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venerdì 31 agosto 2012

Domaine le Rouge de la Gorge, Vin des Pays des Cotes Catalanes, 2004



Macabeo in purezza con otto anni sul groppone e soli 12°vol alcool.
In condizioni perfette con profumi intensi, coinvolgenti.
Vino che ricorda il cedro confit e le aromatiche lievemente mentolate.
Un pot pourri decadente in cui i sentori di erba secca competono con la loro aromaticità.
Leggermente ruvido e linfatico.
Una commistione fra complessità e beva travolgente, fresca e spensierata.
L’insostenibile leggerezza della superficialità profonda.
Ah les Cotes Catalanes!
Con la grenache gris e il macabeo spaccano i luoghi comuni dei vini del caldo e del mare e dell’arido.
E giocano con le ossidazioni e la materia sul filo sottile dell’opulenza che mai scivola verso l’eccesso, la ridondanza, la volgarità.
Funambolismo idroalcolico.
E noi spettatori stiamo con il cuore sospeso e pensiamo “cade, non cade”, “cade, non cade”.
Bonne degustation

Luigi 

giovedì 30 agosto 2012

Elogio della dimenticanza




Buona cosa la dimenticanza!
Altrimenti come farebbe
il figlio ad allontanarsi dalla madre che lo ha allattato?
Che gli ha dato la forza delle membra
e lo trattiene per metterle alla prova?

Oppure come farebbe l’allievo ad abbandonare il maestro
che gli ha dato il sapere?
Quando il saper è dato
l’allievo deve mettersi in cammino.

Nella casa vecchia
prendono alloggio i nuovi inquilini.
Se vi fossero rimasti quelli che l’hanno costruita
La casa sarebbe troppo piccola.

La stufa riscalda. Il fumista 
non si sa più chi sia. L’aratore
non riconosce la forma del pane.

Come si alzerebbe l’uomo al mattino
senza l’oblio della notte che cancella le tracce?
Chi è stato sbattuto a terra sei volte
come potrebbe sollevarsi la settima
per ritrovare il suolo pietroso
per rischiare il volo nel cielo?

La fragilità della memoria
dà forza agli uomini.


Berthold Brecht

mercoledì 29 agosto 2012

tipicità tradizione comunità mercato



“Negli ultimi anni l’idea di tipicità è entrata decisamente a far parte del nostro immaginario alimentare, un idea che prevalentemente rimanda a due aspetti del prodotto in questione: il territorio e la tradizione. In molti casi si assiste tuttavia a una costruzione, se non a una vera invenzione delle tradizioni, finalizzata a identificare il prodotto con una storia e con una comunità.
  Ciò che caratterizza questa costruzione è però una sorta di ossimoro in quanto la località di un prodotto si realizza proprio in un contesto di processi globali e globalizzanti…
Il prodotto tipico ha un’immagine ambigua e sfuggente, perché da un lato è impregnato dell’’identità di chi lo produce, ma allo stesso tempo è destinato ad essere venduto…”

Marco Aime

martedì 28 agosto 2012

Grappoli del grillo 2009, Sicilia Igt, Marco De Bartoli



Abbiamo discettato a lungo con Niccolò Desenzani dei vini bianchi a bassa acidità.
Alla fine questa assenza è sostituita come dice lo stesso Niccolò “Non (da) una mineralità a cui siamo abituati, acida, di pietra, ma piuttosto (da) una freschezza sontuosa, quella che si realizza all’incrocio con l’ossidazione e dove c’è tanta ciccia.”
E aggiungerei una salinità talvolta unita ad una astringenza lievemente rasposa.
Non sempre presenti tutte queste sensazioni, oppure con modulazioni di intensità differenti, comunque  partecipano alla definizione organolettica di vini bianchi provenienti da zone calde, spesso marine (il volano termico del mare tende, per colpa delle alte temperature notturne, a ossidare gli acidi).
Per il mantenimento di queste freschezze non-acide ritengo sia importante la componente umana del terroir.
Vini ottenuti da uve con zuccheri alti e basse acidità per mezzo di fermentazioni innescate con lieviti secchi e basse temperature esaltano la componente dolce o pseudo dolce con alta presenza di glicerina e di alcool e di profumi fermentativi frutto-zuccherosi.
Il risultato è quello di vini praticamente imbevibili tale è la massa, la viscosità, la potenza alcolica e la monotematicità olfattivo-organolettica.
Dolcezze e frutta, dolcezze e frutta, dolcezze e frutta.
Vinificazioni con lieviti indigeni, eventuali macerazioni sulle bucce e minor rigidità nel controllo delle temperature portano a vini più scorbutici, con profumi meno didascalici, una lieve ruvidità al palato, con una glicerina minore, spesso anche l’alcol è più moderato e forse più pungente.
Il Grillo di De Bartoli 2009 è un esempio di vino caldo, quasi zuccheroso, mieloso ma con sferzate di salmastro, di vegetale e di astringente.
Una complessità ottenuta con bassi tassi di acidità (quantomeno questa è la percezione ed è ciò che importa) e grande ma non soverchiante struttura, corpo, nessuna decadenza.
Il Grillo poi si esalta nell’invecchiamento ossidativo e come gli Jerez, aumenta di piacevolezza e complessità con l’andare degli anni senza mai trascinare il corpo del vino in una deriva amara e perdite di volume.
Saporitissimo e salato (freschezza di salgemma che eleva le dolcezze ed esalta le ossidazioni).
E comunque dannatamente fresco.
Dopo una macerazione a freddo sulle bucce di circa ventiquattro ore è vinificato con lieviti indigeni in acciaio e poi barrique e doppia barrique (così non potete dire che le odio a priori).
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Abbiamo aperto due bottiglie e il vino all’interno era parecchio diverso; entrambe buone una fresca, più indietro nell’evoluzione l’altra invece veleggiava già verso spume salmastre e ossidazioni.

lunedì 27 agosto 2012

Polena

Polena



Il grande carico dell’estate è imbarcato,
nel porto è pronta la nave solare,
quando il gabbiano dietro a te stride e cade.
Il grande carico dell’estate è imbarcato.
Nel porto è pronta la nave solare,
e sulle labbra alle polene spunta
nudo il sorriso dei lemùri.
Nel porto è pronta la nave solare.
Quando il gabbiano dietro a te stride e cade,
l’ordine giunge da occidente di affondare:
ma nella luce ad occhi aperti annegherai,
quando il gabbiano dietro a te stride e cade.

Ingeborg Bachmann
Poesie, ed. Guanda

sabato 25 agosto 2012

Vidi che non c'è Natura,



Vidi che non c’è Natura,
che la Natura non esiste,
che ci sono monti, valli, pianure,
che ci sono piante, fiori, erbe,
che ci sono fiumi e pietre,
ma che non c’è un tutto a cui questo appartenga,
che un insieme reale e vero è una malattia delle nostre idee.
La Natura è parti senza un tutto.
Questo è forse quel tale mistero di cui parlano.

Fernando Pessoa

venerdì 24 agosto 2012

Ramì, Sicilia Igt, 2010, Cos


Un taglio di Inzolia e Grecanico.
Un bianco in terra di rossi.
Da una territorio di colline di sabbie calcaree bianco grigie, che dai novecento metri dell’altopiano Ibleo discendono come un piano inclinato sino allo Ionio, patria indiscussa del Frappato e del Nero d’Avola e degli uliveti di Tonda Iblea.
Ecco un bianco a base inzolia e grecanico.
L’inzolia aveva fatto gran parlare di lei tempo fa, poi è sceso un po’ di silenzio.
Non ha il blasone di altri bianchi Siciliani, però la versione di COS è molto piacevole e decisamente complessa.
E’un vino caldo e odoroso come le stoppie arse dell’altipiano ricche di finocchietto e timo ormai secchi.
Profumi golosi di meloni gialli e lieve zucchero.
Scivola in bocca fresco di sapidità (che credo tipica di questi terreni sabbioso calcarei molto poveri di sostanze umiche) e di alcool moderato e gentile

The day after:
miele di timo e speziature di pino d’aleppo, tiene e si espande e migliora.
Esplode un naso di maturità e dolcezze.
Sempre presente la mineralità delle sabbie calcaree.
Bonne degustation

Luigi



giovedì 23 agosto 2012

Il Funambolo e la Luna



Il Funambolo
splendeva tutto camminando sulla sua fune, sotto la luna,
con una superba destrezza che dissimulava il rischio e la
  fatica, e perfino il travaglio dell’arte.
E i suoi movimenti, quasi oscillasse su due lievissime
  ali,
e quel timore in noi: ”cade, non cade”, ”cade, non cade”,
diventava un canto immenso, invulnerabile, profondo
che colmava di fiducia la notte intera, e il tempo tutto fino
   al futuro più remoto.
Che colmava di gioia perfino il sonno di quanti già dormivano
sotto le verande di legno, sui balconi, sulle terrazze o distesi sull’erba.

Ghianni Ritsos,
Atene, Kàlamos, Karlòvasi,
15.I.82-15.VI.82

martedì 21 agosto 2012

Under The Sky nel bicchiere per una notte senza stelle.



Notte di San Lorenzo, eppure non si vedono stelle. Solo luci della città. Voglia di un bicchiere di vino, toh neanche a farlo apposta.. una bottiglia di Under The Sky. Certo, giovane è giovane, 2010 ma chissà come si è comportato in questi mesi, dopo il primo assaggio invernale.
I rubini zampillano dalla bottiglia al bicchiere, e i profumi di tabacco e cacao dolce si innalzano nella caduta. Lo tieni in mano, come vorresti tenere il cielo. Di nuovo spezie e la terra bagnata accompagnano l'immaginazione alle notti estive ad ossevar le stelle dopo un temporale pomeridiano.
Cabernet Sauvignon, e non solo. Uva raccolta a mano e lasciata riposare nelle barriques per sei mesi. Terziarizzazioni accennate, ma che promettono vita lunga. E poi in bocca quasi tagliente, con tannini ancora acerbi, che hanno tanta voglia di crescere.
A Mattia e Rossella solo una richiesta: continuare così.
Gastrofanatico

domenica 19 agosto 2012

la campagna



Non ho molto da dire a proposito della campagna; la campagna non esiste è un illusione.

Per la maggior parte dei miei simili, la campagna è uno spazio di svago che circonda la loro seconda casa e che fiancheggia un tratto delle autostrade che prendono il venerdì quando vi si recano, e di cui la domenica pomeriggio, se se la sentono, percorreranno qualche metro prima di tornare in città dove, per il resto della settimana, saranno i cantori del ritorno alla natura.
Georges Perec


venerdì 17 agosto 2012

sulle linee rette



Qui, avevo fatto un capitolo sulle linee curve per dimostrare la superiorità delle linee rette…
Una linea retta, il cammino che i veri cristiani devono seguire, dicono i padri della Chiesa.
Il simbolo della rettitudine morale, dice Cicerone.
La linea migliore! Dicono i piantatori di cavoli.
La linea più breve, come dice Archimede, che possa essere tracciata da un dato punto ad un altro.
Ma un autore come me, e come molti altri, non è un geometra; e ho abbandonato la linea retta.

Lawrence Sterne
   

mercoledì 15 agosto 2012

scolorimento



Più passa il tempo e più ingrandisce il mare.
Contemporaneamente perde i suoi colori.
Le cime si spezzano a una a una. Innumerevoli ancore
Arrugginiscono sulla terraferma. Ciò che chiamavamo
libertà, che non fosse la perdita? E che non sia
La perdita l’unico guadagno? Dopo
né perdita né guadagno. Niente. Le luci
della dogana e della taverna sul mare spente.
Solo la notte con le stelle false.

Ghianni Ritsos
Kàlamos, 10.X.82

martedì 14 agosto 2012

L’estate bolliva



L’estate bolliva. Luglio moriva con le sue albicocche e agosto cominciava ad appendere al cielo i suoi grappoli neri. Le giornate, grandi come bovi, sprigionavano dalle narici un fiato caldo, sciroccale. E gli uomini erano in stallo come le pecore offrendo l’un l’altro la propria ombra.

Vasilis Vasilikòs
La foglia

venerdì 10 agosto 2012

Èureka Igt Sicilia Chardonnay, 2010, Marabino



Come bere uno sciardonnè siciliano e riuscire a sollevarsi dalla sedia.
E senza avere nelle narici sentori di falegnameria e pasticceria.
I Marabino fanno un sciardonnè perché in azienda, concepita anni fa con obiettivi enologici differenti e un immaginario vinoso con derive Aussie, nel momento in cui hanno ripensato il loro futuro in contrada Buonivini (nomen omen) a Pachino (SR) si sono trovati gli impianti già in produzione.
Per cui hanno deciso di vinificarlo lo stesso ma con metodi volutamente più rustici.
Al bando i lieviti industriali secchi, macerazione sulle bucce e solo vasi vinari in acciaio.
Da questa sterzata produttiva nasce un vino salato (come tutti i vini Pachinesi) più che minerale, vegetal-rasposo, con profumi di aromatiche spontanee (finocchietto, timo).
Con una limonina freschezza.
Non imponente, non lunghissimo (nel bene e nel male).
Ma succoso e pizzicante, da sgargarozzarsi in riva al mare, freddo ma non troppo.
Se siete in spiaggia in contrada Maganuco (RG) e avete ordinato un fritto di mare, ecco il vino adeguato.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
L’assaggio del day after è stato leggermente deludente, il vino si è un po’ seduto, per cui finitelo tutto subito!


martedì 7 agosto 2012

Occhio ai vini vecchi! di N. Desenzani

Una premessa è d’obbligo. Ammetto di avere un pusher di Barolo vecchi a prezzi abbordabili. Ne ha pochi rimasti e non è facile riuscire a comprarglieli. Ma non desisto e continuerò finché ce ne saranno. Perché quando scopri i vini vecchi sei fottuto. La mente fa cortocircuito. Si apre una straziante angoscia dettata dal bisogno e dall’eccezionalità di quelle bevute da un lato e la reperibilità e i prezzi dall’altra, che quasi sempre non si abbordano. Tenetevi lontani da “sta roba”: genera troppa ansia e rischia di rovinarvi. Cerco dunque di recuperare un po’ della serenità perduta scrivendone: il miglior placebo contro i mali della mente.



Barolo 1967, Giuseppe Mascarello
Il ‘67 in langa dev'esser stata annata calda. Il Barolo di G. Mascarello esibisce ancor oggi una dotazione muscolare impressionante. Lontani dai sussurri di essenze e quint'essenza fruttata del ‘61 ci troviamo di fronte a tanto alcool, terziari che riportano all'affumicatura, tannini coriacei che non si sono smossi di una virgola da ciò che probabilmente doveva essere il vino trenta o più anni fa. In compenso si è mantenuto un nucleo giovanilissimo e il tempo ha lavorato di cesello tutto intorno senza cambiare di molto il blocco originario.
Epperò la profondità e l'eleganza non mancano e si assiste attoniti a tanta entropia negativa messa
in bottiglia, e il tempo pare esser trattato come un ospite simpatico e brillante, ma non così influente. Oggi giudicheremmo tanta roba sicuramente oltre i 90. Forse pure di più. Ma non siamo di fronte a un ‘61 per il quale la scala non era sufficiente.
L'impressione è di bersi un quasi modernista che ha scoperto qualche segreto. Comunque al naso sono le note empireumatiche a dominare con la loro scurezza, con tracce si canfora. In bocca è potente, austero come una parata marziale, un po’ forse legnoso. Di grande acidità e tannini imponenti.  Retronasale super balsamica. Occhio a non bruciarsi!  Amarognolo. Lascia dietro di sè un paesaggio arso di uva antica sì, ma alcuna leggiadria. Impressionante!

 Giuseppe II "Gepin"

Da una ricerca sul web ho scoperto che il ’67 è la prima annata gestita interamente dall’allora giovane Mauro, figlio di Giuseppe II “Gepin”, figlio di Maurizio “Morissio”, figlio di Giuseppe che iniziò l’attività nel 1881. E dunque Mauro inaugura una serie di annate in cui sperimenta nuove modalità di vinificazione. Forse questo fatto spiega la mia sensazione di modernismo, avvertita in questo Barolo. Come in un classico caso di corsi e ricorsi, nelle infinite storie di vino e vinificazioni.
Spero presto di sacrificarmi ancora per voi, con ulteriori assaggi del passato.

Foto presa dal sito www.mascarello1881.com

venerdì 3 agosto 2012

Tenuta Frassitelli, Ischia doc, Biancolella, 2008, Casa d’Ambra




Vino di mare coltivato a seicento metri slm ad Ischia su pendii terrazzati.
Scampa gli eccessi della calura e del riverbero marino con un minimo di altura e di esposizione ai venti più freschi e veloci perché, come sanno tutti i marinai, più ci si allontana dal pelo dell’acqua e più il vento è teso, stabile e le raffiche forti.
La Biancolella è varietà che Ischia condivide con la costiera d’Amalfi, una cultivar “anfibia”.
Che  non si spaventa di fronte agli aliti salmastri, alla luce abbacinante, al caldo soffocante che non scende neanche la notte, alla siccità e al vento.
Il vino poi è un bianco di mare, ricco con riflessi dorati e una mineralità di lana bagnata e sale.
Elegante e orizzontale, perché come dicevano Nicoletta Bocca e Francesco Guccione non si può e non si deve (questa ultima affermazione è mia) cercare l’acidità come parametro in questi vini.
La bevibilità è data dalla scorrevolezza di salsedine magari amplificata da un chè di amarognolo.
Su un corpo caldo e solare, maturo ma non lascivo, opulento ma non eccessivo.
La moderata alcolicità di questa biancolella (12,5%vol)  amplifica  e alleggerisce il sorso assetato.
Mielosità amare, pesche bianche, salsedine, gelsomino, agrumi canditi tutte memorie di giardini murati protetti dal vento.
The day after:
Il vino migliora e allunga nei profumi, giovandosi (come credo sia naturale nelle cultivar isolane) delle lievi ossidazioni benevole e intriganti.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Spero di non aver frainteso ciò che Nicoletta e Francesco hanno detto a riguardo dell’acidità.
I vini di Francesco sono, per me, archetipici per chi cerca espressività nelle calde maturazioni rinfrescate invece che da acidità, da leggere vegetalità, lievi ossidazioni e una cornucopia di sensazioni intensamente floreali e di macchia. 


Post poscritto

NiccolòDesenzani, sentito dopo la stesura del post, mi ha ricordato che ci dovrebbe essere una parentela genetica fra Biancolella e il Macabeu (Viura) spagnolo se così fosse ci troviamo di fronte ad una cultivar abbastanza polivalente capace di produrre vini dalle terre atlantiche di nord ovest, al Rioja, sino alla Catalogna anche in blend nei Cava.
L’accomuna di sicuro il colore chiaro con riflessi verdi, la bassa alcolicità e una discreta acidità.

mercoledì 1 agosto 2012

Salvate le foreste!




Di Quercus Petraea*.
Veloce e ipersoggettiva dissertazione sull’uso delle barrique.
Pochi giorni fa ho assaggiato un Grignolino del Monferrato Casalese affinato in tonneau nuovi, millesimo 2007.
Ieri ho assaggiato un Cerasuolo di Vittoria affinato in tonneau nuovi, millesimo 2008.
Devo dire che comparati con i vini base non passati in legno non mi sono piaciuti.
Non per una mia pregiudiziale avversione al legno di piccole dimensioni.
Ma per la perdita di espressività dei vini.
Mi spiego meglio:
il grignolino ha una delicatezza aromatica e una tipicità spiccata e leggero amarognolo e dei tannini vegetali molto saporiti e una acidità vivace e un colore scarico.
Nel Cerasuolo di Vittoria c’è il frappato, anch’esso ha aromaticità personalissima e delicata e lieve speziatura e tannini anomali vegetali e molto espressivi e leggero amarognolo e sapidità e acidità e colore scarico.
Entrambe i vini hanno una beva glu glu.
Ebbene, nelle versioni in doppia barrique.
Nulla di ciò sembrava essere rimasto, il palato era spezzato in due dalla potenza dei tannini esogeni che correvano al fianco di sensazioni vanigliate e resinose in completa dissociazione.
Bevibilità complicata, pesante.
E che dire del naso affranto dal potente apporto della quercus petraea e delle sue tostature.
Nelle intenzioni dei produttori c’è la volontà di produrre vini longevi.
Da questo la loro intenzione di rinforzare una materia apparentemente fragile e caduca.
Il risultato è stata una transunstanziazione dei vini che si sono tramutati in qualcosa di estremamente diverso dall’originale perdendone l’eleganza briosa, sfaccettata e leggera (leggera non banale).
Avendo voglia di aspettare ancora qualche anno lo scarico dei sentori legnosi, avrebbe smorzato l’impatto olfattivo, però ci saremmo comunque persi l’aerea espressività dei vini base.

Per qualcuno sembra essere insostenibile la leggerezza dell’uva.
Forse siamo lontani dalla botticella filosofale.
E pensare che, diminuendo l’uso di legni nuovi,  ci sarebbe la componente etica della riduzione della deforestazione* e dell’impronta carbonica di ogni bottiglia prodotta.
Bonne degustation

Luigi

Poscritto
Produttori (o lettori sensibili ai limiti operativi della critica enologica) che leggerete il post, voglio rimarcare che con questo mio scritto mi guardo bene dal consigliarvi, insegnarvi alcunchè.
Ah! e sono sempre disposto a cambiare idea nel caso avessi sbagliato.


*lo so che le foreste Francesi seguono cicli agronomici di produzione di legno di quercia e non abbattono più di quanto sia rigenerato dalla foresta stessa, però tutte queste sono attività ad alto consumo di risorse non rinnovabili.