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venerdì 31 gennaio 2014

Arturo di Lanzeria 2008, perricone, Guccione


Arturo di Lanzeria
Chi era costui?
Cercherò su Google, nel frattempo tento di spiegare che il mio personalissimo Arturo di Lanzeria era un Perricone 2008 di Francesco Guccione.
Francesco in questi giorni sta riproponendo i suoi vini ed io mi sono scialato un suo catarratto 2012 (credo perché in etichetta non c’è nulla), il passo di questi vini ottenuti senza scelte vendemmiali, senza le “riserve” è comunque schioppettante e in linea con i suoi vini ante fattacio (quelli sino al 2009/2010 se non erro) freschi e polputi, venati di quella grassezza mediterranea mai pesante.
Non ricordavo i rossi di Francesco, ormai erano anni che non li bevevo e mi ero dimenticato della loro leggerezza, rarità in Sicilia.
Lieve ma intenso come i profumi di incenso che escono dalla sacrestia.
Lieve amaritudini del tannino che non infastidiscono e smagrano il corpo speziato del perricone.
Fresco.
Tre anni fa Niccolò Desenzani lo descriveva così:
“Vino suadente, di botte aromatica e ammaliatrice. La materia è sicuramente buona, e la botte pure. Godurioso, ma forse infine un filo troppo ruffiano. E si perde un po' il filo rigoroso dell'uva.”
Credo che oggi l’uva e Contrada Cerasa abbiano avuto la meglio sulla botte.
Kempè

Luigi


Ps
Ho guggolato un po’ e di Arturo di Lanzeria, in carne ed ossa, sempre che sia esistito, non ne ho trovato traccia, chi eri?


giovedì 30 gennaio 2014

Terre Basaltiche Brut, Trento Doc, Maso Bergamini


Blanc de Blancs di un produttore che sa il fatto suo, il Pinot Nero durante gli assaggi se la cavava assai bene in parallelo con la Borgogna, i bianchi a base riesling e gewurztraminer sono molto interessanti e assai poco caricaturali.
Le premesse c’erano tutte.
Infatti è arrivata la conferma, questo Blanc de Blancs a base chardonnay è pochissimo dosato a dispetto della dicitura Brut e attacca subito con una lama acido/sapida molto accattivante.
Poi ci ripensa e si ricorda di essere italiano e mediterraneo, quindi si allarga leggermente cremoso sia pure in un costrutto molto fresco e minerale.
Una beva che a me piace descrivere come orizzontale e goduriosa, ricco e salato con sentori di tamarindo e agrumi.
E’ il primo metodo classico della cantina, se il primo è così i prossimi?
Vino da beva compulsiva.
Kempè

Luigi



mercoledì 29 gennaio 2014

Chianti classico Caparsino Riserva 2006 - Caparsa

di Riccardo Avenia

Ogni volta che stappo un vino di Paolo Cianferoni, ritorno mentalmente alla splendida giornata trascorsa in cantina da lui. Ho un ricordo fantastico del territorio di Radda in Chianti, nel cuore del Chianti Classico: le montagne dolci, gli immensi boschi ed i vigneti disposti a macchie ordinate. C'è poca agricoltura intensiva qui, sembra di tornare indietro di alcuni decenni. Ma soprattutto ho ancora in testa il suono della campagna, degli uccelli, del vento e delle poche foglie che ancora cercavano di rimanere ancorate alla vitae. E noi intrusi, a romperne l'armonia. Ricordo l'energia e l'entusiasmo di Paolo mentre ci raccontava la sua terra, le sue vigne e le sue ideologie. Mi è bastato questo per capire in quale realtà agricola mi trovavo e quale vino sarei andato a bere.




Certificato biologico da anni (prima di molti in zona), si approccia all'agricoltura in modo artigianale, con pieno rispetto delle lavorazioni e della storica tradizione vitivinicola locale. Niente chimica in vigna, nessuna alchimia in cantina. Coltiva esclusivamente vitigni autoctoni. In questo caso: Sangiovese per il 95%, Canaiolo, Colorino e Malvasia nera per il restante 5%. Fermentazioni spontanee in cemento, nessuna filtrazione, ed un adeguato affinamento in legni di diverso formato. Vini autentici, longevi, da aspettare.

"il Chiantino nobile contadino di Caparsino cultore del buon vino!"


Il Chianti Classico Caparsino 2006 ha un colore scuro, rubino in unghia. Dopo avergli dato il tempo di aprirsi, si mostra prevalentemente sulle note più evolute della tipologia: frutta in confettura, chiodi di garofano, alcune spezie, un accenno tartufato, fungino, alcune erbe aromatiche e quel singolare profumo fresco-verde. Chiantigiano al cento per cento. Eleganza, pulizia, tipicità. Si apre ulteriormente - bello seguirne l'evoluzione - con il tabacco dolce, la china ed il rabarbaro. E la soddisfazione viaggia ad alti livelli.

Il sorso ti avvolge tra sapidità ed un tannino ancora penetrante e, allo stesso tempo, necessario. Ha comunque equilibrio, gusto, piacevolezza e una certa rotondità. Mai scomposto, un vino di carattere deciso, sincero, di beva schietta e compulsiva. Mi piacerebbe sentirne l'evoluzione tra 5 anni, probabilmente solo allora raggiungerà il suo apice.

Come scrivevo sopra, questo calice ti catapulta direttamente sulle alte colline di Radda in Chianti. Un vino rappresentativo. Io lo metto nello scaffale dei vini della vita.


Il giorno dopo, a sommarsi sono profumi generalmente vegetali, balsamici, di caffè e lievemente cioccolatosi. Il sorso si distende ulteriormente, risultando di un'avvolgente carezza setosa.

martedì 28 gennaio 2014

REBUS

di Mauro Cecchi


( 4  4  8 )   
Soluzione in fondo



Pochi giorni fa parlavo con un amico ritrovato col quale ho condiviso bei momenti e bevute formative.
Gli esternavo il mio disappunto verso quei bevitori che buttando il naso in un calice di vino cominciano ad elencarti innumerevoli profumi e tu rimani li con quella faccia da forrest gump e fingi e annuisci ma in realtà quel sentore di scoglio bagnato proprio non riesci a sentirlo.

Per farla breve.
Sostengo che queste persone dai lunghi nasi forse la raccontano un po’ troppo, anche a se stessi. *
 
Quindi come la mettiamo con quello che è balzato fuori dal bicchiere appena ho versato questo rosso  ?!?
  
Bosco di pini con i suoi aghi e le resine, muschio, ginepro e poi cipria, cioccolato bianco e qualche nota di legno dolce qua e là
Ehm...  posso avere l'ultima sigaretta..?? 

Colore tra il rosso scuro e il viola.
In bocca parte appena nervoso, però e polposo e balsamico.
Col passare dei minuti e qualche giro di bicchiere si distende setoso e profondo con un finale fresco che  persiste a lungo.   
 
Insomma un rosso ricco e da vitigno insolito** che mi ha sorpreso e convinto, figlio della mente diabolica di un grande vignaiolo conosciuto (troppo poco) più per le bollicine che per i rossi.
Grandi rossi.



Soluzione:

( 4 4 8 )  Rebo Casa Caterina




Casa Caterina di Aurelio ed Emilio Del Bono - Monticelli Brusati, Franciacorta.
Rebo 100% 
Annata 2007
Bottiglia n.131 di 500



*
In verità la mia è tutta invidia

**
“ Il vitigno Rebo prende il nome da Rebo Rigotti (1891-1971), ricercatore presso la Stazione sperimentale di San Michele all'Adige (TN), che realizzò questo incrocio attorno al 1920, con l'intenzione di trovare un sostituto per il Merlot da utilizzare nelle aree meno vocate. Il vitigno Rebo è catalogato come Incrocio Rigotti 107-3 (Merlot x Teroldego). Si è ottenuto un vitigno capace di dare vini dalla fragranza dell'autoctono Marzemino ma supportate dalla struttura del Merlot. Il Rebo ha trovato diffusione non solo in trentino, tuttavia l'unica DOC che lo riconosce è la Trentino DOC.”

Fonte:  http://www.quattrocalici.it/vitigni/rebo

lunedì 27 gennaio 2014

E' ora di cambiare l'olio!


Qualche giorno fa entro a pranzo in una tipica trattoria torinese, molta gente ai tavoli, con gli amici ordiniamo piatti che richiedono condimenti aggiuntivi, veloce il cameriere ci porta una bottiglietta di olio, leggo l'etichetta e quasi svengo, c'è scritto olio di oliva, badate bene olio di oliva, non olio extravergine di oliva. E' possibile trovare un condimento del genere in una trattoria che è anche presente nelle varie guide cittadine, è possibile che il pepe non abbia nessun gusto, che il pane sia pessimo? La ristorazione e la critica gastronomica devono mostrare più attenzione a quelli che sono i prodotti fondamentali della nostra tradizione culinaria, mettere in risalto chi fa ricerca e sceglie la qualità (non la qualità fantascientifica) non possiamo tradire le nostre tradizioni, non possiamo proporre prodotti degni di una ristorazione fast-food industriale e lasciare che fuori dai locali ci sia scritto trattoria, osteria o ristorante. E' dovere di chi scrive di cibo segnalare chi da valore all'alimentazione e ignorare chi non lo fa, è ora di cambiare registro, scrivere un post, un articolo o una guida non è solo riempire delle pagine.


Vincent Van Gogh, Intérieur d'un restaurant, Paris 1887

sabato 25 gennaio 2014

#occupycrocizia


Il blog, il produttore, il vino e le tecniche di guerriglia
Oggi la redazione del blog si trasferisce nei suoi otto undicesimi da Marco Rizzardi alias Crocizia.
Per una occupazione pacifica e temporanea del territorio e della azienda agricola.
E’ nata come gioco, come escamotage per giustificare in famiglia la fuga dalla città e per gozzovigliare tra amici.
Poi con un processo che da empatico/emozionale è diventato analitico e razionale, abbiamo intuito che questa invasione potrebbe essere un processo di apprendimento, di conoscenza, di condivisione.
Potrebbe diventare un modello da riproporre con altri produttori, in altri luoghi, una tecnica di guerriglia informativa.
Intrecceremo lo spostamento fisico e la sensorialità con gli aspetti culturali e mentali.
Raggiungere ed entrare in un luogo come parabola della fatica della comprensione.
Come viaggiatori arriveremo nuovi luoghi e conosceremo nuove genti, i paesaggi muteranno, così come i dialetti e impercettibilmente anche la luce, lo zenit del sole.
Capiremo?
Chissà!
Ve lo diremo al nostro ritorno quando riallacceremo i fili stesi come bave di lumaca tra le nostre case e Crocizia.
Una cosa è certa, ci divertiremo ad ascoltare le voci del vignaiolo, dei suoi vini, dei suoi cibi e delle sue terre.
E la nostra presunzione ci porta a pensare che anche lui possa, da noi, pescare qualche, raro, spunto o stimolo.
E nel frattempo cercheremo di divertirci il più possibile perché di finta seriosità e di soloni ne abbiamo abbastanza, il vino è convivialità.
Kempè


Luigi Vittorio Niccolò Riccardo Andrea Mauro Eugenio Daniele Rossana Sergio Diego

venerdì 24 gennaio 2014

Le Fole 2010 Campania Aglianico igt - Cantina Giardino

di Riccardo Avenia

Ad essere sinceri i vini di Cantina Giardino non mi hanno mai convinto fino in fondo, nonostante io apprezzi molto l'idea, il progetto aziendale, l'approccio agricolo e di vinificazione. Nei pochi assaggi fatti, trovavo sempre quella stonatura che non riuscivo a mandar giù. Eppure all'ultima edizione di Gustonudo a Bologna, questa etichetta è venuta a casa con me.

L'altra sera, trascinato da una irresistibile voglia di confrontarmici, scendo in cantina e deciso, stappo la bottiglia.

Rubino cupo, trasparente solo in unghia. Il profumo è quello della frutta rossa acidula, di piccoli frutti di bosco. Spezie dolci, qualche erba aromatica tipo il basilico ed il rosmarino, pepe nero, ed un ricordo di pasticceria donato probabilmente dal legno. Lontana, qualche nota di tabacco e cioccolato. Nel finire evolve a sentori più profondi e carnosi.

Il sorso è snello, scattante e gustoso, con il tannino perfettamente inserito. C'è una certa rotondità gustativa che insieme ad una parte acidula donano complessivamente dinamismo e freschezza. C'è anche sostanza, si sente l'uva in questo bicchiere, non esagerata, ma qualcosa di realmente tangibile e succoso. 

Certo, non il vino definitivo, ma qualcosa che mi appaga. Evolve, ed evolverebbe ulteriormente se la bottiglia non finisse così in fretta. Alla faccia delle stonature. Penso che sia giunto il momento di approfondire la mia conoscenza con questa cantina.


L'ho abbinato ad un quadrato di lasagne e, devo dire che ho trovato un curioso ma valido abbinamento.

giovedì 23 gennaio 2014

La turchina BERRETTINA di Lungavilla



Da un progetto di recupero di antiche sementi dal patrimonio genetico unico.

Incastonato dove Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia s'incontrano, l'Oltrepò Pavese esprime preziosi doni dei terreni argillosi, che la bruma cela e custodisce.
A Lungavilla, in provincia di Pavia, è ripartita con slancio la coltivazione di una zucca che di speciale ha tutto:
la Berrettina o "berretta da prete", piccola di dimensione, arriva ai 2 kg, buccia coriacea di un color verde salvia che vira all'azzurro, incanto che illumina la forma vezzosa a turbante. 
Qualche difficoltà per farla a pezzi, ma eliminati i semi, che possono essere tostati e consumati, scoprirete l'intensità del color ocra, dai riflessi grigi, della polpa:
compatta, vellutata, spiccatamente aromatica, da cruda, appena tagliata, mi ha ricordato i fiori di sambuco, di tiglio e il melone di Alcamo. 
Spunti che sicuramente mi porteranno ad utilizzarla anche per un gazpacho.
A cottura la polpa assume una consisteza burrosa, cremosa, finissime le fibre che lasciano al palato solo una tenue farinosità, che si coniuga al sentore lieve di castagna.
Non occorre pelarla, dopo la cottura, la buccia si farà sottile e facilmente asportabile, con il minimo scarto.
La buccia è commestibile, ricchissima di sali minerali, lavatela accuratamente e potreste anche mangiarla.


Nutraceutica

Irrisorio il contenuto calorico, fonte preziosa di antiossidanti, carotenoidi e vitamina E, di Potassio, Calcio, Fosforo e Zinco.
Le fibre sono mucillaginose e la polpa contiene buona quantità di pectine, dall'elevato potere saziante, emollienti e lenitive della mucosa gastrica ed intestinale. 
Preziosa nelle diete per il controllo del regime calorico, del livello glicemico ematico e dell'ipertensione. 
Può essere utile nella prevenzione dei disturbi dell'apparato urinario.

I semi contengono quasi il 20% di amminoacidi, in particolare triptofano, precursore della serotonina, che insieme al Magnesio ha azione rilassante e combatte l'ansia. I fitosteroli migliorano il profilo lipidico.

Acquisto e conservazione

Se acquistate la zucca intera sceglietela con il picciolo ben adeso, controllate che non presenti ammaccature.
Pulitela con un panno asciutto e conservatela in un luogo fresco e ventilato.
Una volta tagliata può essere conservata in frigorifero un paio di giorni, in un sacchetto per alimenti.

Siamo al termine della stagione, potrete farne scorta surgelandola:
basterà cuocerla tagliata in piccoli pezzi, al vapore, e riporla in cotenitori idonei, meglio se in vetro. Consumatela in un paio di mesi al massimo. 


Volendo utilizzare il forno per la Berrettina, ho pensato di cuocere in una teglia unica tutti gli ingredienti della vellutata. In questo modo si concentrano i sapori, si sprigionano aromi più intensi e godrete di un'oretta libera nell'attesa. Dopo la cottura dovrete solo aspettare 5/10 min che gli ingredienti raggiungano una temperatura più idonea per pelarli, basterà frullarli con brodo delicato per raggiungere la densità desiderata, guarnire con semi tostati ed un rassicurante comfort food è pronto da portare in tavola.

Vellutata di zucca Berrettina
 (al forno)



Per il brodo vegetale

1 l di acqua
2 carote
1 cipolla
1 costa di sedano
gambi di prezzemolo e basilico
5 bacche di pepe nero Penja
sale 

Per la vellutata

1 zucca Berrettina
2 scalogni
1 cipolla rossa di Tropea
2 carote 
2 mele rosse acidule
sale, olio evo
Semi tostati (zucca, sesamo nero, mandorle...)

Preparare il brodo, ponendo gli ingredienti a freddo nell'acqua, lasciar bollire dolcemente per almeno 30 minuti, filtrare e tenere in caldo.
Preriscaldare il forno a 180°C in modalità ventilata.
Lavare accuratamente gli ingredienti della vellutata, lasciare interi gli scalogni, la cipolla rossa, tagliare la zucca Berrettina in ottavi, privandola dei semi, tagliare a metà le mele ed eliminare i semi, pelare le carote e tagliarle in pezzi.
Cospargere con poco sale e un filo d'olio evo e infornare per un'ora circa.
Pelare gli ingredienti, frullarli diluendo col brodo caldo.
Decorare con i semi tostati, un filo d'olio evo e servire.





Per le zucche Berrettina di Lungavilla, (PV), ringrazio il produttore Riccardo Lodigiani, per la sua generosità e per aver reso possibile che arrivassero fino a me in Sicilia.

Per info 


Esprimo la mia gratitudine a Stefano Caffarri, solo tramite al suo assaggio ho potuto scoprire questo gioiello di zucca!




Rossana


mercoledì 22 gennaio 2014

Una nonvisita a Castell'in Villa

di Niccolò Desenzani




Sei giorni in Toscana, base a Foiano della Chiana. Le escursioni a carattere enoico devono essere rubate al tempo famigliare, escogitate in maniera subdola, con espedienti astuti e abilmente sottaciute fino al momento opportuno in cui, come per coincidenza, sembrino inevitabili.
Cioè io mi faccio tutto sto trip, ma probabilmente la mia metà sa già tutto e per gentilezza finge di cascarci.

Comunque dopo una giornata alle terme di Rapolano, è ancora relativamente presto e uscendo esprimo il desiderio di fare un giretto in macchina prima di rincasare, giusto per vedere coi miei occhi la zona di Castelnuovo Berardenga.

Proseguo oltre il paese seguendo un chiaro e premonitore cartello “Castell’in Villa”.
La strada si inerpica e a un certo punto decido di invertire e tornare indietro… ops poche centinaia di metri e c’è la Deviazione. E’ già chiaro che prendere quella piccola strada allontanerà tanto dalla via del ritorno.
Le bimbe dormono.
Imbocco la variante, sapendo che costerà probabilmente qualche discussione, ma chissà, magari non troverò alcuno e tornerò con le cosiddette pive nel sacco.

La mia visita a Castell’in Villa, fondamentalmente si rivela un’attesa di circa mezz’ora, aspettando che la principessa sbrighi le faccende organizzative per la cena del giorno dopo, il 31 dicembre. Frattanto ho modo di scorgere il Poggio delle Rose, il
cru di sangiovese che dà il nome al gran vino della casa, vedere da lontano Siena e intravvedere qualche vigna qua e là, in un paesaggio che mi ha stupito perché molto selvaggio. Vigne e boschi. Selle, poggi, vallette, e fondi bui e freddi.
Non certo le infinite distese di filari lungo dolci declivi collinari.
Il tempo stringe e le bimbe si svegliano. Posso solo fare i miei pochi ossequi alla nobil dama e comprare tre bottiglie. Di più sembra troppo oneroso.


Poggio delle Rose 2003
Mi son preso il rischio, a fronte di un discreto risparmio, di prendere l’annata pecora nera del millenio. La principessa non mi ha sconsigliato e io mi son detto “siamo ad altitudini di tutto rispetto, il cru è famoso e non sarà un’annata torrida a snaturarne il frutto”.
Aperto la sera stessa è stato una rivelazione. Un Sangiovese cui non ero abituato, vinificato in modo che mi è apparso
tradizionale old style al cubo. Sentori di vecchia legna e cantina fanno da leggerissima impalcatura per un golosissimo sorso, fresco ed equilibrato, dove si legge l’annata calda, ma si mantiene un profilo stilistico chiaro e soprattutto alcuni sapori rari e di estrema piacevolezza, che credo siano il quid che rende questi vini eccezionali. Il naso per la verità non era al meglio, evidenziando un sentore fievolissimo di similtappo, che talvolta random si ritrova. Chi lo conosce capirà cosa intendo, altrimenti penserete che rovinasse il vino. Assolutamente non è stato così, l’ossigenazione lo ha fatto quasi svanire e l’evoluzione del vino è stata viva e godibile durante l’intera serata. Ma di certo è la bocca di questo vino che mi ha fatto innamorare.


Chianti Classico Riserva 2005
Questa è l’altra bottiglia importante che mi sono concesso. Bevuta consecutivamente nei giorni successivi al Poggio, ho ritrovato alcuni elementi dello stile che mi hanno confermato l’elezione della zona. Forse un filo meno fascinoso, ma indubbiamente di maggiore integrità, questo 2005 mi ha fatto pensare al concetto di linearità della bevuta. Dove però c’è anche tensione e un costante livello di godimento, che traghettano verso la fine della bottiglia, senza mai alcun cedimento. Appagante, bello. Lo diceva la principessa: “la 2005, in questo periodo, si beve bene”.

Chianti Classico 2009
Già tornato a Milano, non ho resistito e ho deciso di esaurire la mia scorta di Castell’in Villa. Se dev’essere un raro lusso bere questi vini, concediamocelo immediatamente e non pensiamoci più. Ho trovato un vino non del tutto a posto. Segni riconducibili all’età, troppo verde, un qualcosa di fermentativo ancora sfuocato, code di sbisciolante dolcinità. Solo dopo un giorno dall’apertura si intuisce che forse anche questo base 09 troverà la sua strada. Perché se in parte è stata una delusione, è anche vero che ho avuto l’impressione di un vino coi difetti “giusti”: di uno stile di vinificazione senza forzature che talvolta, per le millemila variabili in gioco, esprime il suolo in maniera un po’ meno aggraziata. La sostanza è comunque di tutto rispetto, e credo si possa confidare nel tempo.


Au revoir Castell’in Villa, au revoir principessa.

martedì 21 gennaio 2014

TRAQUAIR House Ale, la reale di Scozia

di Diego deLa



Il birrificio che produce questa House Ale è situato all’interno di uno splendido castello scozzese, visitabile in estate, che è stato residenza estiva per i reali di Scozia ai tempi di Maria Stuarda e si dice che sia il più antico maniero abitato in modo continuativo di tutta la regione.  
L’attrezzatura originale e le vasche di fermentazione del birrificio annesso al castello vennero   utilizzate per la produzione brassicola volta al consumo domestico per tutto il diciottesimo secolo, caddero poi in disuso a metà ottocento, ma nel 1965  Peter Maxwell Stuart, ventesimo Laird of Traquair decise di riprendere l'attività, modernizzando il processo produttivo.  Attualmente la Traquair produce solo tre tipi di birra in modo stabile.
Questa House ale risulta piuttosto semplice da trovare anche dalle nostre parti, l’aspetto, invitante e sontuoso,  è ambrato carico, con riflessi rubino; la schiuma si presenta fine, ocra e persistente.
Al naso si percepiscono nettamente note di miele di castagno, caramello, frutta secca e  fave di cacao a cui fa capolino, col passare del tempo, una nota legnosa e di rabarbaro. L'aroma è ben strutturato ed  elegante ed invita a una degustazione puntuale e rilassata.
In bocca il corpo è medio e la carbonazione lieve, al gusto di distinguono nettamente note di cola, fave di cacao e frutta secca, contappuntata da una leggera acidità abbastanza tipica in queste birre dai sapori tostati.
Il finale è rotondo ed offre una bella sensazione di persistenza caratterizzata da cacao amaro e liquirizia  accompagnata da una piacevole sensazione di warming che rivela il grado alcolico (7.2%).
Questa "birra di casa" di decisa qualità  gioca molto sull’equilibrio tra la dolcezza maltata e l’amaro torrefatto, rotonda, rincuorante e consolatoria nelle fredde nottate invernali.
La consiglio in abbinamento con dolci al cacao, selvaggina oppure, per contrasto,la vedrei bene su sapori agrumati. [deLa]

lunedì 20 gennaio 2014

Stria 2012, Vino Bianco Dolce, Crocizia

di Daniele Tincati

La stria in dialetto parmigiano è la strega, la fattucchiera, quella che fa le magie.
Qui a Crocizia la magia l’hanno fatta davvero.
Saranno le suggestioni natalizie, ma questa piccola bottiglia contiene l’essenza del Natale, o delle feste, compresa la Befana.
Il caso ha voluto che incrociassi Marco in una fredda mattinata invernale al mercato della terra di Slowfood nel mio paese, di cui anche lui è originario e in cui ha le radici.
Non sapevo che facesse un passito di Malvasia.
Si tratta di Malvasia aromatica di Candia appassita che, dopo macerazione sulle bucce, viene vinificata in damigiana.
Marco dice che, vista l’esigua quantità, è l’unico contenitore piccolo che può usare e, comunque, svolge bene la sua funzione.
Mezza bottiglia, pochissimi esemplari, giusto per le feste.
Colore che sta nel mezzo tra un giallo tinteggiato d’ambra e il rame antico.
Profumi intriganti, atipici per un passito, giocati sulle sensazioni sussurrate.
Cosi, capita di scorgere dei fiori gialli appassiti (la ginestra), della speziatura chiara ed un vegetale piccante che ricorda lo zenzero fresco.
Globalmente è un’insieme che ti tuffa in una tazza di tisana natalizia.
E si indugia col naso in attesa di altri cenni, ma non si resiste all’assaggio.
In bocca è dolce ma non troppo, con una sensazione di levità che mai si trova nei passiti, tutti vocati a concentrazione ed opulenza.
Ed è questo che mi è piaciuto.
Benchè leggero, la bocca è profonda di fine speziatura, quasi piccante di zenzero.
Sul retro nasale, lungo, escono golose note di frutti antichi, come mela cotogna e pera moscato.
La sensazione finale è incredibilmente fissata alle feste, con quelle note che si fondono ai profumi e sapori natalizi, ricordando pani e biscotti speziati di tradizione nordica, e le tisane.
Il tutto mi ha portato a bere l’ultimo goccio ad una temperatura più da rosso strutturato che da vino dolce, il che, probabilmente, ha sprigionato quei profumi, ma soprattutto quelle sensazioni.
La Stria ( o la Malvasia ) tutte le feste si porta via.

venerdì 17 gennaio 2014

Malvasia Riserva 2011, Marko Fon


Degustato durante la preparazione e lo svolgimento della cena, tra verdure da sbucciare e pentole da tener d’occhio prima, in compagnia poi. Per un gioco spontaneo è venuto fuori una sorta live chatting con gliamicidelbar di cui ho CENSURATO tutti i commenti e lasciato solo le mie esternazioni, spesso ripetitive, sul vino di Marco Fon. Un vino che indubbiamente è un punto d’arrivo. Per tutto quello che riesce a metter dentro di territorio, di scelte stilistiche, di odori e sapori in definitiva. Per certi versi in controtendenza rispetto alle Malvasia cui ci hanno abituato i produttori della zona.


19:15
(Rumore di stappo)


19:20
Evolve bene dopo apertura. Inizio quasi eccessivo, un po' troppo opulento, presto si snellisce e benché il naso resti un po' sull'aromatico, in bocca riesce a esprimere una ricchezza gustativa abbastanza impressionante, pur avendo l'amaricante del vitigno.
Acidità, opulenza, aromaticità, piccantezza, resine, sasso, mare... In bocca non c'è che dire parla forbito.
Persistenza in minuti, però col vitigno aromatico è più facile. Rimane un tocco caramellato, fresco, molto bello.


19:27
Evoluzione brillante!
Molto fresco e fatidicamente minerale (mi mando a cagare da solo!)
Citron vert


19:32
Sta perdendo anche il fastidioso lato aromatico...
Rimane un filino vinoso, tiè!


19:46
Insomma fresco il vino è leggermente aromatico, resinoso, pungente e che fa salivare a lungo, >90 è certo!


19:59
Definitivamente naso nobile caramelloso, ma austero, bocca ricca che sa di uva e di tanto. Persino l'amertume va dipanandosi.
Grande vino tocca ammetterlo...


20:35
Gran sostanza e freschezza. Super. Bonissimo. Piccante rimane lunghissimo sulle mucose.

Ne ho ancora una bottiglia che custodisco abbastanza religiosamente, ma credo che presto l’irresistibilità avrà la meglio sulla mia flebile fede.