangiari di casa: I cappelletti della Mamma



di Cristian Quarantelli              



Eh si… cosa c’è di più corroborante, di più appagante, di più… qualsiasi cosa… che un bel piatto di Cappelletti aka Anolini aka Galleggianti aka Caplèt aka Anolén in brodo rigorosamente di manzo e cappone??? Credo proprio nulla!!!!






Metti una sfoglia di semola di grano duro e uova  (ogni etto un ovetto! N.d.M.) , ripiena di due o tre tipi di Parmigiano Reggiano di invecchiamento diverso e/o diversi caseifici, solitamente 24/36 mesi e quando lo si trova pure un 48 e pane grattugiato ammorbidito con un po’ di brodo (ogni due scodelle ABBONDANTI di Formaggio una di pane! N.d.M.),  un cucchiaio di triplo concentrato, uno o due uova e il gioco è fatto!
(Mi raccomando il ripieno si deve sgranare, non deve essere troppo molle! N.d.M.)





Io li ho abbinati ad una Znestra di Crocizia aka Marco Rizzardi, binomio Perfetto!
Cappelletti finiti, bottiglia finita!

A presto!
Cristian



N.d.M. – Nota della Mamma

martedì 10 marzo 2015

Metti una sera per caso al Tabarro....

di Cristian Quarantelli

Ieri sera per caso al Tabarro ho scoperto tre vini fantastici grazie ai consigli dell'oste, persona squisita ma di cui ora mi sfugge il nome e per questo chiedo scusa, sempre gentile e disponibile pronto a farti assaggiare qualsiasi vino prima di farti scegliere il preferito. Il grande Diego ieri sera non era presente.

Il primo vino, un Syrah di Aldo Viola, di Alcamo... il vino che non ti aspetti... boom... la freschezza e l'eleganza del rodano e i profumi della macchia... il tutto fa da sfondo a una beva incredibile. Bellissima scoperta.


Il secondo vino un Corbières bianco a base grenache gris principalmente e un pò di grenache blanc di Maxime Magnon, un piccolo produttore della Languedoc. Questo 2013 è un vino da dimenticarsi in cantina, grandissima acidita, sorso pieno ma dritto come una lama.. i dodici mesi nel legno si sentono e si devono amalgare ma gia ora è un bicchiere di grande soddisfazione. La cosa che mi ha colpito particolarmente è il colore verde e limpidissimo del vino.



Infine l'ultimo vino, il più estremo, un vino che definirei "La Bella e la Bestia"... Il Roc di Domaine Vinci, dall'estremo sud della Francia a due passi dai Pirenei. Grenache e Carignan senza solfiti aggiunti... al naso ruggisce in bocca accarezza. Un vino sul filo del rasoio tra la bestialità dei profumi e l'eleganza e la ricchezza della bocca.
Assolutamente da vedere le foto sul loro sito http://www.domainevinci.com/




Insomma tre vini vivi, tre belle scoperte da approfondire.
A presto!
Cristian

TABARRO 
Mescita e dispensa - Posto di ristoro
Strada Farini 5/b - 43100 Parma
 




lunedì 9 marzo 2015

Barcellona enopark

Di Niccolò Desenzani




Un fine settimana a Barcellona. Il biglietto è un dono di un amico, per i suoi 40 anni, a noi suoi irriducibili compari di vita. Vite sparse qua e là, ricongiunte per una manciata di ore in quella città disomogenea e polimorfica; distesa di quartieri e stili e urbanistiche le più varie, accomodate in una mezza bacinella dai bordi i più irregolari, aperta verso il mare.
E io so, colla certezza dell’appassionato di vino googlomane, che siamo in una culla del vino naturale. Che fra chi ha seriamente raccolto il testimone di questo movimento ci sono i catalani; gente come Laureano Serres, che persino ha inventato una fiera dedicata, nello stile di quelle francesi: H2O Vegetal: un nome un programma.
Una città, Barca, dove è nata l’enoteca l’Anima del Vì, già da anni nelle nostre conversazioni qui al bar. Dove un blog dallo splendido nome “Adictos a la lujuria” racconta questo fermento enoico in terra iberica. Dove da almeno un paio d’anni hanno aperto locali completamente dedicati al vino naturale, approfittando di una vicinanza, evidentemente anche fiscale, con i cugini francesi.
E così nel turbine del sabato di camminamenti infiniti in lungo e in largo, di ritorno dalla spiaggia cittadina, andiamo con due amici a prender qualche bottiglia. Poco dopo siamo a l’Anima del vì (dove avevamo bevuto un Verre des Poètes in chiusura la notte prima) seduti ad assaggiare qualunque vino o OVNI che sia a tiro. Assaggiamo sei vini di cui non pochi hanno pazze derive batteriche, ma ognuno è un frammento di racconto che mi succhio con avida sete di conoscenza. In particolare il bianco macerato da uve albillo Lovamor di Alfredo Maestro è un coup de coeur.
Usciamo adrenalinici con qualche bottiglia, diretti verso casa.
Ma a poche decine di metri c’è il bar Brutal - Can Cisa, apparentemente l’unione di due locali con aperture sui due fronti dello stesso edificio. Mi ricorda il Bancogiro di Venezia.
Scatta un secondo aperitivo. E qui l’incontro scintilla con Nuria: argentina, con un passaggio in Italia e acquisizione della lingua, e poi lì a mescere vini con una passione così furiosa, che mi sono visto trasposto in lei. Dagli assaggi che ci propone, si desume il fil rouge che corre fra Italia Francia e Spagna, che diventano pezzi del puzzle del vino naturale europeo. L’ebbrezza di viaggiare con il gusto a velocità sinaptiche fra luoghi geograficamente distanti!
In gran forma i vini di Partida Creus, che per ironia furono fra gli assaggi a vignaioli di San Giovanni l’estate scorsa a Monticelli d’Ongina. Declino un assaggio di Filagnotti 2006, che Nuria dice in grandissimo spolvero. Ma io voglio cose che non conosco.
Alla fine apre una bottiglia di tempranillo da vigne giovani, solo acciaio, di Laureano Serres Montagut, mia grande passione già fra le pagine di questo blog. Un vino spaziale. Nitido, goloso, divertente. La bottiglia finisce inesorabilmente. Lascio pezzi di me stesso fra gli scaffali del bar Brutal. E Nuria, cavolo, che persona!
Non finisce qui. Né la serata, né la vacanza enoica.




Ci ricongiungiamo col resto della compagnia diretti, dopo una sosta tecnica a casa, verso the big dinner, la cena del compleanno. Ci hanno consigliato proprio al Bar Brutal di andare da Els Pescadors.
Il ristorante è l'unica attività commerciale in una piccola piazzetta di periferia con tre grandi ombù, che sembra di essere su qualche isoletta del mediterraneo. Lo stile del ristorante è piacevolmente famigliare, con qualcosa della vecchia osteria e tocchi tra New York e Parigi; il servizio molto curato. Menù di pesce, con ricette arricchite di condimenti particolari, che fanno un po' lo stile della cucina. Un’ampia selezione di piatti a base di baccalà e qualche pescato ben cucinato.
Dopo un non brevissimo confronto col cameriere, decido di farmi ispirare dalle sue proposte, ricercate e intriganti. Così assaggiamo un metodo ancestrale non dosato (forse addirittura senza sboccatura) a base Xarel-lo del 2008 di Vega de Ribes, che oscilla fra qualche accenno di grassezza su un corpo di buona acidità e derive ossidative. Chiaramente una chicca. Colpiscono la complessità e la ricchezza delle sfumature.
Durante la cena, in questo stile un po’ magro, mi ha colpito una bottiglia di carinyena blanca da viti novanenni, parte di esperimenti di microvinificazione con uve autoctone de La Vinyeta; davvero ai confini del mondo enoico (una di circa 500 bt).
Ancora da segnalare vini bevuti qua e la che mi hanno colpito molto:
un bicchiere di Flow 2013, SEA (Sota els Angels) natural, Blanc de noir (uve carignan), che ha accompagnato mezzo buonissimo hamburger al bistrot del ristorante Monvìnic, posto piacevolissimo.
Un buon base garnatxa, con samsò e syrah, L’Heravi 2013 di Vinyes d’en Gabriel, semplice e corretto da Mam i Teca, microscopico ristò tra i primissimi della città a proporre solo km 0 e presidi slowfood. Sempre da loro mi è piaciuto parecchio un Bri de Monroig 2012 di Serrat de Monsoriu, a base pinot nero 80% con saldo di mencia: q/p superissima.
Devo dire che il piglio di questa vacanza non era per nulla da degustazioni tecniche e ho bevuto sempre in grande compagnia, valutando i vini in modo super sintetico. Rimane però incredibile l’offerta da esplorare, spesso a km quasi zero. Si può proprio dire che fra gli infiniti percorsi trasversali nella città, quello col naso nel bicchiere (fra un boccone e un altro) sia un vero luna park.
Bonus drink: bottiglia di granaccia bianca di Laureano Serres, bevuta a canna fuori dall’aeroporto prima di ripartire (solo bagagli a mano)!

Un ringraziamento gigante a Joan Gomez Pallarès di cui ho seguito tantissimi consigli.




venerdì 6 marzo 2015

Si-Vu-Plé, la Francia a Torino

di Vittorio Rusinà

Si-Vu-Plé è la Francia a Torino.
Una vecchia carta gastronomica.
Le fessure della porta d'ingresso che lasciano passare l'aria fredda dell'inverno.
La musica delle canzoni d'amore di oltreconfine.
L'accento affascinante di Lauren.
I formaggi, il burro che non ha eguali in Italia, la gelatina di mele, il pane scuro, il patè di anatra e il sidro.
C'è un'atmosfera che non vorresti mai lasciare.





Si-Vu-Plé, Via Berthollet 11, Torino