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mercoledì 30 marzo 2011

c'è fermento a torino


Terza parte, la rinascita piccola piccola di Torino.

RISTORANTE CONSORZIO in via Monte di Pietà 23.


Le voci circolano in fretta nella piccola ex capitale d’italia, la più provinciale delle “metropoli” italiane.
“Vai lì a mangiare” mi ha detto mesi fa l’amico Frenki  “si mangia bene, buoni vini”.
Frenki è sempre icastico nelle sue descrizioni.
Le voci si facevano insistenti e vieppiù rumorose.
C’è fermento a Torino.
Sarà per l’itaglia 150.
Impossibile prenotare.


O la sala è piccola o son bravi mi dico.
Ci passo di persona, spendo la mia conoscenza con Vittorio Rusinà aka Tirebouchon e loro mi trovano un tavolo per la sera dopo.
I ragazzi (Andrea Gherra e Pietro Vergano) hanno aperto il ristorante due anni fa in una zona di Torino di origine romano-medievale con pesanti rimaneggiamenti novecenteschi.



Poco alla page e un po’ fuori dai soliti giri.
Bella, austera con intrusioni barocche e novecentiste e liberty, centrale ma popolare, impiegatizia ma residenziale, con memorie della Torino cupa del dopoguerra, ora anche location di set cinematografici.
Luogo border line né quadrilatero né zona borghese dei palazzi alla parigina di piazza Solferino e via Pietro Micca.
Bella ma un po’ dimenticata dai torinesi (che peraltro non hanno buona memoria).


Entro.
Sala e arredo molto bistrot francese della nouvelle vague quella definita “Foodies”.
In sala ragazzi giovani, attenti, ambiente informale, disponibile e giustamente frenetico.
C’è fermento a Torino e qui si sente il ribollire sottotraccia.
Il menù guarda la tradizione ma in salsa Rock, forse Hip Hop vista l’età di Andrea e Pietro.
Menù vari a prezzi incredibili per il pranzo da 8,00 a 12,00 euro.

La sera menù o carta dalla quale, con golosità, abbiamo, in due cene, attinto.
Carne cruda ghiottissima con olio Ibleo di Arianna Occhipinti.
Insalata di cappone, tarassaco, pane alle castagne e agrumi del Gargano.
Squisiti agnolotti di trippa su crema di fagioli e cipolle candite.
Agnolotti di pesce, la pasta faceva intuire in filigrana il ripieno, sottile e saporita.
Agnolotti con ripieno di agnello conditi con una riduzione dello stesso.
Agnello in due cotture.
Cocotte con bollito di bue e salsette, molto bello e buono.
Baccalà in umido porri e patate e salsa aioli morbido e avvolgente, perfetto sul Don Chischiotte 2007 di Guido Zampaglione.
Panna cotta con riduzioni varie dal chinotto al barolo chinato, giustamente affrante dalla gravità.
Tanti i vini proposti al bicchiere.
Gli schiavi delle guide dei vini canoniche qui faticheranno un po’, ci sono in carta produttori naturali di alto profilo solitamente introvabili.
Alcuni un po’ difficili per i neofiti.
Noi abbiamo bevuto dello Champagne di Francis Boulard il “ Les Murgieres” reserve nature.


Il Don Chisciotte 2007 di Guido Zampaglione, Az. Agr. Il Tufiello, Calitri (AV).
La Barbera d’Asti sup. 2004 Cascina Tavijn, Scurzolengo (AT).
Il Rosso del Noce grandi vendemmie di Ezio Trinchero, Agliano (AT).
Il passito  Vigna della Volta di La Stoppa, Rivergaro (PC).
Noi prima di uscire abbiamo prenotato per la settimana successiva e ci porteremo degli amici.
C’è fermento a Torino.
Bonne Degustation


Luigi

lunedì 28 marzo 2011

mielbetondeparisboisdevincennesabeillejardinsdesplanteszoo

Béton, le miel de Paris, tetti e giardini di arrondissement vari.



Una idea piccola e geniale.
Le arnie in città.
La città è un arnia?
E noi api?
Un apicultore qualche anno fa, stufo della moria di api ha trasferito le sue arnie in città.
In realtà ai Jardin de Luxembourg c’è un apiario dal 1872.
Alcune le ha messe sui tetti di edifici per uffici.


Alcune nei parchi cittadini.
Incredibilmente, anche le api hanno gradito l’inurbamento e si sono messe a produrre miele.
Con un senso della parola e dell’ossimoro che solo i transalpini hanno, l’hanno chiamato “miel-Béton” miele-cemento.


Dicono che le api finalmente libere dai diserbanti e dai pesticidi agricoli, si siano sbizzarite a suggere pollini delle piantine esotiche della nutrita comunità internazionale di Parigi, delle aiuole cittadine e degli orti botanici.
Dicono che la produzione stessa è maggiore di due o tre volte la media.
Dicono che le qualità organolettiche siano superiori a quelle ottenute dai mieli di campagna.
Questa inversione ci deve far riflettere.


Noi che siamo afflitti da nostalgie bucoliche.
Noi che tentenniamo nell’abbracciare le tematiche bio.
D’altronde le volpi in UK e i cinghiali a Torino preferisco vivere in città (ogni tanto fanno pure un giro ai murazzi).
Semplificando direi che l’agroindustria ha ucciso la campagna.
L’edilizia il paesaggio rurale.


Loro, le api hanno deciso:
meglio il traffico cittadino che i veleni della campagna.
La città sembra la nuova frontiera della agricoltura.
Il prossimo passo saranno gli orti urbani e quelli pensili.




Ho  letto che a Torino alcuni apiari sono stati collocati nell’orto botanico.
Tornando a Parigi vi consiglio di andare al Jardin des Plantes, Paris 05, stupendo lo zoo.
Lo so, anche a me intristisce l’idea che sottende agli zoo ma qui gli animali sono bellissimi e in ottimo stato di salute.




Inoltre lungo le aiuole di Le Notriana memoria potrete provare a riconoscere le infinite varietà di piante del giardino botanico.
Se avete fame dopo la scarpinata vi consiglio di mangiare all’Avant-Gout in Rue Bobillot 26, Paris 13.
Se avete sete dopo aver letto questo post vi consiglio:



lo Champagne brut nature s.a. di Christophe Mignon.
Un  Blanc de Noir, 100% Pinot meunier (j’adore le meunier) 12,5%vol.
Secchisimo, vinoso, con profumi di cioccolato amaro e fruttato e mineralità.
Sapido, cremoso, elegante, verticale, con leggeri profumi di pane caldo di segale.
Christophe è bio qualcosa e forse si sente.
Noi l’abbiamo finito prima di iniziare la cena.



Comprato all’enoteca Bacchus et Ariane a 38,00 euro.
Bonne degustation


Luigi


venerdì 25 marzo 2011

pinerolesebarberacolombè2007lemariebarge#barbera2

Afflitto dalla ricerca di vini figli di una Barbera minore, l’altro giorno ho deciso di rientrare a Torino da Sestriere (TO) passando da Pinerolo (TO).



Perché pochi lo sanno ma esiste una doc Pinerolese (in spolvero a dire il vero, forse favorita da un ritorno a vini meno carnosi) che contempla una serie di vitigni, alcuni ormai dei fossili e naturalmente la Barbera.
Scatta la caccia ad una Barbera minore, figlia della doc Pinerolese.
Scendendo dalla statale a Perosa Argentina (TO) in realtà a Pomaretto (TO) sul costone della montagna che è vertice della Y formata dalla congiunzione della valle Germanasca con la valle Chisone ad una altezza media di 700 m slm su pendii terrazzati che paiono slavinare sull’abitato, Daniele Coutandin alleva un ettaro o giù di lì di vigne.
Respirano l’aria sottile del massiccio montano che include i laghi della Val Troncea, il parco del Queiras, il Pic de Rochebrune e le splendide praterie d’alta Quota della valle Argentera e qualche ghiacciaio superstite.


Il Ramie di Daniele però è un assemblaggio di vari vitigni per cui è hors cathegorie.
Peccato.
Scendo a Pinerolo e mi rassegno ad acquistare qualcosa in enoteca.
Giro, sbando, mi perdo, mi accascio sulle panchine di piazza Cavour godendomi uno splendido sole.
Ne trovo una aperta e malgrado sia in Pinerolo tiene non più di due o tre etichette della doc omonima.
Nemo propheta in patria.
Ne scelgo un paio.
Questa doc è particolare per la sua posizione geografica, si colloca più o meno di fronte al Roero e la collina Torinese con in mezzo la pianura.
Alle spalle però ha la catena montuosa delle Alpi Cozie alta, tormentata e profonda centinaia di chilometri.
I rilievi pedemontani sono per lo più formati da detriti e rocce che costituiscono il massiccio.
Graniti, Gneiss e altri minerali per lo più a reazione acida, terre poco profonde, avare con pochi composti argillo-umici.
Il tutto unito a forti escursioni termiche anche estive.
Bisogna tenerla d’occhio questa doc i presupposti sembrerebbero esserci.
Io ho assaggiato una:
Pinerolese Barbera DOC Colombè 2007, 15%vol, della Az.Agr. Le Marie di Valerio Raviolo, Barge (CN) due comuni della doc sono nella provincia di Cuneo, Barge e Bagnolo.
Cupa e concentrata nel colore e nei profumi.
Inchiostro di china, glicerica e densa.
Frutta molto matura, ciliegia sotto spirito, gigliacee, cioccolato, mineralità, buccia d’agrume, etericità.
Un po’ chiusa su toni quasi di confettura, rotonda in bocca sostenuta da una acidità rinfrescante e leggero tannino.



Buona.
Un po’giovane o forse troppo concentrata, figlia di un anno senza inverno.
E’ ottenuta da un vecchio vigneto detto Colombè affinata in barrique.
Prezzo commovente.
In enoteca  a Pinerolo a 8,50 euro.
Barge per i Torinese da sempre è sinonimo di pietra di Luserna con la quale si sono costruiti tutti i modiglioni e paramenti barocchi di case e chiese.
Dobbiamo ricrederci.
Bonne degustation.

Luigi

mercoledì 23 marzo 2011

pensiero moscato metodo classico 19962008 tenuta dei fiori calosso

Pensiero 1998 1996, Moscato metodo classico, dégorgement del 2008, 9%vol di Tenuta dei Fiori, Calosso (AT).
Mi è stato fatto notare che la vendemmia del moscato è del 1996 e non 1998 come indicato precedentemente.
Chiedo scusa per l'errore a Valter Bosticardo e ringrazio l'anonimo che me lo ha segnalato.


Come vi avevo annunciato dopo la Barbera di Valter Bosticardo ho assaggiato il suo moscato m.c.
Un lavoro sporco ma qualcuno doveva farlo.
Colore intenso paglierino profondo spuma ricca e scrocchiosa.
Intenso di salvia (sclarea?) quasi masticabile, vegetale sul fondo, fruttato, erbe officinali, fresco con profumi  terziari ed evoluti ma nitidi, mai con derive ossidative.



In bocca entra dolce e fresco quasi mentolato, salvia sugli scudi, spuma pizzicante, il vegetale sgrassa, imponente e intenso ma snello.
Buonissimo.
Ahimè a garder.
Non un infanticidio, però si poteva aspettare.


Prodotto rarissimo.
Questo poi con dieci  dodici anni di sosta sui lieviti è unico.
Un tempo si faceva così il moscato, alla francese ora lo fa Valter Bosticardo e pochissimi altri.
Forse per il prezzo, che eguaglia una cuvèe Franciacortina o una di Alta Langa.
Io, comunque, lo preferisco (concettualmente)  ad uno Spumante M.C. a base sciardonnè e pinò perché è decisamente più territoriale.
Se per terroir si intende l’intimo legame fra pedoclima, vitigno e mano robusta ma gentile del vignaiolo che custodisce e sorveglia i primi due.
Quindi prima di zonare l’Alta Langa (e inventare ex lege un terroir mai esistito) si poteva rilanciare una pratica e un prodotto stupendo che ci guardava in attesa di un cenno per ritornare sulle nostre tavole.
Per il nostro intimo sollazzo.
Acquistato a 30,00 euro all’enoteca Parlapà a Torino.
Bonne degustation.

Luigi



lunedì 21 marzo 2011

ruevielledutempleglouglourestaurantparis03marais

Paris 3°arrondissement Marais.
Rue vielle du Temple e viuzze limitrofe.



Profumi e sguardi di una Parigi preottocentesca rimasta miracolosamente intonsa dagli interventi di “riqualificazione” urbana del Barone Haussmann a metà 1800 d.c.
Un pezzo di resistenza urbana.
Prima era l’orto di parigi.

Poi un’area di espansione seicentesca, Place de Vosges ne è uno splendido esempio.
Poi zona della moda.
Certe volte mi inquieta pensare che stò calpestando ex brani di campagna, quando non ex foreste secolari che ora sono sotto metri di terra, al centro di un’area urbana enorme, cementificata, puzzolente e pesantemente antropizzata.
Ho letto che in una delle prime spedizioni romane verso la gallia le legioni camminarono per 40 giorni senza uscire dalla foresta.

Comunque sia, cammino e le vie mi rimandano l’eco del ghetto ebraico di Parigi.
Comunque sia, cammino e le vie mi rimandano l’eco di una Francia non ancora affetta dalla sindrome della Grandeur.
E dalle architetture fuori scala.
La gente intorno cammina inconscia del fatto che prima fosse stata foresta, poi orti, poi città, poi ghetto, poi metropoli.


Qualche  turista scampato e disperso dalla girandola di Rue de Rivoli e del Beaubuorg, molte boutique, molti antiquari, molti negozi alimentari Kasher, molti locali, belli però, non acchiappa gonzi.
Nelle vie più interne continua il commercio all’ingrosso di gioielli e maroquinerie e la vita di tutti giorni.
Lusso ma moderatamente sottotraccia.
In uno di questi locali siamo entrati per mangiare qualcosa.


Il Glou di fronte al museo Picasso in rue Vielle du Temple 101, Paris 03.
Ragazzi giovani e disponibili e rapidi, in un ambiente grazioso, ben progettato e con una grafica accattivante.
Menù con slanci internazionali e puntate nella tradizione.
Vini al bicchiere decisamente a buon prezzo con vasta scelta e la possibilità di acquistare la bottiglia a emporter con grosso sconto.
A mia figlia il posto è piaciuto subito, molto cool, molto mood e ha cominciato a mangiare patate di Noirmoutier e salmone affumicato.



Noi abbiamo mangiato soba con cappesante, merluzzo su letto di patate la ratte, parmentier de boeuf e puree di patate, tartare di carne Aubrac con patate fritte e insalata, selezione di formaggi, torta al cioccolato fondente con panna, cheese cake alla vaniglia bourbon, caffè.
Menù a 15 euro alla carta circa 30/35 senza vini.
Ci siamo trovati bene, cullati dalle conversazioni anglo francesi dei vicini e dalla gentilezza dei camerieri.
Abbiamo bevuto un ottimo Vouvray di Sébastien Brunet metodo classico spumoso e fresco e citrino.
Poi  uno Saumur aoc” l’insolite” 2007, di Thierry Germain del domaine des Roches Neuves.
Con profumi di pompelmo e limone e salvia e zenzero, mineralità un po’ chiusa e una  bocca rotonda ma sgrassante con fruttato e leggero vegetale, buono ma  non un tipicissimo vino della Loira.
Andate al Beaubourg, il relitto colorato e pulsante di Rogers e Piano, al di là, dell’inevitabile tourbillon turistico offre sempre bellissime mostre.
Prendetevi un caffè o un croque monsieur al bar dell’ultimo piano, la vista vale il viaggio.
Bonne degustation

Luigi


venerdì 18 marzo 2011

barberadastiis1997tenutadeifioricalosso#barbera2

Sempre in linea con gli stimoli innescati dall’evento #barbera2 ho comprato una barbera d’asti doc “is” 1997 di Tenuta dei Fiori, Calosso (AT).



L’ho comprata a quindici euro, l’altra sera su consiglio del proprietario dell’enoteca Parlapà di C.so P.Eugenio 17 a Torino.
Io, ammetto la mia ignoranza, della Tenuta dei Fiori non avevo mai assaggiato nulla.
Lui (l’enotecario) con la forza delle sue idee e scelte (verificabili a scaffale, è l’unico a Torino che ha Casa Caterina e altre rarità) mi ha convinto alla prova.
Abbiamo discettato di vino per un’oretta buona.
Io ascoltavo, lui parlava, ogni tanto cercavo di dissentire ma non mi era permesso.
Poi alla fine ho scoperto che è il figlio del macellaio mitico con le cui carni sono stato svezzato.
Commozione e abbracci.
Il padre lo aiuta in cucina.
A breve tornerò a mangiarci.
Sono tornato a casa in confusa eccitazione, sotto un diluvio universale, scarrocciando e derivando come un relitto.
Barbera d’asti doc “is” 1997 13,5%vol., Tenuta dei Fiori di Valter Bosticardo, Calosso (AT).
Colore scarico, leggermente aranciato però vivo.
Profumi evoluti ma intesi e piacevoli.
Leggera scorza di agrumi maturi, erbaceo  e mentolato (balsamico).



Verticale, elegante verrebbe da dire “alla francese”.
Si apre a toni più officinali di rosmarino e timo e grafite e minerale, ferrosa con fondo di chinotto.
Tabacco e cuoio leggeri, sussurati più che esplosivi.
Bocca morbida e setosa e terrosa, tannini morbidi, molto saporita, forse lievemente seduta d’acidità.
Quando posso (Enrico Togni è un fautore dell’assaggio dopo 24 ore) riassaggio il giorno dopo.
Day after.
Frutta molto matura sotto spirito, ciliegia, erbaceo, floreale e minerale, balsamica.
E’ migliorata è più rotonda più delineata, più complessa, è rispuntata un’acidità vivida che sembrava latitare.
Il fruttato è riemerso su una base minerale di grafite, l’erbaceo vira verso toni ammandorlati è quasi sparito l’agrume.
Si è come rinfrescata, ringiovanita.


Evidentemente era meglio scaraffarla.
Buonissima e come dicono i francesi a boire.
Nello stesso pomeriggio ho anche acquistato sempre di Tenuta dei Fiori un moscato metodo classico targato 1998 con degorgément del 2008.
Sono un po’ in ansia per la scelta che potrebbe essere azzardata.
Assaggerò a breve e vi farò sapere.
Due note a margine.
Calosso è in provincia di Asti nell’area della barbera d’asti docg eventualmente sottozona “Tinella” e in zona di elezione anche del moscato.
Calosso è al confine con la provincia di Alba ma le Barbere quì non nebbioleggiano, anzi tendono a sferzare con una rusticità e una acidità puntuta che rende caratteristiche e riconoscibili le barbere del Monferrato.
Bonne degustation.

Luigi

giovedì 10 marzo 2011

sorgentedelvinoliveduemilaundicicastellodiagazzano

Castello di Agazzano sorgente del vino live duemilaundici
La nouvelle vague che avanza.
Non è un paese per vecchi.



Trascinato ad Agazzano dai consigli di giovinastri che ho conosciuto sul web, accompagnato da un Peter Pan del vino con derive new age (Vittorio Rusinà aka Tirebouchon).
Sono andato.
Lasciamo la capitale Sabauda all’alba.
Arriviamo ad un ora indecente, le nove e mezza (aprivano alle dieci).

Francesco Guccione e Vittorio Rusinà akaTirebouchon


Allora mangiamo focaccia con i ciccioli in compagnia degli anziani del paese che organizzano la partita di bocce del pomeriggio.
Dopo di chè entriamo.
Brivido freddo, è la prima volta nella mia vita che accedo gratis ad una fiera.
Accredito stampa.
E per le menate che scrivo qua, e vai!

Cà de Noci

Una immersione totale nel pulsare della folla che non ha tardato a formarsi nelle stanze del castello.
Vini buonissimi, buoni, medi e cattivi.
Il solito panorama di tutte le fiere (è una questione statistica).
Erano però la tensione, l’allegro sciamare, le chiacchere tra produttori, amici, amici di amici di amici, gente che non si era mai vista prima e mai si rincontrerà più, il leit motiv della giornata.

Storchi

C’era condivisione, aleggiava una sensazione sottotraccia di essere in una comunità allegramente antagonista, integrata ma non omologata.
Sono un sognatore affetto da tendenze utopiche.
Sentire  raccontare Francesco Guccione che il tempo passato a  vergare manualmente le etichette e incollarle è il tempo del ripensamento, quello che gli serve per riprendere contatto con l’intervallo, ciò mi ha commosso.
Quasi piangevo nel vedere le etichette pantone di Alberto e Giovanni di Cà de Noci da loro concepite e realizzate.
Utopia nell’aria.
Alessandro Dettori e Fabrizio Iuli

E se non ricordo male ou-tòpos vuol dire senza luogo.
Il contrario di terroir che è radicamento.
Anche Fabrizio Iuli, forse per effetto dei troppi assaggi di cannonau di Alessandro Dettori, ripeteva come un mantra: “il terroir è il vigneron” (lo sapete che i piemontesi hanno spesso derive francofone).
Forse ha ragione.
I vini di Francesco Guccione e di ‘A Vita sono più francesi che siciliani e calabresi.


Laura e Francesco De Franco di 'A Vita

Quelli di Cà de Noci sono ricerche filologiche di memorie agro-organolettiche.
Quelli di Fabrizio Iuli si sdoppiano fra l’ostinata valorizzazione della barbera, il recupero del nebbiolo ormai scomparso dal suo territorio, il tutto condito da una fascinazione francofila (Pinot Noir).
Quelli di Nino Barraco sono destinati a reinventare un “vino di Marsala” (se mai è esistito).
Quelli di Sara Carbone inseguono il mito dell’Aglianico di Columella.
Quelli di Alessandro Dettori sono i vini pre-fenici.
Quelli di Guido Zampaglione come
Quelli di Marco  Sferlazzo sono una astrazione cerebrale.
Quelli di Casa Caterina una estremizzazione cultural-artigiana del concetto di evoluzione.

Aurelio Delbono Casa Caterina

Lavorano tutti per raggiungere un non-luogo che è, sì giustificato dalla storia e dalla tradizione, ma la storia e la tradizione sono pretesti per ribellarsi al presente.
Sono in viaggio verso l’isola di Utopia perché di questo mondo non si sentono figli.
E utopia è anche eu-topòs ossia regno perfetto della felicità.
Non sono degli sprovveduti, dei sognatori forse sì, la direzione non la conoscono, ma per strada sono in tanti e tanti a sostenerli.
“La verità non è un dato di fatto o un concetto astratto, è un cammino, un compito, un avventura.” Hegel
Bonne degustation

Luigi