Ageno 2005 igt emilia.
Az. Vitivinicola La Stoppa di Elena Pantaleoni. Rivergaro (PC).
Malvasia di candia, ortrugo e trebbiano.
Nel sequel delle bottiglie che mi sono regalato a dicembre, per provarle con tutta calma in montagna durante le vacanze, compare l’Ageno.
Per procurarmele, non rapino le vecchiette come ho accennato due post fa, però trascuro un po’ il mio lavoro ufficiale che la fortuna (mia e degli esercenti in questione) ha collocato al centro geografico di tre/quattro enoteche e beer shop.
Poveri i miei clienti che si fidano ancora di me.
Poveri i miei clienti che si fidano ancora di me.
Gli ho anche rifilato una compilation di Champagne e Franciacorta Docg per le cene natalizie.
Dunque, l’otto gennaio, oramai brasato dall’inedia e dalla sovralimentazione e leggermente tediato dal brutto tempo, scendo in cantina e metto mano a quello che è un vino simbolo del biologico in Italia.
Forse un po’ distratto lo infilo con sicurezza in frigidaire e ivi lo lascio.
Mi dedico alla realizzazione di una focaccia ligure con percentuale di farina integrale per addomesticarla al salmone e al patè de volaille che il buon Auguste di La Salle ci ha regalato in cambio dei fiocchetti di neve di Giunta.
Insomma il vino va in tavola freddo.
Troppo freddo.
Non ho letto in retroetichetta che Elena Pantaleoni si raccomanda di servirlo a 15°C .
Lo stappo, lo verso, mia figlia duenne, che ormai insegna ai corsi di degustazione, dice: “papà uigi pecchè quello cione” (papà Luigi perché quel vino è arancione) “io (as)saggio”.
Leggera velatura, denso nel bicchiere.
Profumi da subito intensi, al’inizio si sente la malvasia ma è un fuggevole attimo.
Poi si apre verso un floreale intenso anche un po’ appassito e caratterizzato da gelsomini, narcisi, fiori di pitosforo con acuminatezze un po’ vegetali, dolcezze, salinità, agrumi amari e sentori eterei fanno capolino. Un retrobottega del fioraio mentre smalta le scansie.
Subito si sentono delle dolcezze poi il morso del tannino un po’ troppo amaro/astringente.
Non è possibile.
E’ un vino simbolo.
Leggo le indicazioni di servizio in retroetichetta “servire a 15°”!
Sbaglio madornale io l’ho servito a non più di 7/8°!
Aspetto.
Quando va in temperatura cambia la solfa.
In bocca è complesso e dolce e sapido e tannico e floreale, un mare di sensazioni per lo più discordanti che un po’ si integrano, un po’ cozzano l’un l’altra.
Ottimo, difficile, appagante, scontroso, inebriante comunque lievemente tannico.
Ne avanzo un po’.
Il giorno dopo è forse migliore (o io sono più educato).
E’ finito troppo presto!
La malvasia è un vitigno storico di queste aree, in realtà M.Gily (che ormai ho deciso essere un poeta con licenza di agronomo) ci fa notare che storicamente nel basso monferrato, nell’oltrepo’ pavese e nei colli piacentini che ne sono il terminale geografico, era molto diffuso e bevendo questo rappresentante posso affermare che le potenzialità le ha e da vendere.
Pochi ci hanno creduto.
Per adesso solo quelli de La Stoppa.
Aridità dalla cantina:
Malvasia 60%, Ortrugo e Trebbiano 40%
Macerazione di 30 gg e lieviti indigeni, zolfo-free.
Affinamento di 12 mesi metà acciaio metà barrique usate.
No filtrazione
Mon Dieu servire a 15° anche 16°C non meno.
Da bere mangiando mi raccomando.
Luigi
Un vino che mi è sempre rimasto nel cuore. È stato il mio primo approccio al mondo dei vini naturali e non nego di averlo rovesciato nel lavandino la prima volta, questo è il prezzo di anni di bevute "convenzionali" che comunque non sempre vanno disprezzate.
RispondiEliminaA riguardo di una certa incomunicablità dei vini di macerazione sui nostri sensi ne ho già scritto più volte e tu non fai che darmene conferma, anche se ce ne sono alcuni, forse meno estremi, che stendono un ponte fra il prima e un dopo (che ancora deve venire).
RispondiEliminaIl bianco di N.Bocca, il Timorasso San Leto e l'ultimo bianco che ho assaggiato di Dario Princic che a dispetto di un colore arancione ruggine, sfugge all'equazione dei tannini un po' scomposti (o forse inaspettati) degli altri e inserisce un po' di pseudo dolcezza e rotondità.
Una cosa è certa: bisogna assaggiare, informare chi lo fà meno di noi e coltivare il dubbio perchè non è tutto oro quello che macera.
luigi
Concordo pienamente con quello che scrivi, e per quanto riguarda i vini naturali o voluto metterci il naso in prima persona vinificando un trebbiano in purezza, devo ammettere che è una grande emozione vedere lo sviluppo del vino ed è una grande soddisfazione sentirlo come lo si era immaginato, la storia fa il resto.
RispondiEliminaPensa che un timorasso Boy, oramai famoso, ha detto che lui non vuole più vinificare come suo nonno (con bucce, macerazioni etc.) in realtà solo perchè ha paura di perdere il vino e perchè, chi arriva da bianchi super rustici e quasi imbevibili di un tempo, ha paura ad ammettere che forse adesso si sono tecnologizzate un po' troppo le tecniche di cantina.
RispondiEliminacomunque ammetteva che il timorasso senza fecce nobili diventa un vinello banale (quindi agiungere le bucce non è in linea teorica una stupidaggine).
Per essermi buttato nell'avventura da "cantiniere" devo certamente ringraziara Alessandro Dettori, che immagino tu conosca, in occasione di un nostro evento dove Alessandro era ospite mi è rimasto in mente un suo discorso che diceva "tutti posso fare il vino, perchè per farlo non occorre fare quasi nulla", e devo dire che Alessandro aveva ragione, oltre a raccogliere l'uva e a mostarla, il resto viene da solo, questo sicuramente implica una dose di rischio notevole che io mi posso permettere, per le quntità e soprattutto perchè non è il mio lavoro ma molte cantine certi rischi non se li vogliono assumere, devono quindi scendere a compromessi più o meno invasivi.
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