Non volevo scrivere di Fornovo e della fiera dei vini di vignaioli.
Perché di strategie di mercato, fiere, business ne capisco poco o nulla.
Perché ci sono andato leggero.
Si fa per dire, ero armato di carrello per gli acquisti, macchine foto, taccuino per gli appunti.
Ho usato solo il carrello.
E a culo gli appunti e le foto.
Ottimo viaggio in treno.
Ottima compagnia trovata in loco.
Molto qualificata e sottotraccia e molto interessata.
I soliti quattro gatti che però fanno della divulgazione del verbo enoico la loro vita e il loro mestiere.
Rumore e festosa partecipazione.
Tendone con memorie di fiere anni settanta.
Un mito per i cultori dei beta movies italiani.
Bicchieri pessimi, unica nota negativa, il prossimo anno me ne porterò uno.
Metti più di due vignaioli insieme e si genera un territorio dell’anima.
Si è celebrato, come nelle fiere arcaiche, un rito di riunificazione e incontro prima dei mesi bui dell’inverno e si è bruciato con l’alcool e le risate il suo spettro.
Gettando un ponte per una primavera mite e feconda.
Un rito di appartenenza cementato dallo scambio e dalla partecipazione comunitaria.
Cosa si voglia comunicare con fiere del genere e a chi, non lo saprei dire.
Sicuramente ne è venuta fuori una cotè festosa e ancestrale, un baccanale in salsa contemporanea.
L’esatto opposto delle algide manifestazioni business oriented o gli educational.
Non c’era territorio!
Qualcuno ha tuonato nella cassa di risonanza del web.
Ma cos’è il territorio?
Ma cos’è una comunità?
Se non l’espressione di un territorio.
Domenica e lunedì a Fornovo c’era una comunità che ha portato i frutti della propria terra alla conoscenza degli altri e noi abbiamo visitato i loro territori cercandoli nel bicchiere.
Un melting pot momentaneo e sovversivo e popolare.
Da sempre l’ibridazione e la contaminazione hanno generato novità e tradizioni.
Perché le tradizioni, i territori non sono monoliti fissi e immutabili ma processi continui di modificazione e acquisizione e cambiamento.
Il flusso e l’oblio sono le cifre del territorio.
Non la staticità delle pietre.
Il territorio è generato dalle comunità.
E a Fornovo la comunità si è riunita.
E ha offerto i doni della propria terra ai visitatori.
Ed io, nel mio piccolo, sono contento di esserci stato.
Sì sei proprio un blog agricolo...grazie a scritti come questi la comunità del vino può crescere e farsi conoscere sempre più e veicolare il senso profondo di territorio e di comunità.
RispondiEliminaNella notte ad Hong Kong al #WFHK11 il grande vignaiolo americano Randall Grahm ha tenuto un discorso in cui ha espresso la sua visione sul futuro del vino e in modo provocatorio ma vero in mezzo a tanti soloni ha detto: "wines of future will be most true to terroir, nourish us spiritually (have chi/life force), planted with biodiversity".
La visione di Randall Grahm e questo tuo scritto rappresentano una linfa vitale per il mondo del vino, non vogliono certo essere una verità assoluta ma una traccia di valore da provare a seguire.
Sono uno dei veterani di Fornovo, lo faccio dalla prima edizione, e seppure marginalmente un qualche ruolo l'ho avuto, nel definirne la formula ideata dall'organizzatrice Cristhine Cogez-Marzani. Dieci anni fa eravamo in pochi, stavamo tutti nella saletta dei convegni, e ci stavamo larghi. I visitatori furono pochini, perlopiù curiosi della zona che venivano a bere un bicchiere, e qualche sparuto ed eroico appassionato di fuori. Ma già dal primo anno si avvertì quell'atmosfera di comunità e di festa che hai magnificamente descritto; e chi se ne accorse, e ci credette, non potè che intuirne le potenzialità future; che si sono puntualmente realizzate. Pur ispirandosi a realtà francesi preesistenti e consolidate, in Italia Fornovo è stato un apripista, e ha dato il La ad un modo nuovo e sempre più diffuso di concepire e realizzare le rassegne enoiche. Riuscendo però a conservare una specificità, un'atmosfera ed una piacevolezza uniche.
RispondiElimina(Pienamente d'accordo anche sui bicchieri!)
Bel post, Luigi. Premetto che non sono mai stata a Fornovo, quindi prendi le mie domande come frutto di pura curiosità. Se Vini di Vignaioli è così not-business-marketing oriented, questo ne fa automaticamente l'unico buon esempio di come si può "comunicare un territorio nel bicchiere"? Il caro Storchi che ho incontrato a Bio &Dynamica a Merano ( che peraltro mi ha parlato benissimo di Fornovo) o Carlo Venturini di Monte dall' Ora che ho incontato alla Fiera di Rho, in occasione della presentazione di Slowine, sono in quei contesti " meno comunicativi" circa il proprio la voro, la filosofia, il territorio? Non è che sotto un tendone con l'atmosfera un po' carbonara ( che all'inizio magari c'era) ci si sente magari un po' più "fighi" ( perdonami l'espressione), mentre nè più nè meno, si fa la stessa cosa i altri contesti, magari più dichiaratamente marketing- oriented? E - sia detto per inciso - ormai qualsiasi manifestazione con troppa gente, troppi banchetti e magari in spazi poco adeguati, mi alletta sempre meno. Si ritrovano non solo le stesse facce ( e comunque come condivisione sociale della passione-vino funziona), ma è anche la situazione in cui degustare, parlare al produttore e di conseguenza capire un vino diventa sempre più faticoso. Grazie dell'ascolto.
RispondiEliminaAh, sugli educational direi che quando son fatti bene sono preziosissime e approfondite maniere per entrare in un territorio e iniziare a comprenderlo.
Saluti
MG
@Maria Grazia,
RispondiEliminanon è mia intenzione sostenere che siano meglio le fiere carbonare (comunque c'è stata una forte presenza di pubblico, credo persone comuni e non del settore)tutt'altro.
I miei pensieri sono scaturiti piuttosto da alcune tesi sostenute il giorno dopo Fornovo sulla inutilità delle fiere (in particolare la suddetta) privilegiando concettualmente e operativamente invece per la comunicazione del vino e del territorio alla massa con gli educational o eventi sul territorio.
Io credo che sia gli educational sia le fiere possano coesistere e la mia tesi è che il territorio non è solo una evidenza oggettiva ma anche una costruzione intellettuale condivisa.
Come dici tu lo si può comunicare anche sotto un tendone a chilometri dal proprio vigneto.
Per gli stessi vignaioli conoscersi e conoscere ciò che fanno gli altri è un elemento positivo.
Gli educational poi per come devono essere organizzati sono più complessi e costosi e coinvolgono meno persone, quindi credo siano un ottimo strumento ma dedicato ai "professionisti" della comunicazione del vino e non sempre territori marginali possono sobbarcarsi queste spese.
Altro pensierino è quello che se l'ambiente è più "alla buona" e la priorità è quella di partecipare ad un evento quasi rituale, la freddezza del calcolo economico influenza meno i partecipanti e questo giova alla qualità dei rapporti interpersonali.